Negli ultimi anni, i videogiochi di ruolo hanno coinvolto migliaia di appassionati in scenari sempre più coinvolgenti, graficamente perfetti e studiati fin nel minimo dettaglio.
Troviamo scenografie impeccabili in cui calare personaggi sempre più “vivi”, che assomigliano sempre più a dei fotogrammi che a opere d’invenzione.
Ma che ne è dei videogiochi più vecchi, quelli che andavano di moda prima che la grafica superasse in importanza il gameplay? Vi sono i cosiddetti “old but gold”, amati dai più strenui appassionati, ma ho intenzione di parlarvi di un gioco che ha avuto una fortuna piuttosto limitata in Italia, ma che davvero meriterebbe considerazione.
Si tratta di Dragon Age Origins, videogioco di ruolo uscito nel 2009 grazie a BioWare, ambientato in un fantomatico medioevo.
La grafica non corrisponde a titoli più famosi come Skyrim, Call of Duty o Final Fantasy, certo, e il fatto che non sia open space convince molti giocatori a preferire altri passatempi a quello che, a una prima occhiata, sembrerebbe un gioco abbastanza banale. La meccanica di gioco è piuttosto semplice: un tasto solo per l’attacco base, due slot diverse in cui raggruppare sei mosse speciali scelte dal giocatore, le altre vanno selezionate manualmente dal menu circolare, e si passa all’attacco delle varie creature mostruose del gioco, in particolar modo le darkspawn (avversari principali del nostro Custode Grigio, il personaggio che avremo creato).
Già nella creazione del personaggio, il giocatore si cala nello scenario fantasy della storia: deve infatti scegliere non soltanto il sesso e la razza del proprio Custode (umano, elfo o nano) ma deve anche scegliere una storia fra quelle disponibili. A seconda della razza e della classe (guerriero, mago o ladro), si hanno più o meno opzioni fra cui scegliere.
Nella griglia per modificare l’aspetto potremo cambiare il volto del nostro personaggio, e di certo noteremo che soprattutto a livello delle guance le impostazioni esistenti non aiutano a creare un Custode particolarmente affascinante.
Ma terminato ciò, è di sicuro importante premere su “avanti” e scegliere personalmente come distribuire i primi 5 punti di caratteristica, un punto abilità e due punti talento, che servono rispettivamente a migliorare le statistiche in battaglia del personaggio, le abilità generiche e infine a determinare cosa egli potrà fare attivamente o imparare in modo passivo.
Vale la pena spendere qualche parola sul funzionamento della griglia dei talenti, che, a prima vista, potrebbe confondere anche i giocatori più incalliti.
Vi sono molteplici caselle in gruppi di quattro, e ciascuna casella corrisponde a un talento o un incantesimo che il personaggio può imparare.
Le caselle raggruppate servono semplicemente per radunare talenti o incantesimi con una qualche affinità, ma servono soprattutto per far comprendere quali si sblocchino prima. Man mano che si progredisce nel gioco e si aumenta di livello, i talenti e gli incantesimi sbloccabili aumentano di conseguenza.
La classe del personaggio determina quali siano i gruppi di talenti che compaiono nella griglia:
– I guerrieri hanno accesso a tutti i talenti relativi alle armi, ma non agli incantesimi o alla ‘manualità’ ladresca;
– I maghi hanno accesso agli incantesimi, ma non ai talenti relativi alle armi, né alle peculiarità dei ladri;
– I ladri hanno più talenti disponibili rispetto alle altre classi, ma non hanno accesso ad alcuni gruppi di talenti relativi alle armi (armi a due mani, arma e scudo) né agli incantesimi. Tuttavia, data la loro spiccata manualità criminale, potranno imparare dei talenti unici che consentono di scassinare meglio le serrature, combattere ingannando il nemico e diventare ancora più agili.
Detto questo, va subito notato un dettaglio: in Dragon Age Origins la storia è un punto focale del gioco. Moltissimi videogames raccontano storie eroiche, ma solo un’occhiata superficiale vedrebbe la “solita vecchia solfa”: un eroe venuto dal nulla viene scelto dal destino per salvare il mondo, rilucente nella sua armatura e fregiato delle lodi di chi ha assistito alla sua impresa.
In realtà, quello dell’intera saga di Dragon Age è un complesso reticolo di storie a sé stanti che finiscono per intrecciarsi alla trama, spesso in modi del tutto impensati.
Un elemento che molti giocatori distratti avranno considerato poco è il cosiddetto ‘codice’, che a prima vista può sembrare un’infinita risma di informazioni poco utili, ma che in realtà illustra un panorama di gioco ben più vasto di quello in cui si muovono i personaggi.
Man mano che si scoprono nuove voci del codice, si viene a conoscenza di nuovi capitoli di uno straordinario romanzo epico: ben lungi dal fermarsi al semplice Ferelden, il codice illustra con dovizia di particolari i luoghi dell’intero Thedas, dal misterioso Rivain colmo di superstizioni popolari alla sinistra città di Antiva, nota per i suoi assassini e per la passione dei suoi abitanti, alla minacciosa Par Vollen con i suoi “qunari” sempre in lotta con il Tevinter, i cui maghi sembrerebbero aver compiuto le più macabre aberrazioni.
Senza fermarsi a questo, il codice spiega in molti casi come sbloccare particolari missioni che non sono segnalate come tali nell’apposito pannello e, solo leggendo con attenzione alcune note, si potranno sbloccare oggetti straordinari, come la spada “Senza Età” nel palazzo reale di Orzammar, o l’armatura di Juggernaut in una tomba elfica nascosta da una porta chiusa con un meccanismo magico.
Inoltre in alcuni casi apre delle sfide di cui si scoprono solo più tardi le conseguenze, come nel caso della missione “Scienze dell’evocazione” nella Torre dei maghi; seguendo le istruzioni del codice, si possono infatti evocare quattro creature con conseguenze tutt’altro che prevedibili.
Da non sottovalutare poi i personaggi con cui si apre una conversazione, ossia quelli con i quali appaiono le possibili risposte. A volte non ci sarà molto da dire, ma spesso questo significa che non è stata sbloccata la missione a loro relativa.
Altri personaggi, tra cui quelli che accompagneranno il nostro Custode, avranno invece un lungo corredo di opzioni di dialogo: è sempre il caso di scegliere con attenzione, in quanto si possono perdere occasioni di amicizia quanto di guadagni cospicui.
Un altro elemento interessante è senza dubbio la personalità di ciascun personaggio, dai più insignificanti a quelli più strettamente legati al Custode.
Tenere a bada i propri compagni di viaggio è poi complesso, proprio come nel caso delle reali relazioni umane: Alistair è un guerriero coraggioso ma eterno bambino, incapace di assumersi responsabilità a meno che non venga messo davanti a se stesso; Morrigan è arrogante e cinica, ma con l’approccio giusto può mostrare di avere un cuore; Leliana è sognatrice e troppo idealista, a meno che non le si ponga la questione di cosa sia davvero giusto per lei; Sten è riservato e severo, ma ha una profonda sensibilità verso l’arte e le piccole creature. Wynne è la saggia del gruppo, ma nel sentirla conversare con gli altri si evince che non è affatto bacchettona come potrebbe sembrare, mentre Oghren, beh… È proprio l’ubriacone che sembra.
Un discorso a parte meriterebbe Zevran, l’elfo di Antiva che potrà essere salvato dal Custode dopo che avrà cercato di assassinarlo. Infatti il giovane è un membro dei Corvi, assassini prezzolati che gestiscono di fatto il potere nella propria patria. Da molti considerato come antieroe per via del suo carattere e della sua professione, in realtà mette in luce un aspetto profondo dell’essere umano: il cambiamento, che avviene grazie a una persona in grado di vedere dentro le piaghe più nascoste del proprio animo. Dapprima sleale e pronto a tagliare la corda alla prima occasione, Zevran diviene leale fino alla morte al Custode qualora si innamori di lui/lei o nel caso vi
instaurasse una profonda amicizia.
Ciò che va rilevato in questo videogioco è la profonda psicologia data soprattutto ai personaggi principali, che rivelano se stessi non solo col Custode, ma anche discutendo fra loro, facendo emergere tratti del carattere spesso inaspettati.
Sovente alcune discussioni, come peraltro alcuni punti salienti della trama, portano a riflettere e a porsi domande, che sono sì legate al gioco, ma che in qualche modo si legano inestricabilmente alla realtà.
Basti pensare al Circolo dei Maghi, luogo in cui ciascun umano o elfo in possesso della magia viene recluso, spesso fino alla fine dei suoi giorni. Il giocatore assennato inizierà a farsi domande, a pensare se sia giusto o sbagliato, se gli abusi dei templari nei confronti dei maghi possano essere sempre giustificati, o se in fondo i maghi dovrebbero essere messi in condizione di provare al mondo di meritare la libertà.
Il ragionamento sul “diverso” e su ciò che viene fatto patire a chi viene identificato in tale categoria, il sentimento presente o meno di solidarietà verso le persone nella stessa situazione, mostrano un lato molto realistico del gioco in cui è facile trovare delle domande – e a volte anche delle risposte – su argomenti di ancora straordinaria attualità.
Reclusioni, ingiustizie, razzismo, condizioni dei più poveri e le soluzioni adottate da chi è al potere per porvi rimedio, rendono questo semplice videogame una sorta di prezioso gioiello che consente di osservare la vita da una prospettiva inedita, entrando in una dimensione epica e divertente e, al contempo, consentendo di riflettere su temi che fin troppo spesso vengono dimenticati o relegati in secondo piano dall’industria dell’intrattenimento.
Videogioco davvero valido, ricco di inventiva e di vere e proprie gare di astuzia, e soprattutto di uno spirito d’osservazione degno di grandi menti.
Alessia Pisano
Scrittrice, Musicista, Gamer