Giuseppe Costa, Gingolph e la musica “oriunda”

In libreria dal 5 maggio con Gingolph e la musica “oriunda”, Giuseppe Costa, blogger – e tanto altro – siciliano, si racconta ai lettori del Giornale delle Buone Notizie.

Ciao Giuseppe, grazie per aver accettato il nostro invito. Iniziamo dal tuo nome d’arte, che ritroviamo nel titolo del tuo romanzo. Chi è Gingolph e perché si chiama così?

Gingolph è il mio pseudonimo, scelto durante i primi anni di liceo. Mi rappresenta nelle varie attività più o meno ludiche. Era il giovanotto che navigava nei vari newsgroup quando il web era ancora rudimentale. Era il Mago che accumulava punti nelle varie avventure di Dungeons & Dragons. È il curioso (e presuntuoso) blogger che condivide le sue emozioni pensando che ci sia chi voglia leggerle.

Nasce da Argo il cieco, il secondo romanzo pubblicato da Gesualdo Bufalino. Il protagonista elenca le sue letture adolescenziali responsabili del suo inguaribile romanticismo. Tra queste appunto Gingolph l’abbandonato, con cui fu facile identificarmi.

Credevo fosse un titolo inventato, invece esiste: è un romanzo di Renato Bazin degli anni Venti. Dallo scorso Natale una copia antica campeggia sulla mia scrivania, grazie a una amica carissima che lo ha scovato e me ne ha fatto graditissimo dono.

Ho avuto il piacere di conoscerti di persona e di apprezzare le tue doti oratorie, che metti a disposizione di eventi culturali nel nostro territorio. Da oratore, quindi, a scrittore. È stata un’evoluzione spontanea? Come ti senti “dall’altra parte”?

Intanto ridimensionano subito il fenomeno. Scrittore è troppo, non sono uno scrittore. La spinta che mi anima nasce da lontano. Sono figlio unico, e da sempre, cerco fratellini e sorelline con cui giocare. Le attività di oratore, come mi definisci tu, e di blogger, sono la naturale (spontanea) evoluzione di questa ricerca. Se ascolto una musica che mi piace, leggo un libro che mi emoziona, vedo un film che mi appassiona lo devo dire a qualcuno, lo devo condividere con qualcuno. Questa condivisione aumenta il piacere della lettura, ascolto o visione.

In questo senso la scrittura di questo libro rimane dentro questa tensione, questa ricerca, non è un passaggio ulteriore.

Non sono uno scrittore, dall’altra parte non ci sono, mi sentirei un impostore a sedermi da quella parte. Sono ancora di qua a dire cosa mi è piaciuto, solo che stavolta le domande le fanno a me.

Qual è il tuo rapporto con la musica e in che modo sviluppi il tema nel tuo romanzo?

La musica è la parte essenziale del viaggio, del percorso umano. La musica avvolge e sostiene qualsiasi attività. Ascolto tanta musica in tanti momenti della giornata, quando posso anche al lavoro. Non ho preclusioni sui generi e sono molto curioso delle novità.

La musica può indirizzare il mio umore aiutandomi a cambiarlo quando serve, oppure aiutandomi a attraversarlo quando serve. Ci sono momenti in cui la tristezza è tanta che non serve contrastarla, allora scegli una musica che la evidenzi, la approfondisca, la rinforzi, la attraversi ben bene e poi la tristezza se ne va, come la febbre quando ha compiuto la guarigione.

In alcuni casi è proprio la musica stessa, la successione di note, lo scambio di accordi che suscita emozione in maniera diretta, sensoriale proprio, indipendentemente dai testi e dal loro significato. Allora mi capita di ridere o piangere senza alcun motivo, solo per effetto di quella magica combinazione di suoni.

Nel libro la musica è il filo che lega memoria e affetto, che lega territorio e emozioni. Avvolge e sostiene le parole del racconto di questo viaggio.

Cosa intendi per musica “oriunda”?

È una definizione ironica e un po’ posticcia per identificare la musica che piaceva a papà e che inseguo anch’io. La musica che mi piace ascoltare e che mi risuona di terra e di origine. A papà piaceva tanto la musica e quando ne scovava qualcuna che gli piaceva più di altre si sforzava di ricercarne una radice, una essenza che la riportasse anche in senso lato alla Sicilia. Se gli piaceva tanto doveva per forza essere siciliana in qualche modo.

Quando ero ragazzo, la Lega limitava a due il numero di stranieri che potevano militare nelle squadre di calcio. Per superare furbescamente quel limite, ci si affannava a ricercare anche lontanissime origini italiane ai campioni stranieri per naturalizzarli e aggiungerli alla squadra. Questi calciatori erano definiti oriundi, come Omar Sivori.

Poiché papà amava tanto la musica quanto il calcio ho definito oriunda la musica per cui ci sforziamo di trovare radici, essenze di sicilianità.

Come hai affrontato la stesura di Gingolph e la musica “oriunda”?

Come ti ho già detto non mi sento, non sono, uno scrittore. Ho rifiutato tante volte i suggerimenti, le pressioni per scrivere un libro, non credo di averne le capacità.

Quando, in una delle volte che ci ha provato, l’editore Silvio Aparo, temerario più che coraggioso, mi ha detto: se non vuoi scrivere un romanzo, parla della musica che ti piace. È scattato qualcosa. Ho visto in pochi istanti il filo e la trama, lo spirito e il desiderio. Ci ho rimuginato tutta la serata, ridefinendo ogni volta di più quello che vedevo. Tra Pasqua e 25 aprile l’ho scritto e inviato all’editore, confidando in suo ripensamento, in uno scatto di prudenza che non ha avuto, e il libro è uscito con Apalòs il 5 maggio.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Hai in serbo un altro romanzo?

Non ho progetti futuri. Sono più che contento così. Sto riscontrando tanto affetto intorno a questa piccola cosa che ho scritto, perché rovinare tutto con un passo più lungo della mia gamba?

Scherzando Emiliano Colomasi, scrittore vero, giornalista, intellettuale, durante la presentazione del libro a Siracusa ha minacciato che potessi scrivere un volume due: Gingolph e la cinematografia oriunda. Lo spunto è suggestivo, ma voglio troppo bene ai miei amici per condannarli a un altro mio libro che sciupi carta e inquini l’ambiente.

Ringrazio Giuseppe per la sua disponibilità.

Se vi va, lo trovate in giro per eventi ma anche ai link indicati di seguito.

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Alla prossima!

Claudia Cocuzza