Edizione Paoline 2021
Dalla quarta di copertina:
Il racconto teatralizzato della nota vicenda biblica, narrato in prima persona dai tre protagonisti, Agar, Sara e Abramo. Un percorso interiore alla ricerca dell’eterna verità.
Agar e Sara, racconto a due voci narranti – sul tracciato dei fatti biblici – a cui si aggiunge, in finale, la voce del patriarca Abramo, «pietra d’angolo» delle due vicende al femminile.
Nel libro di Simona Riccardi parlano le prime «madri rivali» della Bibbia, che incarnano, rispettivamente, la maternità surrogata e quella negata.
Un caso di utero in affitto ante litteram, vissuto dalle due donne con un’esplosione di sentimenti contrastanti, raccontato attraverso monologhi dal potente sapore del dramma teatrale. Come drammatico e struggente è il “terzo atto” del libro, il monologo di Abramo. Parole che compensano il suo silenzio e la sua apparente passività nella vita di Agar, la schiava, e di Sara, la moglie.
Tutti e tre compiono un percorso interiore che li condurrà a trovare in Dio la risposta alle proprie inquietudini e a divenire coloro attraverso i quali verrà realizzata la Promessa del Padre.
Recensione
Un racconto a tre voci dove emergono con forza, specie quelle delle due donne, Agar e Sara.
Simona Ricciardi con il suo romanzo d’esordio sceglie come fonte di ispirazione il libro della Genesi dove si narra la storia di Abramo e delle due donne.
Agar è la schiava di Sara, moglie sterile di Abramo. È proprio quest’ultima che la offre al marito, nel tentativo di concretizzare una discendenza. Agar racconta le sue umiliazioni ma anche la gioia nel sentire la vita dentro di sé e, dopo la nascita di Ismaele, le rivendicazioni nei confronti di Sara.
Sara è moglie di Abramo e quando finalmente, al di là di ogni aspettativa, diventa madre, insieme alla gioia racconta anche il timore che l’erede legittimo sia costretto a fare i conti con Ismaele, figlio della schiava. Per questo convince Abramo a mandare nel deserto Agar e il suo bambino.
Il libro è strutturato in atti in forma di monologhi che conferiscono all’opera il sapore di dramma teatrale: una scelta narrativa che per struttura evoca “Fuochi” di Marguerite Yourcenar.
Il linguaggio è ricco, fortemente evocativo, un viaggio nella mente delle due protagoniste:
“Mi chiamo Agar e fuggo. Sono una schiava, straniera in ogni terra fuorché nel deserto. Il mio nome è Sara, sono la moglie. Ho camminato accanto ad Abramo senza che i miei passi facessero rumore o che la mia parola si innalzasse al di sopra della sua. La sterilità, la mia ferita nascosta”.
Maria Elisa Aloisi.