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Intervista a Simona Riccardi

Note sull’Autrice

Simona Riccardi, nata a Ceccano (FR) dove vive, ha conseguito le lauree in Scienze della Comunicazione e in Scienze pedagogiche. Insegna nella scuola secondaria superiore. Scrive poesie fin da piccola; da questa passione è nata la raccolta poetica Il mondo nell’anima, pubblicata nel 2018, che ha ricevuto numerosi premi tra cui il Premio Nazionale di Letteratura italiana contemporanea.

Appassionata di tutto ciò che attiene al mondo della spiritualità e della crescita personale, scrive, come blogger, su una rivista online, articoli che affrontano argomenti di attualità e di cultura in tutte le sue sfaccettature.

Intervista

Elisa: Come è nata l’ispirazione per il tuo romanzo.

Simona Riccardi: L’ispirazione è nata in seguito ad un periodo di forte inquietudine di cui, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a trovare una spiegazione plausibile. In apparenza avevo tutto: una bella famiglia, il lavoro che amavo, tante amicizie sincere. Eppure qualcosa in fondo mi mancava.

Quando l’inquietudine viene a trovarti evidentemente ha le sue ragioni e soprattutto ha qualcosa da dirti. Ho deciso di accoglierla e di ascoltarla, senza opporre troppa resistenza. È venuta come il vento a spazzare via i rami secchi, a soffiare sullo strato di polvere che ricopre le certezze, portando con sé l’annuncio di un cambiamento interiore. Capita che questa energia tumultuosa, che ti smuove dentro e ti apre a frontiere inesplorate, improvvisamente si acquieti. Nel mio caso ha trovato pace nella preghiera, una preghiera partita direttamente dal cuore, capace di incendiare l’etere. Ho chiesto, e il Cielo ha ascoltato e risposto.

Il mio romanzo è nato proprio da qui, in risposta alle mie domande. È venuto da un sogno, inteso non tanto in senso figurato quanto piuttosto in senso proprio. Un sogno molto realistico che mi ha condotto direttamente al testo scritto da un teologo del Settecento. Il resto sembrerebbe frutto del caso. Nella pagina iniziale del libro in questione si parlava dell’apparizione del primo angelo della Bibbia ad una donna egiziana, Agar, la schiava di Sara e Abramo. Lì per lì ho dato poco peso a questo dettaglio, concentrandomi piuttosto sul contenuto del testo e su altre questioni che esso sollevava. A distanza di poco più di un anno, mossa da una forte spinta interiore che andava di pari passo al mio percorso di ricerca spirituale, ho deciso di dare voce prima ad Agar e poi a Sara, anche alla luce della mia esperienza di madre. Il sogno è così “maturato” grazie all’incontro con le Edizioni Paoline e si è fatto “segno”: il segno che una preghiera, sostenuta dalla fiducia, può trasformarsi in realtà andando ben oltre l’immaginabile.

Elisa: Il romanzo è narrato in prima persona da Agar, Sara e infine Abramo. Soffermiamoci sulle due donne. Che tipo di maternità ci raccontano?

Simona Riccardi: Agar rappresenta, almeno nelle intenzioni della sua padrona Sara, la maternità surrogata, una condizione che in realtà non le apparterrà mai. È una guerriera, si piega senza spezzarsi sotto il peso della fatica e dei maltrattamenti, fugge e combatte contro il deserto, ritorna sui suoi passi profondamente cambiata. Anche se inizialmente cede all’orgoglio e pensa di poter ribaltare a proprio vantaggio la situazione, assurgendo improvvisamente al rango di concubina, in cuor suo non accetta il fatto di dover essere un semplice contenitore, un grembo preso in prestito. Agar si trova a generare un figlio contro la propria volontà ma quando si accorge del frutto che le cresce dentro, da madre acerba e “bambina”, riflesso della giovane età e dell’orgoglio iniziale, si trasforma in una donna matura e consapevole pronta a difendere dalle “stupide leggi umane” – che nulla possono al cospetto di quelle naturali- il legame d’amore con la propria creatura. Semplicemente, non ci sta, poiché nonostante la sua condizione di subalternità c’è un limite oltre il quale evidentemente non è possibile andare. Agar, serbando nel cuore la Promessa di avvenire e di posterità che Dio le ha rivolto personalmente, sarà non solo madre ma anche padre, sempre presente accanto al figlio Ismaele finché questi non sarà pronto, uomo e marito, a dare compimento al piano divino.

Sara rappresenta la maternità negata in un’epoca in cui ogni donna, nel passaggio di proprietà dal padre al marito, era considerata veramente tale solo in quanto portatrice del seme che genera la vita. Lei che, come terreno arido resta esclusa dal mondo fertile, porta dentro di sé un vuoto enorme nel grembo e sulla pelle il marchio indelebile della sterilità, una ferita nascosta eppure più evidente di qualsiasi menomazione. E mentre il suo corpo non risponde alle aspettative della natura – che continua comunque la sua opera creatrice dimenticandosi completamente di lei- gli sguardi inclementi delle altre donne si insinuano tra le sue vesti alla ricerca di un segno di rigonfiamento, sempre lì pronti a ricordarle quanto sia sciagurata la sua condizione. Ella avverte non solo la riprovazione sociale ma anche quella divina bruciarle dentro con un’intensità di sentimenti che cresce insieme all’avanzare dell’età. Ogni giorno che passa sembra aggiungere altro dolore a questa insopportabile mancanza e amplifica il suo desiderio di maternità, vissuto attraverso una nebulosa di sentimenti che lottano per conquistare il sopravvento. Sara li sperimenta tutti, dalla vergogna al disincanto, dalla rabbia alla rassegnazione, ma la speranza di madre alla fine sopravvive oltre ogni lacerante delusione. Nonostante l’umana impazienza e la ricerca di una soluzione iniziale che fa affidamento sulle sue sole forze e che evidentemente non corrisponde al piano divino, questa donna, dopo tanto aver sofferto, troverà nella fede in Dio la sua ricompensa. Il sorriso, non quello incredulo e temporaneo ma quello fiducioso e duraturo di chi crede nella Promessa, si affaccerà sul suo volto nel momento in cui Dio le donerà il miracolo della nascita di Isacco vincendo la vecchiaia e la sterilità. Ecco che la maternità negata, prima solo sognata e immaginata, si fa maternità piena e vera in un tempo stabilito da Dio, proprio quando Sara consegna al Cielo il suo desiderio più grande liberandosi del peso di volerlo vedere realizzato a tutti i costi.

Elisa: Quali sono autori e letture di riferimento.

Simona Riccardi: Sono sempre stata un po’ incostante nelle lettura. Fin da ragazza ho alternato periodi in cui divoravo pile di libri a periodi di “digiuno” totale, quando il corri corri quotidiano prendeva il sopravvento. Mi sono “formata” attraverso i romanzi dei grandi autori di classici per ragazzi che poi ho avuto l’occasione di rispolverare, con una consapevolezza diversa, grazie alle letture della buonanotte per i miei bambini. I miei gusti, per certi versi, sono poi “andati” di pari passo ai loro, accompagnando il primo figlio nella scoperta del genere fantasy, epico e mitologico soprattutto anglosassone, di cui Tolkien rappresenta il padre, e il secondo nella curiosità verso il giallo deduttivo e poliziesco con particolare predilezione per Arthur Conan Doyle e Agatha Christie. Ma la mia passione resta la spiritualità, un mondo così vasto, indefinito, antico e in continua espansione che prende la forma di un labirinto difficile da percorrere nell’estrema varietà di filoni, testi e autori che lo caratterizzano. Tra tutti Kahlil Gibran occupa per me un posto speciale, per la tensione poetica e profetica con cui esprime le sue intuizioni in pagine forti e dense che l’anima del lettore avverte come profondamente “vere”.

Elisa: Parlaci dei tuoi progetti futuri. Pensi già a una nuova storia?

Simona Riccardi: Ho in programma di continuare a scrivere, e in realtà lo sto già facendo anche se al momento mi trovo ferma appena a un terzo del lavoro. Si tratta di un romanzo a sfondo sociale che affonda le radici in una storia vera. Se “Agar e Sara” si pone al confine tra narrativa, teatro ed esegesi biblica, questo lavoro allo stesso modo non ama i recinti sicuri e fa incursione nell’inchiesta, nel giallo e nel romanzo di formazione. Non nascondo però che mi piacerebbe ancora provare ad attingere all’immenso patrimonio delle vicende bibliche per narrare di uomini e donne tanto lontani eppure molto più vicini a noi di quanto possiamo immaginare.