Il Sior Pare ha una difficoltà comune a molti. Non si ricorda mai i nomi. Se poi sono stranieri o meno comuni è finita. Di questo però ne ha fatto una virtù. Ogni occasione è buona per storpiarli, e più sono difficoltosi più si ingegna con giochi di parole e riferimenti aulici per definirli. O direttamente citazioni di film.
Con le persone si giustifica sempre in anticipo dicendo con fare sornione:
“Varda, scusime tanto, ma go proprio un’idiosincrasia par i nomi… ( Guarda, scusami tanto, ma ho proprio un’idiosincrasia per i nomi)”
È una cosa che ha sempre avuto, fin da piccolo. Molto spesso poi sono doppi sensi o parolacce velate, ma dette sempre con un fare attenuato.
Non è sempre semplice capirlo se non entri nella sua ottica. A volte ci si mette un attimo a fare il collegamento. Ad esempio:
“Ti xe andada dal caista?” Ora, io ve la traduco anche, “Sei andata da...” ma da cosa?!? Per il Sior Pare è l’oculista. “Ciò, no me vien … Sarò in menopausa! (Eh, non mi viene… Sarò in menopausa!)”
La sua difficoltà maggiore però rimangono i nomi di persona e soprattutto i soprannomi. Soprannomi che poi, lui, storpia ulteriormente. “Francesca” diventa “Cianfresca“, i giapponesi/nipponici diventano “Conicci” da Konnichiwa, il buongiorno in lingua giapponese (leggi qui questo gioco di parole), “Quea in stampee (quella in stampelle)” parlando di una ragazza che la prima volta è venuta da noi in stampelle.
Ospito per qualche giorno un ragazzino giapponese, ero stata ospite nella sua famiglia anni prima. Il suo nome è Hirohisa. Ora, lui non parlava una sola parola di italiano o inglese, il Sior Pare figuriamoci. Per cui è diventato: “Hiroshima”, “Ironchisa” (loro russano), “Iscoresa” (loro scoreggiano). E si indispettiva se chiamandolo, lui non rispondeva!
Ma il top rimarrà sempre la mia amica “Enea”:
“Ciò, ma xe ‘na dona e ea se ciama come?!? (Eh, ma è una donna e si chiama come?!?)” Da lì partì un’escalation. “Ecuba”, “Didone”, “Garibaldi” (ci stiamo ancora chiedendo tutti, lui compreso, come gli sia venuto questo, ma ha continuato a rivolgersi così a lei per mesi… “Ciò, Garibaldi, cossa ti vol che te cusina ancùo? – Trad: Ehi, Garibaldi, cosa vuoi che ti cucini oggi?), “Artemisia”, “Aspasia” e infine negli ultimi anni si è stabilizzato su “Aspasietta” “Parché ciò, xe un’Aspasia, ma più picoetta e coccoea!”
Ogni tanto mi ritengo fortunata di essere laureata in Lingue, per quanto Orientali. Di certo serve un buon traduttore simultaneo per i non avezzi al veneziano e soprattutto al “Siorparese”!
Anna Bigarello