C.G. Jung scrive: – “Chi guarda nello specchio dell’acqua vede per prima cosa, è vero, la propria immagine. Chi va verso se stesso rischia l’incontro con se stesso. Lo specchio lusinga; mostra fedelmente ciò che in esso si riflette, e cioè il volto che non esprimiamo mai al mondo, perché lo vediamo per mezzo della Persona, la maschera dell’attore.“-
Su cosa si basa la nostra infelicità? Il nostro malessere? La nostra disistima? Probabilmente sul fatto che restiamo immersi in schemi rigidi, dentro allo standard della “Persona” nel ruolo che quotidianamente recitiamo quando siamo bloccati dal nostro senso di inadeguatezza e dai nostri sensi di colpa.
C’è chi ama definirsi per esempio “granitico” ovvero un individuo che non si contraddice mai. Chi siamo quando ci diamo una definizione? Forse solo un personaggio che ogni volta che si relaziona ha deciso di interpretare un ruolo, magari proprio quel ruolo che per primo, fin da piccoli ci ha gratificati.
Il rischio in questo caso è di diventare identici alla Persona – scrive Jung – “Con una certa esagerazione si potrebbe anche dire che la Persona è non ciò che uno è realmente, bensì ciò che egli e gli altri credono che sia e cioè la sua maschera. In ogni caso è grande la tentazione di essere ciò che si appare, poiché la Persona Maschera, spesso viene pagata a peso d’oro“.
Il rischio maggiore nell’essere coerenti con l’immagine mentale che ci siamo costruiti, soprattutto per piacere agli altri, è quello di intrattenere relazioni che risultano frustranti. Cioè se per esempio io sono quella persona sempre buona, disponibile, dolce, ecc… quando sarò invece aggressiva? Quando dirò di no? Se non sarò capace di essere anche così allora penserò di essere un’incapace, una donna senza forza, debole…
Un altro rischio è quello di diventare dipendente dai complimenti dei nostri interlocutori, cioè di far dipendere il nostro benessere psicofisico dall’approvazione di chi ci circonda.
Cerchiamo di capire cos’è la Maschera. Entriamo nel mondo del simbolo.
L’origine del termine deriva da “masca” che significa “fuliggine, fantasma nero”. “Finto volto, generalmente fornito di fori per gli occhi e la bocca, che viene posto sul viso per fargli assumere una determinata espressione o semplicemente per non farlo riconoscere: a scopo magico rituale (per esempio per rappresentare con efficacia antropomorfica l’essenza divina o demoniaca), bellico (per incutere terrore al nemico), di spettacolo (per comunicare il carattere o la funzione di un personaggio), di divertimento come le maschere del carnevale. (Tratto da Lessico Universale Italiano)
Nel corso del tempo ogni civiltà ha prodotto maschere particolari caratterizzate dall’aspetto esteriore, dalle movenze, dal costume che ne definisce il carattere tipico, in genere ogni maschera esprime una serie di tratti culturali e geografici di provenienza.
Nell’antica Grecia la maschera veniva utilizzata nel teatro come espressione di stati d’animo e delle condizioni dei personaggi. L’uso della maschera, in seguito, ha dato vita a personaggi fissi con delle caratteristiche inconfondibili come avviene nella commedia dell’arte.
Le maschere che più di tutte si avvicinano alla “maschera” come viene intesa in psicologia sono quelle rituali. Esistono testimonianze dell’uso delle maschere fin dal Paleolitico superiore, tradizione che troviamo ancora oggi nelle cerimonie religiose, animistiche, sciamaniche delle società tribali. L’uso della maschera varia a seconda del modello culturale e della storia di ogni singola società, tuttavia è possibile individuarne alcuni simboli generali.
Prima di tutto “portare la maschera” implica il bisogno/desiderio di nascondere la propria identità per sostituirla con un personaggio diverso. I personaggi raffigurati dalle maschere possono essere immaginari, oppure rappresentare demoni, figure mitologiche e divine, antenati, animali totemici. In genere nelle società tribali, chi indossa la maschera durante un rito si identifica con il personaggio che sta rappresentando. Per esempio, le maschere di mostri, vengono utilizzate in guerra perché hanno la funzione di incutere spavento, oppure nella lotta contro gli spiriti maligni o ancora nei riti di iniziazione. In questi ultimi chi conduce la cerimonia indossa la maschera che rappresenta la figura dell’iniziatore cioè la divinità o lo spirito che deve distruggere la persona infantile dell’iniziando per far nascere l’uomo nuovo, adulto che può procreare.
In alcune società arcaiche, soprattutto quelle sciamaniche, alcuni riti iniziatici hanno acquisito nel tempo un significato di guarigione; allora in tutte le cerimonie di guarigione sono comparse le maschere, come strumento principale per l’efficacia della pratica. A volta il rito di guarigione è una specie di ripetizione sotto forma di recitazione drammatica del trauma iniziale. A volte è una ripetizione dei grandi miti della tribù: la creazione del mondo, le storie degli dei. Infine il rito può raggiungere la sua efficacia anche solo per la bellezza dei costumi, della musica e delle danze.
Ci sono molti riti sciamanici nei quali si usano le maschere, di solito all’inizio il guaritore ricerca intorno al malato e alla sua famiglia elementi per individuare il tipo di sintomi, l’eventuale spirito che può aver provocato il male. Poi inizia a costruire la maschera e la scena che verrà eseguita durante il rituale, infine la maschera raffigurante il mostro viene distrutta. Per esempio nella tribù dei Navaho, le cerimonie di guarigione avvengono grazie all’utilizzo integrato di molti linguaggi come il disegno, la danza, la drammatizzazione, la musica, i materiali per la costruzione delle maschere, la narrazione e la poesia.
Un altro utilizzo della maschera nelle antiche civiltà è quello dei rituali funebri. Ad essa veniva attribuito il potere di fissare l’anima impedendole di vagare. Catturata dalla maschera la forza vitale del morto non si disperde ma viene controllata dai vivi e reintegra l’anima errante.
La maschera serve a riprodurre gli eventi facendo loro assumere valori che l’uomo vuole fissare e mantenere immutati nel tempo. Nelle danze mascherate vengono evocati fatti importanti o mitici, descrivendo in forma artistica l’organizzazione di una società e di un mondo che ripete nella danza in maschera i suoi valori per mantenerli sempre vivi. In questi riti avviene l’incontro tra l’umano e il divino, a cui si deve arrivare attraverso la preparazione e l’entrata in un ruolo che protegga dalla “potenza” dell’evento. Quindi la maschera assume una doppia funzione: da un lato è il mediatore, dall’altro un attivatore simbolico che permette di superare l’identità personale ed entrare in contatto con il “sacro”.
In alcuni rituali di caccia, colui che uccide l’animale, viene mascherato dal gruppo in modo da rassomigliare all’animale ucciso e viene poi schernito. La funzione del mascheramento e dello scherno consiste nell’evitare la somiglianza con l’animale facendo diventare l’energia della maschera una forza benefica che difende contemporaneamente l’identità individuale e collettiva.
Maura Luperto