Oro, argento, bronzo: dal 2000 al 2012 ha vinto tutto, titoli individuali e a squadre. Fino alla mancata qualificazione alla finale olimpica a sei di Londra 2012. Un ottavo posto che ha fatto scendere più di qualche lacrima, perché se c’era una persona che si meritava, a 43 anni, di essere in lizza per tentare il bis era proprio Francesco D’Aniello.
Tre parole per definire la medaglia d’argento nel Double Trap a Pechino 2008: mai dire mai.
Francesco D’Aniello nasce a Nettuno il primo giorno di primavera del 1969. Fino all’età di 30 anni è un agente di polizia.
Poi scopre quasi per caso il tiro a volo, grazie a una gara organizzata dal suo circolo di caccia. Ed è subito amore. Siamo in campo amatoriale ma il destino ha in serbo una bella sorpresa che ha un nome e un cognome, Pierluigi Pescosolido, responsabile del settore tiro a volo delle Fiamme Oro.
Con il trasferimento al Gruppo sportivo della Polizia di Stato inizia la splendida avventura che lo porta all’esordio sulle pedane olimpiche di Pechino 2008 da campione del mondo in carica. A 39 anni è subito argento, 187 piattelli contro i 190 dello statunitense Eller, super favorito.
A Mirco Cenci, allenatore della nazionale, avevano dato del matto per la decisione di imporre nella rosa olimpica la presenza, come qualcuno l’ha definito, del Signor Nettuno.
Aveva ragione lui.
Ora Francesco gestisce un campo di tiro a volo dove hanno curato la preparazione olimpica nomi come Diana Bacosi, oro olimpico skeet in carica, Mauro De Filippis, numero uno del ranking mondiale nella fossa olimpica e l’egiziano Azmy Mehelba, tutti papabili per un successo a Tokyo 2020.
Inevitabile parlare di queste Olimpiadi, dei risultati di una disciplina che regala ogni volta fior di medaglie ma che resta ancora una cenerentola nell’immaginario collettivo. Ed è un vero peccato, anche se la scelta di Jessica Rossi come portabandiera ha dato una bella sferzata di ottimismo a tutto il movimento.
Francesco D’Aniello, nella sua profonda umiltà di campione, ha ricevuto, tra le altre onorificenze, il titolo di Ufficiale della Repubblica Italiana su proposta del Presidente Napolitano, il collare d’oro del Coni – che viene dato una sola volta nella vita – ma ha anche al suo attivo tre titoli mondiali, due europei, cinque prove di coppa del mondo, un record del mondo a Maribor nel 2009, sette titoli italiani. E la medaglia olimpica.
Francesco, parliamo di tiro a volo, che non conoscono in tanti ma ha portato una marea di medaglie. Soprattutto parliamo di Olimpiadi con la medaglia d’argento di Pechino 2008. Come la vedi?
“Sinceramente la vedo molto bene. Noi del tiro abbiamo la fortuna di essere tra i primi a partecipare, vista la spada di Damocle dell’emergenza sanitaria in corso. Tecnicamente, la squadra che partecipa alle Olimpiadi sia maschile sia femminile, sia di skeet sia di fossa olimpica, credo sia la più forte degli ultimi anni, perché abbiamo il numero uno del ranking mondiale, Mauro De Filippis, che finora non ha mai deluso gli appuntamenti più importanti. Poi abbiamo Jessica Rossi che non ha bisogno di presentazioni. Perché è vero che non è andata benissimo a Rio ma ha tanta voglia di riscatto ed è veramente un fenomeno. Secondo me attualmente è la tiratrice più forte al mondo nella fossa olimpica. Non disdegna assolutamente neanche Silvana Stanco che è fortissima: conquistò la carta olimpica per Rio, anche se poi la scelta andò su Jessica Rossi, ma è una che non si fa cogliere impreparata agli appuntamenti importanti come un’Olimpiade. Tecnicamente è molto forte e tra l’altro giovanissima, quindi sono felice anche per questo. E il panorama della fossa olimpica è completo”.
Aria di medaglie?
“Nella fossa olimpica almeno un paio sono alla portata dei nostri tiratori”.
Passiamo allo skeet?
“Lo skeet non ha assolutamente bisogno di presentazioni perché partecipano due medaglie d’oro e un argento olimpico in carica, e c’è la new entry Tammaro Cassandro, che è un tiratore molto forte. Gabriele Rossetti è oro olimpico in carica, Tammaro ha vinto l’ultima prova di coppa del mondo, è giovanissimo e ha meritato tutta la stima del tecnico Andrea Benelli. Pur non avendo conquistato la carta olimpica, perché il pass olimpico è stato conquistato da Filippelli, come scelta tecnica il ct ha voluto portare Tammaro e devo dire che non farà assolutamente rimpiangere questa scelta. Per quanto riguarda lo skeet femminile sinceramente è impossibile fare una presentazione a due tiratrici come Diana Bacosi, oro olimpico in carica, campione del mondo in carica e Chiara Cainero, argento olimpico in carica nonché vincitrice del campionato d’Europa. Lo skeet ha due squadroni che fanno veramente paura al mondo intero”.
Quali potrebbero essere gli avversari più ostici?
“Secondo me, per quanto riguarda lo skeet, vedo molto bene l’egiziano Mehelba che spara molto bene ed è molto meticoloso nell’allenamento. Tra l’altro ha curato la preparazione olimpica qui da me a Roma, ho avuto modo di osservarlo da vicino e devo dire che è un tiratore da non sottovalutare. Poi abbiamo Vincent Hancock che non ha bisogno di presentazioni, appena diciottenne è vincitore dell’oro olimpico. E poi ce ne sono tanti altri, dai kuwaitiani con Abdullah Al-Rashidi che nonostante l’età (classe 1963 nda) è puntualissimo a questi incontri”.
Ora una domanda molto personale: cosa significa vincere una medaglia olimpica?
“Ti stravolge un po’ la vita. Ti rendi conto di essere riuscito a portare a termine una missione cui non tutti riescono ad arrivare, malgrado i sacrifici. Poi esci fuori dall’anonimato, esci fuori dalla routine perché, vuoi o non vuoi diventi un personaggio pubblico al quale lo sport nazionale sarà sempre riconoscente. Sono convinto che passano gli anni ma la medaglia olimpica rimane. Tu sarai una medaglia olimpica a vita, di qualsiasi metallo sia, sia nel tiro a volo italiano, sia internazionale ma soprattutto nella storia sportiva dell’atleta che la raggiunge”.
Il tiro a volo è una disciplina “di nicchia” che purtroppo ha molto seguito tra gli estimatori ma trova pochissimo spazio nei media e, diciamocelo, fatica a dimostrare tutto il suo valore.
“È uno sport che richiede una struttura dove praticare, devi avere il titolo di un porto d’armi per esercitare ma, non nascondiamolo, ha anche dei costi abbastanza importanti da sostenere, così come costano tanti altri sport. È una disciplina olimpica, è un’attività che come medaglie è soltanto dietro alla scherma perché la scherma ha anche tante gare di squadra. A livello individuale credo che a tutt’oggi siamo i più titolati, perché il nostro è e rimane sempre e soltanto uno sport individuale”.
Cosa si deve fare, nella vostra disciplina, per prepararsi a un’Olimpiade?
“Guarda, il discorso è abbastanza ampio. Ognuno di noi ha una preparazione “diciamo soggettiva” perché ognuno di noi affronta l’evento in maniera diversa uno dall’altro. Cosa vuol dire questo? Tecnicamente facciamo tutti le stesse cose, quindi preparazione fisica, tecnica, siamo seguiti da un preparatore atletico, un nutrizionista e poi soprattutto la differenza la fa chi affronta questo evento da un punto di vista psicologico. Uno che arriva alle Olimpiadi è un tiratore bravo e non dico “forte”, dico proprio bravo. Perché poi la differenza tra un tiratore forte e un tiratore bravo la fa solo ed esclusivamente la testa. Posso avere dei tiratori che, anche bendati, riescono a colpire il piattello. Ma nel momento in cui entrano in competizione con altri tiratori, non tengono dal punto di vista psicologico e quindi crollano. Se il potenziale tecnico non è supportato dalla “testa” praticamente sei meno di niente, ecco qual è la differenza. Io faccio sempre questo tipo di paragone: se alle Olimpiadi ci sono circa 20 persone che gareggiano per una medaglia, vuol dire che abbiano la crema del tiro mondiale. Ma se le medaglie sono soltanto tre, chi è che fa la medaglia? Ciò che fa primeggiare un atleta rispetto a un altro è soltanto la forza mentale. Quindi l’approccio alle Olimpiadi a livello psicologico dev’essere un nodo fondamentale”.
Uno che non conosce nulla, vede un atleta con un fucile e pensa: preparazione atletica? Quale? Stanno fermi e concentrati col fucile in mano che pesa, certo, ma poi?
“Se uno accende la tv e vede un tiratore con imbraccia un fucile, chiama un piattello e poi “lo spara” e lo colpisce sembra che l’azione sia finalizzata a se stessa. Ma quello che bisogna far comprendere a chi sta guardando questo sport è tutto quello che circonda il tiratore ancor prima che prema quel grilletto. Perché lì c’è un mondo”.
Qui volevo arrivare…
“C’è un mondo che la metà basta per farti innamorare di questo sport. Abbiamo detto che è uno sport prettamente individuale, dove l’avversario non viene rappresentato assolutamente né dal piattello né dal tiratore che è con te in pedana, cioè dal tuo antagonista. Il vero e unico avversario, sei tu. Chi va in pedana deve lottare con se stesso per fare tutto il possibile per colpire quel piattello. È questo il fascino di questo mondo, perché è una continua sfida con se stessi. Nello specifico io so che mi metto in pedana in questa posizione, imbraccio il fucile in questo modo, chiamo il piattello, lo raggiungo e lo sparo. Come gesto tecnico ce l’ho ben acquisito, ok? Ma bisogna vedere se questo gesto tecnico riesco a farlo quando sono messo sotto pressione, quando so che quel piattello mi può dare la vittoria o meno. Porto sempre l’esempio di Fabio Grosso quando tirò l’ultimo rigore ai mondiali del 2006. Aveva tutti gli occhi addosso. Immaginate Fabio Grosso in quell’istante e immaginate un tiratore quand’è in pedana. Quante volte Grosso ha tirato un calcio di rigore e l’ha segnato? Quante volte un tiratore va in pedana e colpisce il piattello e lo rompe? Bisogna vedere, però, se riesco a farlo nel momento in cui conta davvero. Questa è la differenza. Quando, pur avendo provato mille volte, hai pochi attimi per dimostrare a te stesso di che pasta sei fatto”.
Guarderai le Olimpiadi?
“Come fai a non guardare le Olimpiadi? Certo che sì, così come guarderà la cerimonia d’apertura. In questo momento mi sta venendo la pelle d’oca perché ho vissuto due cerimonie d’apertura, anche se la prima non si scorderà mai. Poi ho avuto la grandissima fortuna di fare questa prima esperienza in Cina, che organizzò i Giochi in maniera impeccabile sotto ogni punto di vista”.
E com’è entrare nello stadio olimpico con la delegazione italiana?
“Solo in quel momento realizzi. Prima è tutto un andiamo partiamo mettiamoci in fila muoviamoci entriamo ma è solo nel momento in cui ti trovi 60/70mila persone che ti applaudono, con parecchie squadre già schierate… Lì ti rendi conto “c… sono alle Olimpiadi!”. C’era un palermitano che faceva tiro a segno con un cartello “mamma… min… alle Olimpiadi sogno!” È bellissimo. La prima cosa che ho dichiarato, con la medaglia olimpica in tasca: se potessi vorrei dare a tutti gli atleti la possibilità, almeno una volta nella vita, di fare quest’esperienza. È la più bella della mia vita dopo la nascita di mio figlio. Il Sogno Olimpico”.
cricol