Una leggenda racconta che la coppa del Sacro Graal è stata intagliata in un solo grande smeraldo. Quando Lucifero si ribellò a Dio fu affrontato e sconfitto da San Michele Arcangelo; in seguito al combattimento l’enorme smeraldo che brillava sulla fronte di Lucifero si staccò e cadde sulla Terra. Gli angeli ancora fedeli a Dio lo raccolsero e lo modellarono a forma di calice con centoquarantaquattro angoli.
Il calice rimase nel paradiso terrestre fino a quando Adamo ed Eva furono cacciati: da quel momento non si seppe più nulla della pietra leggendaria, fino a che, non fu raccolta da Set, il terzo figlio di Adamo ed Eva. Seguirono altri millenni di oscurità fino all’epoca in cui Re Salomone offrì in dono il calice alla Regina di Saba. Dopo un altro lunghissimo periodo di tempo, fu ereditato da Nicodemo e, in seguito, da Giuseppe di Arimatea.
A partire da quel momento iniziò la vita “pubblica” del Graal. Durante l’ultima cena, celebrata nella casa di Giuseppe di Arimatea, Gesù utilizzò il calice per consacrare il pane e il vino. Dopo l’arresto di Gesù la casa venne saccheggiata, e tutto il suo contenuto fu consegnato come bottino al governatore Ponzio Pilato, poco dopo la crocifissione, Giuseppe di Arimatea chiese a Ponzio Pilato il corpo di Gesù, per poterlo seppellire. Pilato, ossessionato dai sogni premonitori della sua sposa, non tardò ad assecondare tale desiderio e restituì anche il calice, perché la moglie gli aveva raccomandato di disfarsi di tutto ciò che le mani del Nazareno avevano toccato. Il calice venne poi usato per raccogliere l’acqua e il sangue fuoriuscito dalle ferite di Gesù.
Dopo la morte di Gesù il destino del Graal divenne misterioso. Giuseppe di Arimatea passò molto tempo in carcere, dopodiché si imbarcò con i suoi figli portando con sé il sudario con cui era stato sepolto Gesù, (la Sacra Sindone) e anche il calice. Arrivò fino alle coste settentrionali dell’Europa, dove entrò in contatto con alcuni sacerdoti druidi. Anche la tradizione celtica aveva una propria versione del Graal, una coppa in cui la dea Corridween preparava le pozioni che assicuravano l’immortalità agli eroi. Nelle saghe nordiche, infatti, gli eroi non morivano mai, quando restavano feriti in battaglia, si ritiravano in un castello (molto simile ad Avalon, l’isola dei morti della leggenda di Re Artù) su una collina persa fra le nebbie, dove recuperavano le proprie forze.
A partire da quel momento si persero definitivamente le tracce del Sacro Graal, che riapparve occasionalmente solo in racconti fantastici. Lo si incontra nei cicli delle leggende di Re Artù e il suo nome viene associato a quello del Re, della Regina Ginevra, del Mago Merlino e della mitica Avalon. In queste leggende intorno al Sacro Graal, si intrecciano grandi prodigi, miracoli e profezie. I crociati partono alla sua ricerca in Terra Santa, ma i loro sforzi risultano vani. Il Sacro Graal sembra ormai inafferrabile, anche se alcune voci dell’alchimia e della cabala dicono di averlo trovato e di tenerlo nascosto in un luogo segreto.
Un’altra leggenda afferma che a un certo punto il Sacro Graal venne afferrato da una mano discesa dal cielo e trasportato in alto, per non ritornare mai più sulla Terra.
Lasciando da parte la leggenda della caduta di Lucifero e la perdita del luminoso smeraldo che aveva sulla fronte (“Come mai sei caduto dal cielo, astro rutilante, figlio dell’aurora?” – Isaia 14,12) è assai improbabile che la coppa utilizzata da Gesù durante l’ultima cena fosse un gioiello prezioso ricavato da uno smeraldo. Probabilmente si trattava di un calice molto più semplice, una coppa forse d’oro o di argento o di un altro metallo meno nobile, o addirittura, come sostengono alcuni, di legno. La natura smeraldina del calice, tuttavia, si è radicata in tutta l’iconografia religiosa e magica della tradizione ebraico-cristiana, trovando poi eco nell’esoterismo, nell’alchimia e nella magia in generale. Perché? La risposta la troviamo nella natura stessa dello smeraldo. Non esiste colore più piacevole – dice Plinio il Vecchio nella sua Storia Naturale – di quello dello smeraldo. Poiché sebbene si provi un grande piacere contemplando il verde dell’erba, si gode molto di più contemplando gli smeraldi, perché non esiste una tonalità di verde che gli si avvicini. Questa purezza di colore trasforma la gemma nella pietra della natura, in relazione con la saggezza, la spiritualità, l’ispirazione e le conoscenze occulte. I profeti dei tempi passati, i veggenti che sapevano come sollevare il velo del futuro, la collocavano sotto la lingua prima di pronunciare i loro oracoli.
Lo smeraldo è una pietra conosciuta fin dai tempi antichi (nell’Alto Egitto sono state scoperte miniere di smeraldi risalenti a venti secoli prima di Cristo) ed è una delle pietre del pettorale di Aronne, posta direttamente sopra il cuore. Il suo intenso colore verde l’ha trasformato in simbolo della primavera, della resurrezione, della speranza e della rinascita, con le corrispondenti connotazioni di bellezza, spiritualità, bontà e amore.
Tutto ciò che circonda il Sacro Graal continua ad essere immerso nella leggenda. Secondo alcuni la sua possibile esistenza è più frutto del desiderio che della realtà ed è molto probabile che il calice sia andato distrutto o che si sia perso dopo il suo impiego nell’Ultima cena. Ispirò tuttavia le crociate o meglio, la sua ricerca fu uno dei pretesti per iniziare la guerra santa contro gli infedeli, si trasformò nel simbolo della pietra filosofale per gli alchimisti e continua ancora a i nostri giorni ad alimentare i sogni. Cosa vi è di meglio di uno scintillante smeraldo tagliato in centoquarantaquattro angoli per soddisfare i desideri di perfezione e di immortalità?
Maura Luperto