Rumore Bianco: il romanzo post moderno che uccide il post moderno

Da qualche settimana è stato prodotto per Netflix il film Rumore Bianco, firmato da Noah Baumbach, regista di Storia di un Matrimonio. La storia è tratta dall’omonimo romanzo di Don DeLillo, forse uno dei più centrali romanzi della modernità. Ma cosa lo rende così importante?

Si deve dire che il film ha rispettato la fonte originale, riuscendo a veicolare e trasmettere le stesse sensazioni e gli stessi ragionamenti che il libro propone, anche se il medium del libro permette al lettore di immergersi senza via d’uscita dalla testa dell’autore, imprigionato nelle mille riflessioni anche solo di una riga che DeLillo vomita nelle sue pagine. Inoltre, il libro si colloca in un contesto storico differente da quello della pellicola.

Uscito nel 1985, Rumore Bianco viene scritto sulla scia del post-modernismo, inaugurato da Thomas Pynchon a metà anni ’60.

Per comprendere la grandezza di Rumore, bisogna eliminare l’appannaggio che abbiamo sul post-modernismo, che, in quanto fenomeno ancora non superato, è difficile cercare di riconoscerlo in tutti i suoi aspetti.

Il romanzo post-moderno è una tipologia di scrittura in cui si sbrodolano parole su parole, storie su storie, storie dentro storie, con lo scopo di parlare di qualcos’altro. Similmente alla crisi della filosofia del ‘900, c’è sempre un “altro” inesprimibile, una différance;i lunghi sproloqui post-moderni mettono in scena la perdita di direzione e di senso dell’uomo post-guerre mondiali (ma anche post-teoria della relatività). Si prenda ad esempio L’Incanto del Lotto 49 di Thomas Pynchon, in cui, come spesso accade in questa letteratura, uno dei temi centrali è il complottismo (tipico atteggiamento delle persone che sono alla ricerca di un senso del mondo); la trama in sé non è mai complessa (si veda Infinite Jest di David Foster Wallace e il suo mondo di trame semplici e “senza conclusione”, o ancora meglio La Scopa del Sistema, dello stesso autore, in cui nell’ultima pagina manca l’ultima parola del romanzo) e il vero soggetto del libro non è mai esplicito, ma sempre sfiorato, sembra quasi messo da parte, e tendenzialmente questo soggetto è l’angoscia o sentimenti simili.

Tornando a Rumore Bianco, esso ha in sé le tipiche strutture del romanzo post-moderno (tra cui il complottismo), e le mantiene fino alla fine. Ma, c’è un grande “ma”, al contempo cerca di smascherare il silenzioso soggetto scabroso intorno al quale girano tutti gli eventi: quel rumore bianco, che sempre sentiamo in sottofondo e cerchiamo di eliminare, la morte.

Man mano che si avanza nelle le pagine vediamo il romanzo post-moderno abbandonare la sua armatura. Se prima la morte viene trattata con sufficienza e quasi ignorata dalla pletora dei personaggi – rendendo così il tema della morte non inutile, ma perennemente sfiorato e sempre al centro del romanzo – l’ultima parte del libro è la dichiarazione esplicita da parte del protagonista del timore della propria morte.

Il tema non è più nascosto, non è più un rumore bianco, è lì, evidente, il romanzo non è più post-moderno. DeLillo si arrende, fa esplodere la confessione dell’io novecentesco.

Tra le pagine di Rumore Bianco ci si potrebbe perdere per ore, la rosa delle storie e dei significati di queste sono un filo infinito da poter seguire, ma il grande filo rosso che accompagna la narrazione è quello del disvelamento della più grande zona buia che l’uomo posso conoscere, quella della sua fine. DeLillo decide di volere urlare, di eliminare il non-detto.

Forse però questa interpretazione non regge.

Se continuiamo a vedere la storia con occhi post-moderni è facile dire che il vero tema allora non sia la morte, ma il rapporto che i personaggi hanno con essa, e da lì tutto l’ambito delle relazioni che i protagonisti costruiscono. È  quindi fondamentale per il romanzo (in modo molto spinoziano-deleuziano) parlare di tutto ciò che è un personaggio è, di tutto il suo mondo. Solo così, sub specie aeternitatis (sotto l’aspetto dell’eternità, solo se conosciamo il mondo nella sua interezza), si può capire cosa è la morte.

Solo in un modo post-moderno. Quel cassetto che rimarrà sempre vuoto.

Matteo Abozzi