Nella mitologia greca, in quella romana e persino in quella norrena si trovano tre figure alle quali molto spesso si fa, anche involontariamente, riferimento parlando del “filo della vita”.
Moire, Parche, Norne. Qualsiasi sia il loro nome, il loro compito è tessere, scrutare e recidere il famoso filo.
Nascita, vita e morte.
Nel mentre ogni singolo filo si intreccia ad altri, determinando degli incontri.
Alcuni di questi incontri sono destinati a durare, altri sono un fugace attimo che nel tempo potrebbe rivelarsi più significativo di quanto fosse sembrato, oppure uno di quegli istanti dei quali non si avrà alcuna memoria, perché troppo insignificante.
Prendiamo un treno a caso, immaginiamoci seduti a uno dei tanti posti e adesso riempiamo il nostro vagone di persone, persone sconosciute. I nostri fili si sono appena intrecciati, creando piccoli nodi, piccole connessioni, sì, persino con il tipo che sta parlando ad alta voce al telefono e che – accidenti! – ci sta stordendo proprio quando noi vorremmo solo dormire; persino con il bambino che continua a piangere, gridare e, per quanto magari ci possa fare tenerezza, ci sta facendo venire il mal di testa.
O semplicemente con il nostro silenzioso vicino, salito alla stazione dopo la nostra.
Ecco, diciamogli buongiorno, per educazione.
Forse, magari fra tre anni, lo incontreremo di nuovo e avremo memoria di questo incontro; forse no, perché non lo abbiamo nemmeno guardato in faccia: stavamo guardando fuori dal finestrino, con la musica nelle orecchie.
Chissà…
Fatto sta che questa presenza di poche ore ha appena intaccato il nostro filo, lo ha appena annodato. Potrebbe anche avergli fatto prendere nuove sembianze.
Amicizie e amori nati tra i pendolari o l’improvvisa attrazione che vede coinvolti due sconosciuti che, per caso o Destino, si trovano e si riconoscono nel profondo. L’incontro di pochi attimi potrebbe cambiare irrevocabilmente il nostro percorso.
Ha dell’incredibile che chiunque incontriamo possa influenzare il nostro intero futuro, a prescindere da quali fossero i nostri piani e sogni. Il nostro filo, intrecciandosi con altri, va a formare un tessuto, un tessuto che connette tutti indistintamente e persino senza che abbia un senso (evidente o palese).
Il tessuto a sua volta fa parte di un qualcosa di più grande; se ci riferiamo alla biologia, i tessuti formano gli organi, gli organi gli apparati e gli apparati sostengono l’individuo nel suo intero.
In quest’ottica, ogni singola relazione interpersonale, per quanto fugace, diviene necessaria non solo al proseguimento della specie, ma affinché l’esistenza stessa dell’individuo acquisisca un senso.
Dopotutto, non è forse comune dire che “l’uomo è un essere sociale”?
Silvia Costanza Maglio