Da un tuffo nel mare turchese all’incontro con i discendenti del popolo Maya
Nell’interpretazione dei sogni, sognare mare calmo e cristallino, significa serenità, rinascita (di cui il mare è il simbolo), un viaggio introspettivo e il bisogno di guardare dentro sé stessi.
Forse è proprio per questo che, quando si parla di Caraibi, la visione dell’acqua cristallina ci fa immediatamente percepire un senso di tranquillità, di pace interiore.
Gli occhi si illuminano e le bocche si spalancano fino a far cadere la mandibola, quando nel freddo dell’inverno, dopo una giornata di lavoro, metropolitana, piedi freddi e tea caldo, passi davanti a una agenzia di viaggi o sfogli un giornale e vedi la tipica foto da “ma andatevene”, con palme e spiagge bianche.
Ci sono spiagge e “colori d’acqua” in Italia, Grecia, Croazia, degne di essere definite i Caraibi d’Europa (se non migliori, dicono alcuni).
La differenza è, che a dicembre o gennaio, se vivi in una città o Paese dove l’inverno si fa sentire, non possono darti quel tepore di cui hai tanto bisogno.
Una vacanza al caldo, durante il periodo delle temperature rigide, ti aiuta ad affrontare il resto dell’inverno.
Chi fa i calcoli dice: “Vado via a gennaio, mi scaldo, poi c’è febbraio e marzo e già ad aprile comincia la primavera”.
A me che non piace il freddo, la sola idea di allontanarmi da cielo grigio, nebbia, pioggia, zero gradi e atterrare in un posto dove appena esco sento l’aria del mare, il sole sulla pelle e le ossa scaldarsi, crea quell’espressione da “ebete”, di infinita beatitudine.
Togliere piumino, lana e cappello, mettere t-shirt e infradito e sentire che piano piano dal collo e dalla schiena il corpo si rigenera.
Far entrare negli occhi il “colore turchese”, tuffarsi e lasciare che, piano piano, il mare porti via lo stress, lentamente, dondolando, senza fatica.
Il Mar dei Caraibi ospita innumerevoli isole, quelle isole che ideologicamente prendono il nome di veri e propri Paradisi terrestri.
Ci si può ritrovare in punti dove sabbia e mare sono le sole bellezze che ci circondano.
C’è qualcosa di più che si affaccia sul mar dei Caraibi: e se vi tuffaste in questo mare caldo e dietro di voi ci fossero le rovine del popolo Maya e un tempio che vi osserva dall’alto di una scogliera?
È assolutamente incredibile nuotare e, quando ti volti, vedere il Tempio del Dio del Vento, El Castillo, una delle ultime città Maya.
Era la prima volta che andavo nello Yucatan, la regione a sud est del Messico.
Partiti da Milano con neve e freddo ed atterrati a Cancùn. Cancùn, la capitale del divertimento nella Penisola. Una striscia lunghissima di sabbia e mare turchese, grandi alberghi, discoteche, villaggi turistici con le famose piscine che si riempiono di schiuma.
Non molto tempo fa, abbiamo fatto tre giorni di meeting proprio in uno di questi villaggi. Sicuramente, meglio un meeting a Cancùn, tutto compreso, che uno in ufficio.
Essendo però vicini a Tulum e altri posti bellissimi, la mia curiosità mi porta di sicuro fuori dai villaggi.
Ho visto Playa del Carmen per la prima volta quasi vent’anni fa.
Cittadina sulla riviera Maya a sud di Cancùn. Le strade non erano asfaltate, a parte la strada principale, c’erano negozi tipici, barche di pescatori, bellissimi piccoli e tipici locali sul mare, dove poter fare colazione la mattina, ascoltando le onde del mare.
Quando sono andato a Cancùn per quel meeting, con una mia collega, abbiamo deciso di fermarci qualche giorno a Playa del Carmen. Se pensiamo a quanto cambiamo noi in vent’anni, figuriamoci quanto possa cambiare una stupenda località in Messico sul mar dei Caraibi, con il progresso e la richiesta turistica.
Playa del Carmen, sempre bellissima e con locali sul mare molto “lounge”, musica che ricorda il “Buddha bar”. Il Buddha bar era una catena di ristoranti nata a Parigi, da cui si dice sia originata la musica lounge. Una musica elettronica, con ritmi etnici e suoni tribali molto delicati.
Un po’ come il Cafè del Mar a Ibiza, nella zona di San Antonio, dove ci si siede e, accompagnati dalla musica lounge del Cafè, si resta incantati a guardare il tramonto sul mare.
Comunque, per come la ricordavo, Playa del Carmen non esiste più. Sempre meravigliosa ma non era più lo stesso posto che mi aveva ospitato vent’anni prima.
Da Playa, si raggiunge Tulum, la città sulla riviera Maya, una delle ultime città a essere costruite e abitate da questo popolo.
Data la posizione, affacciata sul mar dei Caraibi, fu la prima a essere avvistata dagli Spagnoli. Era chiamata Zama, “Alba”, si suppone per la posizione verso Est.
Non è un dato storico, ma ricordo molto bene il Capodanno sotto il Tempio del Dio del Vento. Ero stato invitato a un Rave party e accettati immediatamente, quando ti ricapita. Arrivati sulla strada principale, per raggiungere il party bisognava attraversare a piedi mezz’ora di foresta, su un percorso non molto chiaro e non illuminato. Io ero in pareo e infradito, non mi pareva di avere neppure la maglietta e così restai per due giorni.
Tutt’oggi la ricordo come una delle più belle feste cui io abbia mai partecipato. Un concerto sulla spiaggia, con dietro la foresta, sotto le rovine Maya.
Proprio perché il Tempio è situato a Est, quando sorge il sole, è il primo a essere “colpito” e lo si vede piano piano dipingersi con i raggi del sole. Tutti affacciati verso il mare, a guardare il sole del nuovo anno, sorgere dinnanzi a noi e al popolo Maya.
Furono gli Aztechi a cambiare il nome da Zama a Tulum, che significa Muraglia. Se visiate il sito archeologico, si vede quello che rimane delle mura. La città di Tulum era molto importante dal punto di vista commerciale e contava un migliaio di abitanti circa. Siamo entrati per visitare El Castillo (il castello), attraversando le mura di cinta.
Qui si possono vedere le rovine di questa incredibile città Maya, rimasta più o meno intatta, anche dopo l’arrivo degli Spagnoli.
El Castillo, che si vedeva a grandi distanze dal mare, fungeva anche da faro per le imbarcazioni per individuare la barriera corallina. Le guide ci hanno raccontato di colori come il turchese, usato in alcune rappresentazioni.
I colori non si vedono più, non oso immaginare la bellezza di questi templi e piramidi con i colori. Senza considerare le testimonianze che ci ricordano come Maya e Aztechi fossero noti per i sacrifici umani. Ci pensammo noi, i colonialisti, gli uomini del Vecchio Mondo, a portare malattie che sconvolsero questo popolo, fino a portarlo ad abbandonare questa città.
I templi principali sono il Tempio del Dio del Vento, il Tempio del Dio Discendente e il Tempio degli Affreschi. All’interno ci sono ancora i murales intatti. Era l’osservatorio per controllare i movimenti del Sole e delle stagioni.
Il Calendario Maya, che compro e regalo ogni volta che passo di là, è un calendario creato per dare un significato agli eventi astrali e quelli terrestri.
Vi è raffigurato un calendario rituale (di 260 giorni) e uno solare di addirittura 365 giorni (una precisione molto simile a quella del calendario che usiamo oggi), però suddiviso in 18 mesi di 20 giorni.
Il tutto veniva raffigurato e inciso sulla “ruota calendaria”.
Ricordo anche tutte le profezie del Popolo Maya legate al suo calendario e alla fine del mondo. Si è scoperto da poco, secondo i calcoli sul calendario e la profezia Maya, che invece del 2012, sarebbe dovuta accadere il 21 Giugno del 2020.
C’è stato un errore di calcolo, comunque, visto che giugno è passato, non preoccupiamoci più.
In realtà si dice che queste “fini”, lette come la fine del mondo, per i Maya fossero la fine e l’inizio di un nuovo Ciclo. Speriamo sia così, visto il periodo da marzo a oggi, chissà che con il nuovo ciclo giri meglio.
Spostandosi dalla riviera verso l’interno, è perentorio visitare Chichén Itza. Questa città Maya, in mezzo alla foresta, ha una piramide che vi lascerà senza fiato, chiamata anch’essa El Castillo.
La piramide è famosa perché – con un gioco di luci creato dai raggi del sole – si vede la sagoma di un serpente su una scalinata della Piramide. Questo avviene solo in un preciso periodo dell’anno, durante L’Equinozio di primavera o autunno.
C’è un campo rettangolare con alte pareti di mura, dove i Maya praticavano uno sport e dove il vincitore, mi hanno spiegato, veniva sacrificato agli Dei, l’onore di entrare in Paradiso. Chissà come andrebbe lo sport oggi se ci fosse ancora questa regola.
Uxmal, magica e misteriosa, mi ricorda il “Libro della Giungla”, è completamente immersa nella foresta e nella vegetazione.
Palenque, nello stato del Chapas, un altro incredibile sito Maya, è stato scoperto solo per il cinque per cento. La vegetazione copre di mistero il resto delle rovine di questa città Maya.
Dai Caraibi all’interno del Messico, per scoprire una delle civiltà più evolute in arte, architettura, scrittura, sistemi matematici e astronomici.
Città e monumenti nel mezzo della giungla, con un centro cittadino e zone residenziali, collegate da strade rialzate. Tutto questo, prima del 500 aC.
Da un tuffo nel mare turchese, all’incontro con i discendenti del popolo Maya. Spiritualità e gentilezza, anche per noi, Popolo del Vecchio Mondo.
Andrea Colombera