Nel 1960 l’Italia era nel pieno del boom economico. Le Olimpiadi a Roma avevano un significato che andava ben oltre al semplice simbolo sportivo: si voleva presentare al mondo un’Italia sana, moderna, economicamente forte e capace di diventare un riferimento mondiale. La partecipazione di oltre ottanta nazioni, tra le quali le prime decolonizzate, i primi casi di sponsor, la guerra fredda, le prime dirette televisive, l’ultima partecipazione congiunta di atleti della Germania prima della costruzione del Muro di Berlino. Tutto questo sarebbe stato ROMA 1960.
- Professor Peris…
- Ehi, Ernesto, se parliamo di sport, togliamo i formalismi. Chiamami Giancarlo (sorride).
- È un onore, per me. Cominciamo, allora. Chi era il giovane Giancarlo Peris?
- Era un ragazzo di non ancora 19 anni, appena maturato nel liceo classico. Era stato promosso a giugno. Nella sua classe solo 5 su 31.
- 1199 staffettisti, dopo la traversata da Atene, si sono passati la torcia da Siracusa a Roma: Come e perché sei stato individuato proprio tu per accendere il braciere olimpico?
- All’inizio dell’anno correva la voce che l’ultimo tedoforo della staffetta olimpica sarebbe stato colui che avesse vinto la finale provinciale dei campionati studenteschi di corsa campestre. Ho immaginato che era stato scelto un giovane perché in Italia non c’era un atleta che aveva fatto grandiose imprese atletiche nell’agone olimpico. In realtà era vivo ancora Beccali (vincitore dei 1500 metri alle Olimpiadi del ’32) ma era anziano e non stava bene. Io vinsi quella gara, ma non pensavo assolutamente che sarei stato scelto davvero come ultimo tedoforo. Aggiungo che nel frattempo, oltre ad avere vinto i campionati provinciali di corsa campestre studentesca, ero stato selezionato e avevo gareggiato per la nazionale juniores (sotto i 19 anni) contro la Polonia.
- Chi e come ti ha dato la notizia che proprio tu avresti acceso il tripode?
- La notizia la ebbi con una lettera che mi arrivò agli inizi di agosto, forse il 4, firmata da un Andreotti, colonnello dei vigili urbani di Roma (che poi seppi essere il fratello di Giulio, ministro della Difesa e presidente del Comitato organizzatore).
- Come ti sei preparato per la cerimonia? Avevi delle linee guida da seguire?
- Abbiamo fatto due prove allo Stadio Olimpico nei giorni precedenti. Secondo gli organizzatori, come ultimo staffettista, avrei dovuto impiegare 5 minuti a fare 350 m. Non ci sarei riuscito neanche su un piede solo: è stata una gran fatica andare tanto lentamente.
- Il 25 agosto sei stato l’ultimo tedoforo: ci racconti gli ultimi metri di corsa e la salita verso il braciere?
- Non è che oggi ricordi molto. Ero attento, concentrato a non fare errori perché, se fossi caduto davanti a milioni di spettatori, me ne sarei vergognato per tutta la vita.
- L’amica Alessandra, del nostro team, chiede: «Quanto pesava la torcia?».
- Credevo che pesasse intorno ai 450 grammi. Per essere sicuro sono andato a pesarla poco fa e, a distanza di oltre sessant’anni, ho scoperto che pesa 977 grammi: più del doppio.
- Ti rendevi conto che stavi rappresentando la nuova Italia e che la stavi presentando al mondo?
- Sentivo che stavo facendo un’azione che sarebbe rimasta nell’immaginario collettivo del genere umano. Il simbolismo della fiaccola e del tripode e del fuoco è molto profondo e molto antico.
- Avresti mai immaginato di finire sulle copertine dei principali giornali e trasmesso in molte emittenti televisive mondiali?
- Sì, sospettavo che sarebbe potuto succedere. Già nel 1960 mi fecero interviste Giapponesi, Norvegesi, Finlandesi, Austriaci, Francesi e altri.
- E addirittura su un francobollo…
- Ecco, quella non l’avrei mai pensata perché sapevo che uno, per essere rappresentato su un francobollo, doveva essere morto. Lo chiesi e mi spiegarono che quella sul francobollo non era una fotografia, ma un disegno rifatto sulla foto. Pare che così si potesse fare.
- Oggi, a oltre sessant’anni di distanza, chi è Giancarlo Peris e quanto quel 25 agosto è stato importante nella tua vita.
- Ho fatto l’insegnante di Italiano e Storia per quarant’anni. Ora sono in pensione e mi piace scrivere versi e insegnare a comporli. Ho avuto due mogli e due figli. Ora sto per diventare nonno. Ho cercato sempre di essere degno di quel gesto e spero di esserci riuscito.
- Cosa ti resta di quel giorno? Un segreto e un oggetto.
- La fiaccola, ce l’ho qui vicino a me.
- Manca il segreto…
- Ernesto, un segreto resta un segreto… (sorride, di nuovo).
- Come immagineresti l’ultimo tedoforo a una nuova olimpiade romana?
- Non ne ho la minima idea. Una persona degna di rispetto, comunque.
- Giancarlo, grazie davvero per aver risposto alle mie curiosità, comuni a quelle di tanti.
- Grazie a te, Ernesto, per questa attenzione dopo così tanti anni. E un caro saluto a tutti gli amici del Giornale delle Buone Notizie.
Ernesto Berretti