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L’Ickabog, J. K. Rowling

Se avete assaggiato una Celia Celeste vuol dire che anche voi avete fatto un viaggio a Chouxville, la capitale di Cornucopia, il nuovo regno incantato di J.K. Rowling.

Provate a pensare, se vi va, alla torta o al pasticcino più buono che abbiate mai assaggiato. Ecco, ora credetemi: a Chouxville si sarebbero vergognati a servirli. A meno che un uomo adulto non si commuovesse fino alle lacrime, dando un morso a una pasta di Chouxville, quella ricetta era considerata un fallimento e non veniva usata mai più.

Cornucopia è il Paese più felice del mondo, ogni sua città offre prosperità e prelibatezze in abbondanza per tutti i suoi abitanti. Il regno è governato da Re Teo il Temerario, un sovrano che purtroppo di temerario non ha nulla poiché è solo un ometto vanitoso e facilmente influenzabile dai suoi due amici, Lord Scaracchino e Lord Flappone: due nobili spietati a metà strada tra Rosencrantz e Guildenstern e il Gatto e la Volpe.

Qualcosa però turba la vita tranquilla di Cornucopia: le terre paludose del nord non godono del benessere della parte restante del regno. Sono luoghi oscuri e sinistri abitati dall’Ickabog, un mostro terrificante che si ciba di grandi e piccini. Molti però sono convinti si tratti solo di un’antica leggenda e che quindi l’Ickabog non esiste davvero.

D’altronde fin dall’antichità, Il lupo cattivo, l’uomo nero, non sono forse stratagemmi per instillare nei bambini un po’ di paura in modo da tenerli buoni?

Eppure strane morti e sparizioni iniziano ad agitare gli abitanti di Cornucopia.

E quindi l’Ickabog esiste o no?

Due bambini coraggiosi, Robi e Margherita, decidono di risolvere il mistero.

L’autrice dosa in modo perfetto descrizione e azione. La storia, più lenta nel suo incipit, col procedere dell’intreccio diventa sempre più incalzante.

La Rowling, ancora una volta, ci trasporta in un mondo magico dove la poesia sta nell’affabulazione, anche per l’utilizzo di una terza persona onnisciente, dal linguaggio semplice e ironico, ricco di immagini e colori che ben si presta a una narrazione fiabesca.

Unico neo forse è dato dalla mancanza di un vero protagonista della storia e no, non lo dico perché ho nostalgia di Harry Potter.

I personaggi anche se ben tratteggiati, spesso flirtano con gli stereotipi del genere: il re vile e vanaglorioso, i consiglieri malvagi, il cavaliere coraggioso, la nobildonna bella e innamorata.

Ma le favole in fondo sono belle anche per questo. Poter etichettare un personaggio a volte ci fa sentire più al sicuro perché ci dà il potere di stabilire, senza correre il rischio di equivocare, chi è buono e chi invece è malvagio.

L’autrice infatti non rinuncia ad avvolgere la storia in una patina oscura, divenendo talvolta perfino crudele, come spesso capita in una certa tradizione favolistica.

E a questo proposito una domanda continua a riecheggiare durante la lettura: chi è l’Ickabog, è lui il vero mostro? Oppure si tratta solo di un pretesto inventato dai veri cattivi per ingrassare le proprie tasche con l’introduzione di una nuova tassa Anti-Ickabog?

Forse la risposta si cela proprio nel nome Ichabod, vale a dire la gloria se n’è andata che tanto ci rimanda a un’allegoria dei nostri tempi.

Maria Elisa Aloisi

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