La Fondazione Giancarlo Ligabue promuove insieme al Musée de quai Branly di Parigi una mostra spettacolare e assolutamente inedita.
Originale e innovativa, oltre che dalle molteplici fascinazioni, è la nuova mostra in programma dal 16 ottobre 2021 a Venezia, presso Palazzo Franchetti-Istituto di Scienze Lettere ed Arti, promossa della Fondazione Giancarlo Ligabue presieduta da Inti Ligabue, che ancora una volta ci conduce a scoprire le bellezze artistiche e gli elementi culturali e simbolici di mondi e civiltà lontani, fuori dagli stereotipi.
“POWER & PRESTIGE. Simboli del comando in Oceania”, curata da Steven Hooper direttore del Sainsbury Research Unit per le Arti dell’Africa, Oceania e delle Americhe presso l’Università dell’East Anglia nel Regno Unito – tra i massimi esperti internazionali in materia -, copromossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue con il Musée du quai Branly di Parigi, il museo con la più vasta collezione di arte etnografica del mondo che la ospiterà in seconda sede, riunisce per la prima volta in Italia e in Europa 126 bastoni del comando: mazze di straordinaria bellezza con diverse funzioni, realizzate nel XVIII e XIX secolo,una decina delle quali appartenenti alla Collezione Ligabue.
Una mostra che può considerarsi una pietra miliare, essendo la prima interamente dedicata a questi manufatti sui quali getta nuova luce, e una rivelazione per tutti coloro che sono interessati alla scultura e alle affascinanti culture dei “mari del Sud”.
Il Nuovissimo Continente, come viene oggi indicata l’Oceania, l’ultimo ad essere scoperto dagli Europei prima dell’Antartide, è un insieme estremamente diversificato di isole sparse su metà della superficie del nostro pianeta, accomunate dal grande Oceano che le unisce.
Dall’Australia e la Nuova Guinea a ovest abitate da 50mila anni, alle isole della Polinesia come Tahiti, l’isola di Pasqua e le Hawaii scoperte da intrepidi viaggiatori polinesiani mille anni fa, queste terre hanno una ricca varietà di culture che affascinarono i primi europei, che le raggiunsero a partire dal Cinquecento.
Gli abitanti del Pacifico avevano sviluppato tecniche, usi e forme d’arte originali che si erano evolute o modificate nei territori oceanici in base ai diversi contesti e alla storia di ognuno. I bastoni del comando – solitamente classificati come armi primitive anche se in molti casi mai utilizzati come tali, in realtà anche bellissime sculture in legno, pietra e osso di balena, manufatti dai molteplici usi e significati, pezzi unici espressione della creatività e della capacità di straordinari artigiani – erano tra i materiali più diffusi e ancora prodotti quando, tra Sette e Ottocento, le spedizioni del Vecchio Continente iniziarono a giungere con frequenza in quelle terre, prima che i missionari e le amministrazioni coloniali ne scoraggiassero la produzione.
Oggetto di curiosità e ammirazione, di studio e di collezionismo, vennero portati in Occidente da avventurieri, ricercatori, commercianti, missionari e ufficiali coloniali. Eppure, proprio perché a lungo considerati strumenti cruenti di selvaggi, furono costretti a un ruolo minore nei musei e nelle esposizioni.
Ora i bastoni del comando dell’Oceania saranno mostrati nella loro stupefacente bellezza scultorea e, sfidando gli atteggiamenti convenzionali e “la deformazione percettiva delle letture occidentali”, verranno presentati nelle loro molteplici valenze: vere opere d’arte complesse, rappresentazioni di divinità, status symbol, pregiati oggetti di scambio e accessori per le esibizioni e talvolta strumenti di combattimento.
Opere connesse al potere umano e a quello divino
“Nel mondo Occidentale e in Europa solo in anni recenti si è iniziato a guardare con occhi non viziati da pregiudizi e da preconcetti alle popolazioni e alle culture di continenti lontani: popolazioni spesso sopraffatte e di cui sono state cancellate, volutamente o per supponenza, memoria e saperi” – spiega Inti Ligabue Presiedente della Fondazione Giancarlo Ligabue, che quest’anno festeggia il primo lustro di attività. “Manufatti come le mazze oceaniche sono ancora oggetti in parte misteriosi, non capiamo fino in fondo i loro messaggi né i simboli che le adornano, ma appaiono straordinari per fattezze e le storie che possono narrare sapranno condurci con rispetto attraverso l’Oceano, spiegando le vele della conoscenza“.
Giungeranno in mostra a Venezia pezzi rari e importanti provenienti dalle principali collezioni del Regno Unito e dell’Europa continentale, come il National Museum of Scotland di Edimburgo, il Cambridge University Museum of Archaeology & Anthropology, il National Museums of World Cultures nei Paesi Bassi, il Musée des Beaux-Arts di Lille, la Congregazione dei Sacri cuori di Gesù e di Maria a Roma e da altre collezioni, sia private che pubbliche, che detengono tesori in gran parte mai esposti prima d’ora: in particolare dal British Museum di Londra che presta eccezionalmente per l’evento della Fondazione Giancarlo Ligabue 26 prestigiosi pezzi.
Accompagnata da un prezioso catalogo Skira, “Power & Prestige” è stata anche l’occasione per il primo studio sistematico di questi materiali, che avevano un ruolo importante nelle culture delle isole del Pacifico – nelle Figi, Tonga, Tahiti, Nuova Guinea, Isola di Pasqua e altre isole – espressioni d’arte e usi radicati da conoscere e rispettare; oggetti che hanno suscitato l’ammirazione di celebri artisti del Novecento come Alberto Giacometti, Henry Moore e Constantin Brancusi, ma che sono stati dimenticati o poco indagati dagli stessi musei proprietari.
“La Fondazione Giancarlo Ligabue è un centro di ricerca prezioso per la diffusione della conoscenza sulle collezioni, le culture e su diverse tematiche care ai musei come i nostri” ha dichiarato Emmanuel Kasarhérou Presidente del Musée du quai Branly-Jacques Chirac, commentando la collaborazione tra le due Istituzioni. “Questa relazione è una meravigliosa opportunità per il nostro Museo di condividere le sue collezioni e di farlo per la prima volta, in particolare, con il pubblico italiano. Gli specialisti del settore museale lo sanno, non esiste una ricetta ideale per una mostra di successo. Ma esistono dei punti di vista, degli spunti di riflessione che permettono ai visitatori di “entrare” nel vivo della materia e di realizzare un viaggio nuovo, attraverso le opere. E’ il caso di questa esposizione.“
Una mostra che lo stesso Presidente del Quai Branly, nell’introduzione in catalogo, non esita a definire “di portata storica” per la quantità e qualità dei pezzi esposti e per l’ambiziosa ricerca che l’accompagna.
Procedendo per tematiche, scelte per mettere in evidenza le molteplici caratteristiche e identità degli oggetti, la mostra accompagna dunque in un viaggio attraverso l’Oceania, illustrando anche i percorsi compiuti da queste opere, dalla loro creazione circa duecentocinquanta anni fa, fino all’attuale collocazione nelle teche o nei depositi di musei e collezionisti: oggetto per lo più di baratto in cambio di beni ambìti nei contesti indigeni di allora (“da quelle parti i denti di capodoglio valevano più dell’oro” !), assunti come trofei di battaglia dai pakeha nelle guerre maori degli anni sessanta dell’Ottocento, oppure in molti casi ripudiati dalla comunità locali neoconvertite dai missionari.
Talvolta l’interesse degli europei era semplicemente di tipo folcloristico come souvenir esotici da mostrare o rivendere; tal altra era un interesse di tipo scientifico, animato dalle filosofie illuministe e dal sistema linneano, al fine di portare esemplari di ogni genere nei circoli intellettuali d’Europa come quelli del British Museum o di Oxford, di Cambridge o di Edimburgo.
Joseph Banks – per esempio – fu un grande promotore di questa diffusione al suo ritorno dal primo viaggio di Cook; così come Ashton Lever fondò un suo personale museo noto come Museum Leverianum, prima a Liverpool e poi a Londra, finendo in bancarotta per aver collezionato in maniera ossessiva materiali naturali e curiosità da tutto il mondo.
Venduta all’asta la sua fantasmagorica collezione, che conteneva moltissimi bastoni dall’Oceania, gli studiosi stanno tentando di ricostruirla anche attraverso gli acquarelli realizzati nel 1783 dall’artista Sarah Ston e proprio in occasione della mostra “Power & Prestige”, Hooper e Kasarhérou hanno identificato un bastone della Nuova Caledonia conservato ora al National Museum of Scotland di Edimburgo e aggiunto alla lista una mazza ituki delle Figi conservata a Cambridge: entrambi i bastoni saranno esposti a Palazzo Franchetti a Venezia in questa speciale occasione.
Ci furono anche molte società missionarie, sia cattoliche che protestanti, che raccolsero questi oggetti in musei itineranti allo scopo di esibire il successo delle attività evangeliche e facilitare la raccolta di fondi, mostrando i manufatti dei “pagani ” convertiti, come la London Missionary Society – la cui collezione si disperse a partire dal 1890, confluita in parte cospicua nelle raccolte del British Museum – o la Methodist Missionary Society che invitò i missionari a promuovere la raccolta e la vendita di prodotti locali anche a fini di beneficenza. Alcuni oggetti presenti in mostra provengono da collezioni di questa natura come le due pregevoli sculture antropomorfe dell’isola di Pasqua che adesso appartengono alla Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria di Roma.
Il mondo museale comunque nella seconda metà dell’Ottocento vide emergere figure chiave che promossero l’acquisizione di materiale etnografico sviluppando rivalità sul piano personale ed istituzionale come August Francks al British di Londra, Hanry Balfour al Museo di Oxford, il barone von Hugel a Cambridge e, per l’Italia lo zoologo e antropologo Enrico Giglioli, le cui raccolte sono oggi il nucleo centrale delle collezioni sull’Oceania dei musei di Roma e Firenze.
Insomma, l’Europa cominciava a conoscere, ammirare e studiare questi incredibili oggetti, ma era ancora lontana dal comprenderne la valenza plurima, i messaggi, la grande bellezza, lasciando solo alla avanguardie artistiche il compito di farsi ispirare.
Per ulteriori approfondimenti leggi I bastoni del comando