Si sente sempre di più parlare del simbolo SCHWA, un fenomeno strettamente correlato al concetto di “inclusività”, in quanto rappresenta una caratteristica linguistica che può contribuire a evitare una marcata differenziazione di genere nelle parole. Lo schwa, come suono centrale indeterminato /ə/, può essere utilizzato per sostituire vocali specifiche, ad esempio nella forma femminile, sia singolare che plurale, di alcune professioni o titoli.
Tale fenomeno, ha generato pesanti e crescenti controversie nonché fazioni opposte: da un lato è considerato uno stupro della lingua italiana (fa ribollire il sangue a chi incontra una frase tipo “mi rivolgo a tuttə”, nel testo di un libro); dal lato opposto, è considerato un’evoluzione della lingua verso la parità dei generi.
Che cos’è lo schwa e come mai se ne discute
La questione ha come suo fulcro un simbolo: lo schwa o scevà, nome che indica una e ruotata di 180°, ossia ə, un simbolo appartenente all’IPA, International Phonetic Alphabet o Alfabeto Fonetico Internazionale, un alfabeto “di lavoro” usato in ambito linguistico per descrivere i suoni linguistici delle lingue del mondo. Osservando la trascrizione fonetica di una parola, dunque, è possibile, posto che si conosca l’IPA, comprenderne la pronuncia.
La Storia e Origini
Il termine schwa è attestato per la prima volta nell’ebraico medievale, parlato da un gruppo di eruditi attorno al decimo secolo dopo Cristo. La sua etimologia non è chiara: alcuni ritengono che sia un lontano parente della parola ebraica shav, “niente”. Altri ritengono che c’entri col significato di “pari”, “uguale”.
Questa forzosa “Inclusività”, naturalmente, non è un fenomeno solo italiano, ma internazionale. Si traduce in diversi modi, in base alla lingua: per esempio in inglese si è affermato in modo spontaneo: they/them (in luogo di He/She e Her/Him), quale pronome non marcato per riferirsi a persone non-binary, o di cui non si conosce il genere.
E non è un fenomeno recente: Le origini dell’uso della schwa nella lingua italiana risalgono a diversi secoli fa. Lo schwa, come suono vocalico centrale indeterminato /ə/, si è sviluppato storicamente attraverso processi fonetici e fonologici che hanno influenzato l’evoluzione della lingua italiana nel corso del tempo.
Lo schwa nella lingua italiana è il risultato di una serie di cambiamenti fonetici avvenuti nel corso dei secoli. Ad esempio, in latino, la lingua dalla quale deriva l’italiano, le vocali non accentate erano spesso ridotte o neutralizzate in un suono centrale indeterminato. Questo processo di neutralizzazione ha portato alla formazione della schwa in italiano.
Le prime testimonianze scritte dell’uso della schwa nella lingua italiana possono essere riscontrate in testi medievali e rinascimentali. Nel corso dei secoli, l’uso della schwa si è consolidato nella fonologia dell’italiano ed ha acquisito un ruolo significativo nella sua prosodia e nell’accentazione delle parole.
È importante notare che l’uso e l’estensione dello schwa possono variare a seconda dell’accento regionale e del contesto linguistico. Ciò significa che la presenza e l’entità della schwa possono differire in diverse regioni italiane e in diversi dialetti.
In definitiva, le origini dell’uso della schwa nella lingua italiana risalgono a secoli fa e sono il risultato di processi di evoluzione linguistica che hanno modellato la fonologia dell’italiano nel corso del tempo.
Ma come si pronuncia?
Lo schwa indica una vocale media-centrale, che si situa al centro del quadrilatero vocalico: se, dunque, per pronunciare le altre vocali occorre “deformare la bocca” (pensiamo ad a-e-i-o-u), per pronunciare lo schwa la bocca va tenuta in posizione rilassata, semiaperta.
Scrive Serena Di Battista, giornalista e linguista: «Non è difficile in realtà emettere questo suono. Basta rilassare tutte le componenti della bocca, senza deformarla in alcun modo e aprendola leggermente. Sentirete vibrare le corde vocali, il suono è indistinto. Un po’ come quando qualcuno ci coglie di sorpresa con una domanda e per prendere tempo emettiamo quel suono aprendo la bocca prima di iniziare a parlare. Viene fuori naturalmente, non bisogna impegnarsi a pronunciare le altre vocali.
Per capirci meglio: è il suono che sentiamo pronunciare all’inizio della parola inglese “about”: non è una vera e propria “a”, neanche una vera e propria “e”, tanto meno una “o”, ma qualcosa nel mezzo. Abbiamo un suono simile anche in tanti dialetti del centro Italia, dove in finale di parola la vocale assume appunto un suono indistinto.
Nell’evoluzione linguista e nel corso dei secoli, lo schwa è stato usato spesso come convenzione grafica. Oggi il dibattito su una lingua italiana più inclusiva propone proprio lo schwa nell’italiano scritto perché si situa nel mezzo, può essere un punto d’incontro, tra le vocali con cui in italiano identifichiamo con maggiore frequenza il genere femminile e quello maschile. Il suono indistinto e la grafia intermedia si prestano a un linguaggio più inclusivo meno legato al predominio del genere maschile»
La risposta del mondo digitale
Con il diffondersi progressivo dell’utilizzo dello Ə è emersa immediatamente la necessità di consentire agli utenti di utilizzare questo carattere sui dispositivi usati quotidianamente per scrivere. Nonostante a prima vista sembri difficile da trovare, esistono diversi modi per inserire lo Ə a seconda del sistema operativo che si utilizza. Microsoft è stata tra i primi ad attivarsi, rendendo immediatamente disponibile lo schwa sulla propria tastiera Swiftkey. Su Word è possibile inserire lo schwa dal menù simboli. Per quanto riguarda il mondo Apple, l’azienda di Cupertino ha annunciato, in occasione dell’ultimo WWDC (WorldWide developer conference), che l’aggiornamento iOS 15, in uscita a ottobre, potrebbe contenere questo carattere nelle tastiere dei dispositivi mobile. Al momento, quindi, il modo più semplice per inserire lo schwa su un dispositivo Apple è il metodo del “copia-incolla” o nel caso del Mac scaricare la tastiera alternativa che contiene anche la schwa.
Al di là dei problemi tecnici, però, la specialista di sociolinguistica Vera Gheno ha sottolineato ancora, in occasione di un’intervista per GQ, l’esistenza di altre due grandi criticità:
«La prima, che è risolvibile, è che i software per la lettura ad alta voce dei testi destinati soprattutto alle persone ipovedenti in linea di massima non leggono questo suono. Quello che non si può risolvere è che lo schwa aumenta le difficoltà di lettura di chi è dislessico: è un simbolo graficamente molto simile alla “e” e alla “o”. Sono limiti che occorre tenere in conto perché una formula davvero inclusiva deve considerare i soggetti che potrebbe involontariamente tagliare fuori».
Strettamente connesso a queste questioni c’è il tema dell’accessibilità del web, che comprende le pratiche tecnologiche per la fruizione di contenuti digitali anche da parte di soggetti con esigenze particolari, come coloro che necessitano di lettori schermo per la comprensione di testi. Nel caso dei computer Mac, il Voice Over interpreta lo schwa come un suono muto, così come il TalkBack di Android e il Read Aloud di Firefox. Lo schwa, quindi, rappresenta ancora un’opzione non accessibile per tutti e dunque non pienamente inclusiva.
La Posizione dell’Accademia CRUSCA
Un articolo de “La Repubblica” del 20 Marzo 2023 Titola: “l’Accademia della Crusca istruisce la Cassazione: Stop a schwa e asterischi, ma sì all’uso del femminile anche nel linguaggio giuridico”. Poi sottotitola: “Via libera a la pubblica ministera, la presidente, la giudice, la questora, la magistrata, che potranno essere usati senza esitazioni”
Secondo l’Accademia della Crusca lo schwa è inaccettabile: “Problemi grafici, nel parlato, difficoltà per le persone con dislessia e opacità tra plurale e singolare”. La proposta: «usiamo in modo consapevole il maschile plurale come genere grammaticale non marcato».
«Anche la schwa dell’alfabeto fonetico internazionale, che rappresenta la vocale centrale propria di molte lingue, non è presente in italiano. E questo per due motivi» – spiega l’Accademia – «Il primo: “La lingua è prima di tutto parlata, anzi il parlato gode di una priorità agli occhi di molti linguisti, e a esso la scrittura deve corrispondere il più possibile”. Il secondo: “La lingua giuridica non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all’idioletto. In una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza» – precisa la Crusca – «di quello che effettivamente è un modo di includere e non di prevaricare».
Quale sarà il futuro dello schwa?
Le lingue sono costantemente in evoluzione e le questioni di genere sono dibattute in tanti paesi. Alcuni valori, come l’inclusività e la parità di genere, sono sempre più centrali nel mondo di oggi e i cambiamenti che si stanno verificando sono dettati dalle trasformazioni sociali. Con particolare riferimento allo Ə, possiamo notare come un’evoluzione strettamente legata all’ambito linguistico incida profondamente anche nel settore della comunicazione digitale e, di conseguenza, in quello della tecnologia e dei dispositivi. Quest’ultima, infatti, deve evolvere tenendo soprattutto in considerazione gli aspetti innovativi e di trasformazione della società, al fine di rispondere al meglio alle esigenze degli utenti di tutto il mondo.
Le numerose difficoltà legate al tema dell’accessibilità costituiscono ancora un ostacolo per ritenere questa soluzione pienamente inclusiva: nel momento in cui, infatti, lo schwa si riuscirà a scrivere con facilità dalle tastiere di tutti i dispositivi e sarà riconosciuto dalle tecnologie assistive, sarà davvero inclusivo.
Considerazioni Finali
“La mia libertà finisce dove comincia la vostra”, scriveva Martin Luther King, e l’estremizzazione della Libertà diventa Anarchia. Tutto va bene finché un pensiero, opinioni e tendenze non diventino imposizione. Altro che democrazia e inclusività: i primi esclusi, come di rito, sono taluni minorati. Personalmente mi rifiuto di comprare un libro dove siano usate le lettere ə nelle frasi, nei dialoghi, ovunque. Purtroppo non è obbligatorio porre un’informativa preliminare sull’utilizzo di una sesta vocale nel testo. Più che mai mi rifiuto categoricamente di pronunciare in italiano lo schwa con un verso animale non rientrante nelle cinque vocali: posso farlo semmai per divertimento, quando cerco di parlare napoletano con la vocale finale neutra, o quando pronuncio in milanese “La Cassoera” ove la “o” si fonde con la “e” in una pronuncia intermedia. La considero una forma di buonismo fazioso ed estremo, ancorché erudito e inutile. Non pensavo che avrei trovato un libro con l’utilizzo di tale simbolo nell’ostentato “rispetto” di una fraintesa parità di sessi. E poi, guarda caso, il problema sussiste più al maschile che al femminile, nel senso che i termini femminili rimangono indeclinati: per esempio il sostantivo “Persona”, preceduto da un articolo femminile, non “offende” nessuno, né maschi né femmine, né altro genere. Il termine “Architetto” urta la suscettibilità di genere, quindi è perentorio sostituire il termine con “Architettə” (orribile!).
E mi chiedo: come la mettiamo con alcuni termini indeclinabili?
Ecco alcuni esempi di parole femminili che possono essere utilizzate anche al maschile e viceversa:
- La guida (femminile): non si può certo dire “il guido”. È accettabile dire “Il mio amico è un bravo guida turistico, anche se stona
- La guardia (femminile): non si può certo dire “il guardia”. È accettabile: “Lui è una guardia di sicurezza molto attento”
- La persona (femminile): Non si può certo dire “Il persona”. Si può dire “Lui è un tesoro come persona”
- La vittima (femminile): Non si può certo dire “Il vittima”. Si potrebbe dire “Mario è stato ignaro vittima di un furto.
- La sentinella (femminile): Non si può certo dire “Il sentinella”. Potremmo dire “Antonio, nel ruolo di guardiano è una sentinella vigile”.
- Il medico (maschile): Ebbene, si può dire “La medica”, (perché è un maschile?), quindi si può declinare. Non si può dire “Lei è una brava medico pediatrico”, ma “Lei è una brava medica pediatrica”. E qui può entrare in gioco il schwa.
E per fortuna esistono sostantivi neutri che mettono tutti d’accordo, come: cantante, giornalista, pianista, barista, e tanti altri.
Temo che il futuro ci riservi il consolidamento di questa moda (non solo) italiana dell’impersonale, oserei dire “New age”, che si estenderà in tutti i campi. Già immagino i nuovi cantautori quando dovranno scrivere e cantare: “Io per ləi non so cosa farei…”. E la rima? Oh sì, risolvo così: “Io per ləi non so cosa farəi”! Oppure: “Ləi è la donna dei sogni miei, e presto lə conquisterəi”… Ops! ho scritto “donna” orrore! non potendo modificare con lo schwa, mi costringeranno a cambiare “donna” in “persona”, perdendo la metrica!
Non sempre le discriminazioni sono “il male”, anzi: talvolta, entro certi limiti, sono necessarie, e, anzi, meravigliose, come nella poesia: la bellezza sarà più affascinante della bruttezza, l’ape è più utile del calabrone, il gatto è preferibile alla puzzola e… il pianeta sarà sempre diverso dalla pianeta (lol). Il mondo è bello perché vario, non perché monocolore! Per trecento anni la chiesa ha discusso sul sesso degli angeli: non avevano pensato di risolvere con il schwa: Angelə
Vincent
Scrittore Musicista, Informatico
Fonti citate nel testo