Attaccamento, separazione e qualità della vita
” Il Piccolo Principe, dopo aver attraversato le sabbie, le rocce e le nevi, incontrò la volpe che lo implorò di addomesticarla”, “Ma che cosa vuol dire addomesticare?” chiese il Piccolo Principe, e la volpe rispose: “Vuol dire creare dei legami: se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me l’unico al mondo ed io sarò per te l’unico al mondo, conoscerò il rumore dei tuoi passi che sarà diverso da tutti gli altri. Tu hai i capelli color dell’oro… e sarà meraviglioso, quando mi avrai addomesticato; il grano che è dorato mi farà pensare a te e amerò il rumore del vento nel grano…” (De Saint Exupéry, 1949).
Così il piccolo Principe addomesticò la volpe, ma quando venne per lui l’ora della partenza, la volpe pianse di dolore: allora il Piccolo Principe le chiese: “Che cosa ci hai guadagnato ad essere addomesticata?” e la volpe rispose: “il colore del grano”.
Nella nostra vita anche noi facciamo come la volpe: desideriamo che il nostro cuore appartenga a qualcuno, quindi ricerchiamo il colore del grano, perché abbiamo un sentire del cuore e sappiamo che l’essenziale è invisibile agli occhi. Anche dopo aver sperimentato il dolore della separazione, della solitudine e dell’abbandono, noi continuiamo nella ricerca di emozioni.
E le separazioni, le perdite, caratterizzano tutta la nostra vita.
La nostra evoluzione procede per acquisizioni e perdite: crescere significa cambiare, procedere attraverso le assimilazioni, gli attaccamenti, i legami, le differenziazioni, le rotture… Accettare questo come prezzo per poter stare al mondo rappresenta la difficoltà dell’esistenza.
Nel rapporto con chi si prende cura del bambino, il ripetersi di un abbraccio dopo l’altro, di contatti e vicinanze piacevoli, il susseguirsi di sensazione di unione totale, gli consente di affrontare il processo di differenziazione e di crescita nella sua individualità, senza perdere l’accesso al mondo intimo suo e dell’altro.
Il vissuto dell’intimità, infatti, fin dall’infanzia è essenziale per strutturare il percorso dell’esistenza. Sono le risorse cui l’individuo attinge nei momenti critici della vita.
Sul modello delle prime relazioni intime si andranno a costruire i successivi legami, sono esperienze di base che renderanno possibile il sentimento di unione con le altre persone.
La natura fornisce al neonato gli strumenti che attivano le risposte genitoriali, poi si procede durante la crescita a sperimentare momenti di separazione e riavvicinamento, qualcosa che ritroviamo continuamente dalla prima infanzia, all’adolescenza, fino alla maturità, riproducendo continuamente il dover abbandonare qualcosa che possediamo per conquistarne una nuova.
Affinché questi adattamenti progressivi risultino efficaci alla struttura della personalità, c’è bisogno che si consolidi la sensazione di possedere una “base sicura” da cui partire e “un porto sicuro” in cui tornare. Solo allora saremo in grado di correre il rischio dell’autonomia, abbandonando il legame simbiotico che ci garantisce il riparo sicuro, ma che se lo abitiamo più del necessario ci impedisce di crescere.
Se le nostre prime esperienze di attaccamento sono state dolorose, frustranti, rifiutanti, sarà più difficile conquistare la fiducia in noi stessi e negli altri.
Facilmente allora trasferiremo in ogni esperienza quelle prime ferite, il distacco emotivo ci farà evitare l’intimità e la vicinanza affettiva, il terrore dell’abbandono ci farà aggrappare disperatamente, la paura del tradimento ci renderà sospettosi per ogni minima mancanza.
Quando l’altro distoglierà lo sguardo dalla nostra persona, vivremo un angosciante rifiuto e questo ci spingerà a continue richieste di attenzione, aspettandoci di venire delusi e faremo in modo di esserlo.
Quindi i vissuti degli attaccamenti e delle separazioni della prima infanzia, ci sensibilizzano rispetto alle successive esperienze, alle quali rispondiamo anche da adulti con la stessa passione, rabbia, disperazione del bambino che siamo stati.
Un aspetto importante della qualità della nostra vita dipende da come, nel presente, rispondiamo ai cambiamenti, e da come, nel passato, abbiamo imparato a costruire le nostre modalità di risposta di adattamento, funzionali al nostro benessere.
Oggi si parla di sviluppo dell’intelligenza del cuore, del pensiero emotivo come lo stato di realizzazione delle facoltà della Persona.
Attraverso le interazioni amorevoli il bambino sperimenta motivazione, desiderio, impara a stabilire un legame con le sensazioni e le emozioni e i comportamenti.
Il bambino impara a eseguire piccoli gesti perché prova piacere nel farli e se viene rinforzato e incoraggiato si hanno risultati maggiori.
C’è un modello nella crescita in cui è particolarmente evidente l’effetto della fiducia di base del bambino, cioè quando durante il secondo anno di vita si “innamora perdutamente del mondo” e procede incurante di cadute e frustrazioni, nel suo incessante sperimentare. Torna dalla mamma per accertarsi che sia presente e che lo veda, “Mamma guarda!”. Per attirare l’attenzione della figura genitoriale che nutrendo il bambino di affetto e ammirazione, alimenterà la stima di sé che lo accompagnerà nella vita.
Maura Luperto