La morte non esiste, figlia. La gente muore solo quando viene dimenticata. Isabel Allende
Quando incontrò Cassius Clay (a lui non piaceva chiamarlo Muhammad Ali) gli fu presentato come l’uomo più veloce del mondo. Al pugile che lo apostrofò “ma tu sei bianco”, rispose “sì, ma sono nero dentro”.
Pietro Mennea era così: diretto, arguto, tenace, “fissato” con le regole, quelle regole che facevano di lui un Uomo di Sport Vero, Pulito.
Odiava il doping, “una triste piaga per lo sport e la nostra società” , lo combatteva con tutte le sue forze. Non si capacitava delle “scorciatoie”, lui, che aveva dedicato la sua vita allo sport con grande spirito di sacrificio. Lui che non si arrendeva mai.
Lui che aveva una marcia in più. E quattro lauree, più diverse specializzazioni.
Lui che aveva appeso gli scarpini al chiodo ma li metteva ai piedi, praticamente tutti i giorni, per percorrere chilometri e chilometri e partecipare a convegni, incontri, stage.
Lui che aiutava tutti quelli che poteva, senza tanti clamori, firmando magliette, regalando libri autografati, con una semplicità e una cordialità fuori dal comune. Quando entravi nel suo studio, a Roma, eri accolto come l’amico di sempre, anche se ti vedeva per la prima volta. Con lui Francesca, la sua assistente, cresciuta nel mito di Pietro grazie a un fratello che vedeva in lui, giustamente, un esempio.
“Tu non hai idea il giorno che mi sono presentata, a casa, dicendo che avrei lavorato per lui!”.
Parlare con Pietro era un’impresa, a volte. Mai impossibile. Se non riuscivi a trovarlo al telefono, bastava scrivergli un messaggio su Facebook, o mandargli un’email. In qualsiasi parte del mondo fosse, ti rispondeva.
Mi resterà il rimpianto della video intervista che, dal 2010, abbiamo cercato di organizzare più volte. Ma quando c’era lui qualcosa impediva a noi di raggiungerlo, o viceversa.
Gli era piaciuta tanto, l’idea di un giornale delle buone notizie. E avrebbe voluto scriverne una lui.
Pietro aveva un sogno. “Caro Amico – scriveva nel 2011 – Ti scrivo per informarti che la Fondazione Pietro Mennea Onlus si sta attivando per realizzare il progetto Biblioteca – Museo dello Sport che porterà il nome dei miei genitori. La Fondazione dispone già di un patrimonio librario di circa centomila volumi, affinché esso non si deteriori o possa essere disperso, esiste l’urgenza di trovargli una “casa””. E la vedeva a Roma, questa casa, un luogo in cui riunire tutto il materiale sparso tra Barletta, la sua abitazione di Roma, la sede della Fondazione.
Perché, come gli piaceva dire “Ho vinto tanto da atleta, ma non si può vivere di ricordi. Ogni giorno bisogna reinventarsi, avere progetti e ambizioni. Perciò, quotidianamente, ho tante idee e sogni che voglio realizzare”.
La biblioteca era diventata la ricerca dell’ultimo record, oltre le cinque Olimpiadi disputate, oltre i 19” 72 che l’avevano consegnato, per sempre, alla Storia.
Ed è così, da sportiva, scrittrice, ma soprattutto appassionata di libri come lui, che lo voglio ricordare. Tra gli scatoloni. In attesa di veder realizzato il suo ultimo, meraviglioso, generosissimo record: regalare Cultura.
cricol