La “materia prima”

Uno dei passaggi fondamentali nella realizzazione della pietra filosofale è il conseguimento della “materia prima“. La materia che non ha ancora ricevuto alcuna determinazione, e per questo è diversa dalla “materia seconda“, che già ne ha ricevuta qualcuna.

La “materia prima” si presenta sotto forma di minerale, sebbene gli alchimisti ne conservino gelosamente il segreto perché essa è la matrice che contiene, in potenza, la pietra filosofale stessa. Alcuni la descrivono come “pesante, di colore grigio piombo, con possibili tonalità bluastre e iridescenti“. Si presenta con una struttura a lamine e per questo diversi autori la chiamano “drago squamoso“. Non è un minerale conosciuto e da qualche autore è addirittura inclusa nei lapidari fantastici. Oltre a essere la base per la realizzazione della pietra filosofale, la “materia prima” possiede altre proprietà magiche: secondo alcuni tenerne un esemplare in casa può servire ad attrarre influenze benefiche.

Una volta realizzata come si presenta la pietra filosofale? Naturalmente le descrizioni variano: una delle più conosciute afferma che la pietra filosofale si presenta come un cristallo diafano di grande densità, con il colore del rubino. È piuttosto friabile, e quando lo si polverizza assume un colore giallo zafferano. Il punto di fusione è molto vicino a quello della cera ma è incalcinabile. Penetra con facilità nei corpi compatti e nessun agente chimico lo può attaccare. Questa pietra filosofale può essere usata sotto forma di polvere di proiezione per trasformare i metalli in oro. Può anche essere utilizzata sotto forma di olio, e allora prende il nome di “elisir universale” o “di lunga vita“. Si può impiegare con scopi terapeutici e addirittura, secondo alcuni alchimisti, per prolungare la vita fino al raggiungimento dell’immortalità.

L’alchimia vide il suo periodo d’oro nell’Europa dal XIII al XVI secolo. Dopo quel periodo una corrente di pensiero più realista lasciò da parte le dottrine esoteriche per dedicarsi ad altre arti e scienze, come la chimica considerata la vera erede dell’alchimia.
Del resto la persecuzione degli eretici scatenata in tutta Europa da parte dell’inquisizione si andò estendendo a tutte quelle attività che sembravano non concordare con i dogmi della Chiesa. Tra queste, naturalmente, ogni tipo di magia (e per la Chiesa l’alchimia era un’arte magica). L’alchimia entrò allora nella clandestinità e lentamente andò perdendosi fino a sparire definitivamente agli inizi del XIX secolo. In realtà ancora oggi sopravvivono gli alchimisti dello spirito, studiosi della dottrina spirituale.

L’inquisizione, creata originariamente nel XIII secolo per combattere l’eresia dei catari, si trasformò in breve tempo in un fenomeno di portata epocale. L’intransigenza e il fanatismo condussero ad una notevole estensione del concetto di eresia, fino a includervi ogni attività che potesse generare qualche sospetto nella gerarchia della Chiesa cattolica. Così la stregoneria, la magia e i patti con i demoni entrarono a far parte della lista dei peccati puniti dal San’Uffizio. Tra questi vi era naturalmente anche l’alchimia. Sul finire del XIV secolo, la facoltà di teologia di Parigi delineò come peccato di idolatria l’arte della magia esercitata da molti “rinchiudendo demoni in pietre, anelli o specchi, e consacrandoli con immagini di orribili divinità”. Per questo motivo l’alchimia andò trasformandosi in un’arte clandestina, vista con sospetto e accusata anche di essere in contatto con demoni e altri spiriti maligni. A parere di molti, questa fu la causa per cui l’alchimia si trasformò in un’arte esoterica: la necessità di occultare l’attività alchemica creò intorno ad essa un alone di mistero e di oscurità. Molti alchimisti finirono nella morsa dell’inquisizione, “come esempio per tutti coloro che tentano di attrarre verso di sé il potere infernale delle pietre“. Inquisizione dixit.

Maura Luperto