Il sorriso è l’arma più potente che abbiamo nel nostro arsenale. Vedere quella fila di denti che si presenta davanti a noi può portarci alla depressione… o anche alla pazzia.
Attenzione, non si parla di qualsiasi tipo di sorriso. David Foster Wallace tira fuori il nome “Sorriso Professionale” nel suo piccolo capolavoro “Una cosa divertente che non farò mai più”, nato dalla sua esperienza come giornalista nell’intento di scrivere un breve articolo su una crociera. Una delle prime cose che nota una volta salito a bordo è proprio questo senso di estraniazione dato dal Sorriso Professionale dell’equipe navale:
“un sorriso che non ce la fa ad arrivare agli zigomi e che non è altro che un tentativo calcolato di favorire gli interessi personali di chi sorride …”
Wallace è disperato. Il Sorriso Professionale nasconde la realtà, nasconde i sentimenti e chi decide di indossarlo. Difatti poi tutta l’esperienza della crociera sarà per l’autore un disastro dopo l’altro. La nave costruisce una piccola America, che porta l’american style of life, vista dallo scrittore come caprona e dannosa, in giro per il globo, a seminare “americanità”. Lo stesso Wallace si sente in colpa a far parte di quel viaggio e a farsi riconoscere come un americano tipo.
Il disagio principale nasce proprio all’interno della nave, dove tutti sono gentili e nessuno si odia. Tutti sono sorridenti. E, continua Wallace, non è un caso che i posti più soggetti ad uccisioni di massa sono proprio quei luoghi dove il Sorriso Professionale regna sovrano, come i centri commerciali. Il danno più grande viene poi di conseguenza: ora non ci fidiamo più di chi non sorride, non lo riteniamo professionale, ma anzi, lo riteniamo pericoloso. Mentre invece altro non è che il più sincero.
Ma prendiamo un altro esempio, più vicino alla nostra Italia. Il divulgatore e filosofo Luciano De Crescenzo ha avuto un’esperienza simile a quella dell’autore americano: il viaggio dal sud al nord Italia. Una volta affrontata la pericolosa nebbia di Milano, nel piccolo ma fondamentale libro “Il Dubbio”, De Crescenzo si ritrova di fronte alla gentilezza dei milanesi. È un problema? Ma assolutamente no! Il problema è che sono tutti gentili! Come Wallace, quasi a farlo apposta, stila un elenco di persone inaffidabilmente sorridenti, e spiega il problema del suo dolore: la mancanza di discriminazione. Leggere queste parole in questa epoca sembra di leggere follia! Per il filosofo il problema era essere giudicato né più né meno che come un altro. Era indifferente chi fosse. Ognuno lo trattava come avrebbe trattato chiunque altro, servendo lo stesso Sorriso Professionale.
Potremmo anche saltare nel campo della psicoanalisi volendo! Per Freud, per citare giusto un “piccolo” nome, ne “Il Disagio della Civiltà”, una giusta società (dove “giusta” equivale ad una società composta da meno nevrotici possibile) non è una società pacifica. Una società dove nell’apparenza è tutto rose e fiori, dove ognuno mente col sorriso agli altri. Il non-detto è sempre il grande pericolo dell’essere umano. La giusta società è quella che può “sfogarsi”, nella quale gli individui possono essere soddisfatti e non vivere nella finzione di un mondo armonico.
Tirando le somme, eliminare il Sorriso Professionale renderebbe migliore la società? Per far sì che il sorriso torni ad avere la sua vera funzione, per far sì che esprima veramente ciò che sentiamo, sarebbe meglio limitarlo a quelle occasioni che veramente lo necessitano? Come l’aprire un regalo e vedere la persona che si ama? Sorridere ogni volta che ci giriamo, non fa perdere d’importanza questa azione?
Chissà. Nel dubbio, fatti una risata.
Matteo Abozzi