Amatrice: la città, la storia e non solo… AMATRICIANA!
L’Italia è il Paese dei tanti Paesi. Potremmo definire in questa sintesi la caratteristica della nazione che oltre 150 fa ha ridefinito più imperi sotto un’unica bandiera. La pluralità di caratteristiche tipiche culturali si sono mantenute vive negli archetipi delle proprie diverse radici territoriali; attraverso il più variegato folklore, artigianato e “dulcis in fundo” dalla straordinaria identità gastronomica locale, l’Italia esprime così tutte le sue anime. Dentro e fuori i propri confini grazie soprattutto all’universalità del linguaggio sensoriale del gusto essa ne rappresenta un campionario di valore internazionale.
Chi avrebbe mai immaginato che Amatriciana derivi da Amatrice, cittadina baricentro d’Italia, dal 1927 nella provincia laziale di Rieti. E chi avrebbe mai immaginato che la ricetta risalga ai tempi della scoperta dell’America, da quando Cristoforo Colombo importò il pomodoro? E ancora: L’Amatriciana sarebbe una variante della più antica Gricia (da Grisciano, piccolo paese nel reatino non lontano da Amatrice), la cosiddetta Amatriciana in bianco, sfiziosa ricetta popolare che si perde nella notte dei tempi. Con l’aggiunta del pomodoro e con il cambio di nome di questa cittadina da Matrice a Amatrice, la ricetta top italiana è diventata Amatriciana, e una precisazione è dovuta: sono gli “Spaghetti all’Amatriciana” la ricetta ufficiale siglata da questo meraviglioso paese di quasi 2.800 abitanti; i “Bucatini alla Matriciana” sono la variante romana, insieme alla Carbonara che costituiscono la variante all’uovo della Gricia. Uff ! riprendiamo il fiato, un passo alla volta.
Dove siamo? Siamo nel Parco nazionale del Gran Sasso Monti della Laga, a circa 1000 metri di altitudine, all’incrocio delle correnti del nord-est e di ponente che favoriscono un clima sempre fresco d’estate in una cittadella che ha tanta storia da raccontare. Si affaccia in una conca, la cosiddetta “Conca di Amatrice” che si riflette sul meraviglioso specchio del freddo Lago Scandarello. Un vasto territorio i cui reperti archeologici riportati alla luce dimostrano che fu abitata dall’uomo sin dall’età preistorica. La vicinanza al tracciato dell’antica Via Salaria favorì poi lo sviluppo di insediamenti nel territorio amatriciano già in epoca pre-romana. All’epoca romana risalgono i resti di edifici e tombe rinvenute in diverse zone del territorio, noto per gli scrittori romani come Summa Villarum (Summata, diventata poi l’attuale Sommati). Summata era il termine con il quale si identificava per esteso tutta l’area attualmente occupata dal comune di Amatrice. Nel 568 i Longobardi invasero l’Italia e costituirono il Ducato di Spoleto suddividendolo in Comitati e Gastaldati e il territorio della Matrice passò sotto il Comitato di Ascoli. Sì, Matrice, così si sarebbe chiamata l’agguerrita postazione strategica, dove i discendenti degli “Optimates Romani”, sfuggiti ai longobardi, trovarono rifugio, alla riva sinistra del fiume Tronto. Nel 774 arrivò Carlo Magno, ponendo fine alla dominazione longobarda, confermò il Comitato di Ascoli nel ducato di Spoleto e fece ampia donazione alla Chiesa Ascolana delle Terre Summatine. Fu intorno al 990-996 che il Vescovo di Ascoli, somma autorità ecclesiastica, fondò l’importante Monastero di San Benedetto nei pressi di San benedetto nel Comune di Matrice (ceduto successivamente, nel 1080 all’abbazia di Farfa).
Verso gli inizi del XIII secolo, il Ducato di Spoleto passò sotto il controllo della chiesa ascolana e, indirettamente, dello Stato Pontificio. Cessione confermata e ratificata da Alessandro IV l’8 settembre 1256. Con il tempo il nome “Summata” scompare sostituito da quello di “Matrice”. Nel 1252 Amatrice e Castel Trione si assicurarono la protezione di Ascoli da cui ricevettero la cittadinanza, che dovette durare presumibilmente fino al 1265, quando viene conquistata dal re Manfredi di Svevia.
Con un balzo temporale di quasi 600 anni, nel quale Matrice acquisì l’attuale nome Amatrice, fino a prima dell’unità d’Italia, apparteneva allo Stato Pontificio posta proprio al confine con il Regno delle Due Sicilie. Con l’unità, fu inserita nell’Abruzzo Aquilano e, solo nel 1927, con la creazione della provincia di Rieti, la città entrò a far parte della Regione Lazio.
Ma perché Matrice? E come è diventata poi Amatrice? Matrice, nell’accezione del contesto religioso, è il termine che designa la “Chiesa Madre”, ovvero Chiesa Matrice, la sede principale di riferimento del culto cristiano-cattolico. Il toponimo Matrice deriverebbe dunque dall’essere stata sede principale della chiesa nel territorio pontificio, pertanto detta “La Matrice”. Ivi erano conservati i documenti della Chiesa, i manoscritti Benedettini, tutte le carte dell’allora potere temporale della Chiesa.
Come si è trasformata in Amatrice? Un errore! Come spesso è accaduto con la trascrizione nei registri ufficiali, un semplice equivoco fonetico, non dissimile dall’iniziale equivoco marconiano sulla sua invenzione: “l’aradio”, presto rettificato e correttamente depositato all’ufficio brevetti d’epoca. Un errore non dissimile dalla denominazione della città Porto, spesso erroneamente trascritta in talune mappe come Oporto, con forte e legittimo disdegno dei portoghesi; i portoghesi nominano le città con l’articolo determinativo, quindi “il Porto” si pronuncia, in portoghese, “u Porto”, e si scrive “o Porto”. Da qui l’errata trascrizione. Quindi, secondo gli Amatriciani più anziani, in dialetto sabino (e anche nel romanesco di borgata) gli articoli “il” e “la” diventano “o” e “a”. Così nel linguaggio popolare, la “Città della Matrice” diventa “’a città d’a Matrice”, quindi, lo scrivano d’epoca, sotto dettatura, trascrive: Amatrice.
Così il piatto nazionale ufficiale, di cucina popolare, si chiama Amatriciana, rosseggiante, discendente dalla non meno nota Gricia, ove domina incontrastato il dolcissimo, croccante, insostituibile Guanciale. Ebbene tale salume, valorizzato in terra laziale, è pressoché trascurato nell’Italia del Nord, malgrado l’accurata selezione e impiego di tutte le parti del maiale, del quale, si sa, non si butta mai niente. Perfino l’Emilia Romagna, patria dei prosciutti e degli insaccati, non onora il prezioso cubetto; così vediamo ovunque l’Amatriciana travisata con la pancetta, sicuramente molto meno costosa, e commercialmente ben distribuita, ma non altrettanto saporita. Ecco quindi svelato il segreto per un vero piatto di “Amatriciana originale di Amatrice”… rigorosamente condito da guanciale e pomodoro San Marzano fresco!
Vincent Pisano