Numa Pompilio, il secondo re di Roma: non avrei mai creduto che leggere delle vicende di una figura storica di questo tipo mi avrebbe coinvolta così tanto.
Temevo che mi sarei ritrovata ad affrontare un mattone pieno di date, con una sfilza di eventi snocciolati in ordine cronologico. Capacità di entusiasmarmi stimata: prossima allo zero.
E invece, quando il figlio dei numi ha chiuso gli occhi ed è tornato a casa, ho pianto.
Come se fosse stato un amico a cui ho dovuto dire “addio” troppo presto.
“Numa. Il figlio dei numi” è senza dubbio uno storico, con un’impalcatura portentosa, rigorosa e puntuale a sostenerlo, ma è in primis un romanzo in grado di catturare il lettore in una maniera impressionante.
Numa diventa il protagonista di una storia che, se non fosse ambientata nel VII secolo a.C. ma ai giorni nostri, risulterebbe ugualmente credibile. Nato con la stoffa del leader, a cui si unisce una miscela ben dosata di intelligenza e umiltà, la sua preoccupazione per il bene del proprio popolo prima ancora che per sé stesso e, sopra ogni cosa, la sua ricerca della pace, ad ogni costo, me lo hanno fatto immaginare come una sorta di Martin Luther King o di Gandhi ante litteram: un capo carismatico e attualissimo, uno di quelli di cui avremmo tanto bisogno anche oggi.
Ho amato la capacità degli autori di caratterizzare i personaggi, a partire da Numa, certo, ma tutti appaiono vivi: il saggio Hirpino; le mogli del re, Tazia e Lucrezia, umanissime nel loro essere madri premurose e mogli gelose; le due camene, figure misteriose e affascinanti, che hanno amato e accompagnato Numa fino alla fine dei suoi giorni; gli amici di una vita, Mamerco e Mamurio, con Claudio sempre vivo nei loro ricordi; l’antagonista di sempre, Velesio Valerio.
Ma è Numa che ha lasciato un segno indelebile sul mio cuore: il re della pace, colui che, con la propria astuzia adoperata al bene, è riuscito a tenere Roma lontana dalla guerra per tutta la durata del suo lungo regno; ma soprattutto ho amato il Numa uomo, l’uomo gentile e rispettoso nei confronti delle donne, l’uomo appassionato e innamorato, l’uomo devoto a Giano che aveva deciso di rinunciare per sempre alla politica per dedicare la propria esistenza al raggiungimento di un obiettivo altissimo, ossia riportare l’equilibrio fra gli dèi e gli uomini, scegliendo l’isolamento e la meditazione.
Ma il destino aveva in serbo altro per lui.
“Soltanto chi ha saputo rinunciare al potere è adatto a esercitarlo” aveva sentenziato Romolo, indicandolo come proprio successore.
Per una parte del romanzo ‒ e della Storia ‒ la strada di Numa si incrocia con quella di Romolo, ma anche con quelle di Tullo Ostilio e di un Anco Marzio ancora infante. E così la Storia, quella con la “S” maiuscola, diventa semplice, come se non avessimo a che fare con gli uomini che hanno reso Roma la più grande potenza dell’antichità, ma con gente comune descritta nella propria quotidianità, e il lettore si ritrova a far parte di quella quotidianità e a condividerla con loro.
La magia di “Numa. Il figlio dei numi” è questa: a un certo punto, nel bel mezzo della lettura, ti accorgi di essere sul divano in jeans e maglietta e ti stupisci, perché ti credevi al Foro Romano con tunica e sandali.
Per questo mi piacerebbe che i nostri ragazzi studiassero su testi del genere: di certo ne conserverebbero un ricordo più nitido e duraturo; imparerebbero che la Storia è fatta dagli uomini e capirebbero che ogni nostra decisione, grande o piccola che sia, può contribuire a darle una direzione.
Claudia Cocuzza