Il “RockDown” di Paul McCartney

La più grande leggenda vivente ha coniato questo nuovo termine: “Rockdown”, ovvero un Lockdown vissuto all’insegna del Rock. Difatti è stata rilasciata verso metà dicembre l’ultima opera dell’ex bassista dei Beatles, “McCartney III”.

Molto difficilmente un artista con così tanta esperienza avrebbe potuto offrire al grande pubblico un’opera mediocre, difatti il disco supera la sufficienza… ma di gran lunga!

“McCartney III” è un’esplosione di suoni, canzoni tendenti allo sperimentale e altre di stampo prettamente pop/rock della migliore produzione contemporanea.

Parlando di produzione: il disco è interamente scritto, registrato e prodotto da Paul McCartney stesso che durante la quarantena aveva bisogno, alla veneranda età di 78 anni, ancora di esprimersi e mostrare i suoi pensieri al mondo. Difatti la canzone più simbolica dell’album è la nona traccia “Seize The Day”, nella quale si parla delle lotte da combattere ogni giorno in quarantena. E di sconfiggerle.

Ma alla fine non ci stupiamo più di tanto nello scoprire che l’album è interamente, dalla scrittura alla produzione, opera del cantautore. Paul McCartney viene ricordato anche come uno dei predecessori della musica Indie. Il suo primo album da solista “RAM”, ha seguito quasi ugualmente lo stesso processo di “McCartney III”.

Ma andiamo a tuffarci con occhio critico tra le tracce.

Long Tailed Winter Bird

La prima traccia. Signori, la prima traccia di quest’album. “Long Tailed Winter Bird” è stata scritta per caso. Quello che racconta McCartney infatti è che la canzone è uscita da sé mentre stava lavorando all’intro dell’ultima canzone dell’album, “Winter Bird/When Winter Comes”. Un inizio così rock non lo si trovava da “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”. La canzone è per il novanta percento strumentale. La chitarra acustica sembra essere una tromba elettrificata. L’intera canzone si muove tra corde acustiche e porta fino alla fine un riff che si stampa nella testa senza smuoversi più. McCartney è riuscito a creare una canzone dal cuore rock senza usare strumento elettrico di alcun tipo. Ha dimostrato la sua bravura nella scrittura, ma più che altro nell’arrangiamento. Veramente impeccabile e,nella sua semplicità, complicatissimo.

Find My Way

Ecco tornare un McCartney più “tranquillo”. La canzone ha una classica struttura pop e ricorda lo stile di McCartney in “New”. Traccia buona, ma dopo un’apertura del genere, è difficile da inquadrare e destabilizza un poco. È un’ottima canzone, ma nulla di sconvolgente. Facilmente sostituibile con altre canzoni passate della sua carriera.

Pretty Boys e Women and Wives

Eccoci giunti alle tracce più deboli dell’album. Queste due canzoni sono abbastanza anonime. Anche se il testo di “Pretty Boys” potrebbe fare emozionare i fan più accaniti dei Beatles, le canzoni non sembrano tenere il confronto con le altre dell’album. Due svogliate canzoni pop che crollano di fronte alle altre.

Lavatory Lil

Cosa odono le mie orecchie? Purtroppo su questa canzone non posso rimanere oggettivo! Se Paul McCartney mi propone una canzone Blues/Rock, non posso fare che sciogliermi. La canzone, pur avendo questo stile, non stona assolutamente con il resto dell’album. McCartney riesce a togliere la polvere dal Blues e a regalarci una canzone fresca, che dura maledettamente troppo poco. Per questo è da ascoltare e riascoltare! Voce ruggente e invogliante. Riff di chitarra semplice ma di un sublime rock in 4/4. Per chi volesse affrontare più canzoni del genere, McCartney fece uscire “Run Devil Run”, dove il musicista inglese ripercorre alcune tappe della sua sua crescita attraverso pezzi Rock’n’Roll della sua infanzia.

Deep Deep Feeling

Traccia controversa, ripescata dallo stile dell’album “Memory Almost Full”, uno degli album più particolari di McCartney. Una canzone alla quale difficilmente ci si può affezionare, anche se presenta il cuore di McCartney servito su un piatto d’argento. Il concerto di voci che è struggente e triste, così come l’arrangiamento “storto”; il tutto richiama una dimensione di disagio. Non penso che sentiremo mai questa canzone dal vivo.

Slidin’

Ecco ruggire le chitarre elettriche con un riff alla Rolling Stones. McCartney presenta un pezzo rock sia nel suono che nella forma. La voce però non sembra reggere la controparte degli strumenti, il che è particolare. Nelle altre tracce, come “Lavatory Lil” o “Deep Down”, la voce di Paul è graffiante e totalmente convincente, in “Slidin’” un po’ meno. La potenza del riff iniziale non riesce a mantenere la promessa della sua potenza fino alla fine del brano.

The Kiss of Venus

Finita la confusione rockettara di “Slidin’” si passa a una tranquilla traccia acustica, che richiama le atmosfere di “Chaos and Creation in the Backyard”; a prova di ciò la canzone è intervallata da un suono già sentito in tracce tipo “English Tea”. La canzone si basa su un simpatico riff che solo Paul McCartney potrebbe cantare con quella dolcezza. Poteva essere di più? Sì.

Seize the Day

“Seize the Day” è l’altra canzone da pop radiofonico che può essere annoverata come tale insieme a “Find My Way”, questa meno convincente di “Seize the Day”. La canzone è infatti molto tendente al rock, con chitarre che richiamano lo stile di Brian May dei Queen, nascondendo una grande potenza tra le sue note.

Deep Down

La penultima traccia è una marcia in minore dove la chitarra acustica torna a suonare come una elettrica. Lo stile sembra essere quello dei Daft Punk che decidono di darsi al rock. Le varie voci di McCartney suonano come devono suonare. Graffianti e struggenti. L’unico difetto è che la canzone potrebbe essere un po’ ripetitiva. Tant’è che alla fine c’è anche un ripresa del main riff, che si poteva evitare in toto, anche se la scala che fa Paul con la voce in quel punto è forse il punto più alto di tutto l’album.

Winter Bird / When Winter Comes

L’album si chiude con una traccia acustica, che nuovamente riprende quelle atmosfere di “Chaos and Creation in the Backyard” e tra le due tracce, questa e The Kiss of Venus, sembra essere questa vincere sull’altra, che inizia e finisce senza aver bisogno di interruzioni. Compie la sua missione senza ostacoli, con attacchi tra strofa e ritornelli da prendere come esempio. La voce e la chitarra si sposano nuovamente in maniera egregia e sembra essere la fine perfetta di McCartney III.

Come da tradizione “McCartney III”, seguito di “McCartney” e “McCartney II”, è un album sfaccettato e forse uno dei migliori dell’ex Beatles. Quella che abbiamo fatto è un’analisi critica canzone per canzone, riconoscendo i punti di forza e i punti deboli che ovviamente ha, ma l’album è sicuramente uno dei migliori di questo decennio. Se McCartney decidesse di concludere così la carriera, saremmo fieri della sua ultima opera. E se invece volesse continuare a sfornare nuovi capolavori del genere… ben venga!

Matteo Abozzi