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Monoclonali, cecchini anti-Covid

Funziona un po’, funziona abbastanza, insomma questo vaccino funziona? Dose con richiamo, dose senza richiamo, dosi per i giovani, dosi per gli ultraottantenni (dai 50 ai 78 ci attacchiamo alla potenza del nostro sistema immunitario?) ma ci sono le dosi per tutti? E visti i ritmi attuali di somministrazione, in quanti anni saranno vaccinati tutti gli italiani? Sempre che Pfizer, AstraZeneca e tutti gli altri forniscano i quantitativi sufficienti del farmaco.

Sono domande che ogni santo giorno rimbalzano su giornali, TV, Internet e tra la gente. Risposte naturalmente zero e noi si vive alla giornata, praticamente come i nostri governanti e politici tutti di contorno. Tralasciamo gli scienziati da social-media che sembra facciano una gara a smentirsi uno con l’altro.

Però questa situazione di totali incertezze fatte di dubbi, speranze e molte chiacchiere, ha dato nuovo slancio alla Scienza e l’universo della ricerca si sta espandendo a macchia d’olio. Il nuovo “must” sono gli anticorpi monoclonali (più avanti cercheremo di spiegare cosa sono e come funzionano) che dalle prime sperimentazioni contro il Covid-19 sembrano avere una marcia in più. Sono infatti in grado di contrastare e poi inattivare questo strano virus, che sembra avere notevoli capacità di evoluzione neanche fosse stato “istruito”  sul come difendersi e restare ben saldo sulle sue posizioni. Creato in laboratorio? Essere complottisti non fa per noi, ma  “pensar male è sbagliato, ma spesso ci si indovina” (cit. Giulio Andreotti)

E adesso faremo qualcosa che la professione del giornalista, almeno in teoria, non consente: parlerò in prima persona perché, per un caso fortuito e decisamente “doloroso” ne so qualcosa.

Anticorpi monoclonali. Si conoscono da anni, ma sono sempre stati relegati all’interno dei settori prettamente medico-scientifici e hanno da subito dimostrato di essere armi potenti contro patologie delle più svariate nature. Poca pubblicità e molta concretezza, tanta che il mondo scientifico li ha accolti con molto piacere tra le sue braccia. Il loro utilizzo non è una novità per la medicina in quanto sono già stati impiegati nell’ambito di alcune patologie oncologiche, infiammatorie e autoimmuni. Al momento sono almeno una decina i gruppi scientifici che stanno lavorando sugli anticorpi monoclonali contro Covid-19 e due prodotti hanno già ottenuto la concessione per l’uso in emergenza da parte dall’ente americano per il controllo sui farmaci, la Food and Drug Administration (FDA).

Ma torniamo per un momento a noi. Cosa c’entra il sottoscritto con i monoclonali? Presto detto: soffro da decenni di cefalea e vi assicuro che un attacco cefalalgico non lo auguro a nessuno. Dolore che cresce esponenzialmente senza alcun limite, impossibilità a parlare, scrivere, vedere, sentire. Ogni pulsazione cardiaca scatena una nuova e terribile esperienza dolorosa, qualsiasi minima vibrazione dell’aria è un’esplosione che sembra espandersi dall’interno del cranio e schiantarsi contro le sue ossa, impossibile trovare una posizione che possa in qualche modo mitigare questo incessante dolore. Le ho provate tutte per cercare una soluzione: dai farmaci potenti alle lunghe sedute fisioterapiche, ammetto di aver provato la marijuana (funziona un po’, ma finito l’effetto del THC si ricomincia da capo), poi il botulino che sembrava una soluzione valida ma praticamente poco più di un palliativo E poi la vera svolta: anticorpi monoclonali specializzati per contrastare la cefalea. Qualche attacco c’è ancora, ma nulla in confronto al passato.

Caspita, mi sono detto, ma cos’è ‘sta roba? Che oltre tutto non ha effetti collaterali.

Ed eccoci al punto: cosa sono gli anticorpi monoclonali? Come funzionano e, soprattutto, perché funzionano?

Si tratta di anticorpi sintetici fabbricati in laboratorio e ottenuti da quelli naturali prodotti dai pazienti immunizzati, da somministrare a chi ancora deve superare la malattia. I monoclonali si legano alla proteina che il virus usa per entrare nelle cellule, cioè la famigerata proteina “spike”, bloccandone l’ingresso e impedendo quindi la replicazione del patogeno. Si tratta, tanto per fare un esempio assai poco scientifico, di una sorta di anticorpi-cecchino super specializzati nella difesa contro il Covid.

Ci sono però ancora alcune problematiche che si ritiene potranno essere risolte in tempi sufficientemente brevi: lo scudo contro il contagio dura solo qualche mese e poi l’infusione endovenosa deve essere ripetuta. Secondo gli esperti, i monoclonali vanno, dunque, utilizzati all’inizio della malattia, cioè entro 72 ore e non oltre 10 giorni da quando è stato riscontrato il coronavirus. Altro problema, sicuramente più difficile da risolvere e sarà facile capirlo senza tante spiegazioni, è il costo che attualmente si aggira intorno ai duemila Euro a dose.

Naturalmente a fine sperimentazione e con la produzione a regime di questa famiglia di anticorpi monoclonali, il SSN potrebbe farsene carico chiedendo un ticket affrontabile. La terapia gratutita sarebbe opinabile, ma anche in questo caso il dio denaro esprime la sua potenza.

Intanto lo sviluppo di questi anticorpi prosegue spedito e con risultati a volte esaltanti.

E il Covid comincia a tremare, purché noi non si sia così sciocchi da abbassare guardia e mascherine.