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“Tre minuti” di Matteo Materazzo

Ulisse non si chiamava così perché i suoi genitori avevano pensato a Ulisse, a Itaca o all’Odissea. Non si chiamava così nemmeno perché sua madre, un’insegnante di inglese amante di Joyce, si era ispirata all’Ulysse.

Ulisse si chiamava così perché suo padre, un pilota militare, con la passione per gli aerei e le grandi battaglie della Storia, vent’anni prima gli aveva voluto dare il nome di Ulysses Grant, il generale americano che aveva vinto la Guerra di secessione […]

Ulisse è il protagonista di questa storia.

È un ragazzone alto due metri ‒ comprese le scarpe, ci tiene a precisare ‒ con gli occhiali dalla montatura nera alla Clark Kent, ex giocatore di basket, che ha appena completato il primo anno di Università, DAMS di Bologna indirizzo cinema, e si appresta a godersi una meritata pausa estiva.

L’intenzione è di passare qualche giorno sulle Dolomiti con la ragazza brasiliana di cui si è invaghito, Gloria, ma le cose non vanno secondo i piani e Ulisse si ritrova, sconsolato, a guidare la sua Panda verso il paesino di montagna in cui si trovano già i genitori e dove ha trascorso tutte le sue estati da bambino.

A questo punto sembra che nulla potrà cambiare la piega che questo mese di agosto ha preso ma, prima di partire, Ulisse trova in casa la AGFA 8 mm Movex Reflex del nonno, una cinepresa vecchia ma ancora funzionante. Un gioiellino in grado di permettere riprese mute di massimo tre minuti.

L’estate di Ulisse e dei suoi giovani amici ‒ Margherita, Filippo e Goffredo ‒ svolta.

Ulisse non si chiamerà così né perché i genitori si sono ispirati all’Odissea e neppure perché la madre ama Joyce, ce lo dice l’autore nell’incipit del romanzo, eppure questa storia ha tutta l’aria di essere un viaggio esistenziale.

Ulisse è nella terra di mezzo: non è più un bambino ma non è ancora un adulto e questa estate, in cui un po’ per gioco e un po’ per noia decide di realizzare un cortometraggio, sembra un’estate qualunque, nel paese delle vacanze di sempre ‒Little Tower, lo chiama lui, per via della torre che si vede svettare sin dalla strada‒, con gli amici di sempre, con i genitori, con la zia e i cugini che si trasferiscono lì un mese l’anno come loro, ma in realtà non è un’estate qualunque.

Ulisse sperimenta la prima delusione d’amore, fa la conoscenza con tachicardia e perdita di sonno, ma al contempo inizia a delinearsi la strada che il suo futuro seguirà: la 8 mm del nonno è una folgorazione e lui decide che ‒ non sa ancora bene in che modo ‒ sarà l’emblema della sua vita.

Il cortometraggio diventa una valvola di sfogo anche per i piccoli attori assoldati da Ulisse: per Margherita, con un debito in matematica da recuperare e in costante lotta con la madre, la zia Titti, che incolpa della separazione con il padre; per Filippo, fratello di Margherita, e per gli altri ragazzini, Goffredo, Bomber e Sofia, che hanno la possibilità di spezzare la monotonia dell’estate in paese ‒sebbene, bisogna dirlo, sia descritto come un delizioso paesino di montagna circondato da una natura quasi incontaminata‒, staccare gli occhi dagli smartphone e vivere la vita dal vivo, non tramite la vetrina dei social.

Sullo sfondo, scorre, come in una carrellata, la vita degli adulti, con le loro frustrazioni, i loro rimpianti e le loro paure.

Alla fine il nostro Ulisse girerà il suo corto e inoltre si renderà conto di essersi innamorato davvero, perché inizierà ad avere paura di tutto, per l’incolumità fisica sua e dell’amata in primis.

Benvenuto nel mondo degli adulti, ragazzo.

Il film era durato tre minuti. Soltanto tre minuti, ma a Ulisse sembrò che fosse per sempre.

Claudia Cocuzza