Finalmente anche in Italia il calcio femminile dal 1° luglio sarà professionistico.
Martedì scorso il Consiglio Federale ha adottato le norme che consentiranno l’introduzione del professionismo nella Serie A Femminile a partire dalla stagione sportiva 2022/23.
Strabuzzo gli occhi: “Ho letto bene?!?“
Facciamo un passo indietro.
Sono passati solo sette anni dall’infelice uscita dell’allora presidente della Lega Nazionale Dilettanti Felice Belloli: “Basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche!“
E poi, quasi tre anni fa, con l’inaspettato quarto di finale raggiunto dalla nazionale ai Mondiali, il calcio femminile è salito di colpo alla ribalta, avvicinando di conseguenza anche sponsor e visibilità. Tra lo stupore generale. Sembra che nessuno sapesse (tranne gli addetti ai lavori) che in Italia un’atleta donna non poteva essere considerata professionista per la legge 23 marzo 1981 n.91, che disciplina il lavoro sportivo professionistico.
Da qui la sacrosanta richiesta da parte delle calciatrici di poter essere riconosciute come professioniste, come già accade in molti paesi europei e negli Stati Uniti.
Mi fermo. Penso.
Alla me bambina che giocava tutto il santo giorno in stradina a calcio con i vicini di casa, alle volte che in campetto vedevo altri bambini e poi ragazzi giocare e non mi volevano mai con loro “perché tu sei una femmina e le femmine non giocano a calcio!” e poi, puntualmente, ero più forte di loro. Alla prima squadretta amatoriale in cui ho iniziato a calciare seriamente un pallone, alle prime partite. Gli sguardi delle persone che mi vedevano indossare una tuta e portare un borsone con scritto “calcio femminile“.
Le volte, troppe, in cui mi sono sentita dire: “Ma davvero esiste il calcio femminile? Ma c’è anche il campionato? Ma il pallone è più leggero? Il campo e le porte sono più piccole? Ma saranno tutte lesbiche o uomini mancati! Ma i genitori lo sanno? Di certo non troveranno mai un ragazzo…“.
Stereotipi, uno dietro l’altro.
Ripenso alle rinunce. Il venerdì sera non poter uscire con le amiche perché ho allenamento, il sabato sera a casa presto che il giorno dopo si gioca. Non poter salire di categoria a causa dello studio o del lavoro. Come puoi prenderti ogni volta un giorno di ferie per andare a giocare in Sicilia o Sardegna? Perché giochi a calcio, mica ti pagano! Se vedi un minimo di rimborso spese per la benzina è già tanto.
Ripenso alla ricerca di Sponsor, alle mille porte sbattute in faccia. Gli sguardi dei custodi dei campi o degli allenatori del settore maschile.
Ripenso alle lotte, tante, per dar visibilità e diritti a questo meraviglioso sport. Alla creazione e realizzazione di quel piccolo torneo denominato “Ragazze nel Pallone” poi diventato l’evento sportivo femminile più grande d’Italia con la presenza, ogni anno, sia di ragazze facenti parte della Nazionale, sia della semplice ragazza che non aveva mai calciato un pallone prima ma voleva solo giocare a calcio e divertirsi, senza pregiudizi. Tuttora il punto di riferimento del movimento attraverso anche dibattiti per cercare di arrivare finalmente al sogno di tutte noi: il professionismo.
Per molti può sembrare solo una parola, per noi atlete questo vuol dire: un contratto di lavoro con un salario minimo, contributi, il Tfr, e soprattutto il diritto alla maternità. Insomma, semplicemente essere considerate come delle normali lavoratrici. Significa non dovere firmare dei contratti in cui si dichiara di non volere figli pena il licenziamento, come successo l’anno scorso ad una pallavolista. Significa non dover lavorare di giorno e andare poi ad allenarsi, stanche, la sera. Significa essere finalmente riconosciute per quello che facciamo, con amore e passione.
Purtroppo questa possibilità non è stata colta anche dalle altre federazioni sportive, per cui una cestista, una pallavolista o qualsiasi altra atleta rimane dilettante. Anche se hanno vinto europei o coppe internazionali. Questo sono. “Femmine” che fanno sport, senza alcun diritto. Ma una porta è stata aperta.
Probabilmente gli stereotipi e gli sfottò ci saranno ancora, ma qualcosa di fondo è cambiato.
Dal 1° luglio ogni bambina potrà dire: “da grande voglio fare la calciatrice.“
Anna Bigarello