di Matteo Abozzi disegni di Riccardo Belloni
Terza parte: In viaggio
«Lorenz, non fa niente!» In realtà faceva molto. Saranno stati dieci minuti buoni dacché il robot non ubbidiva al comando del proprio padrone. «Signore, non posso! È una sua proprietà! La sua porta è una sua proprietà!» «Ti prego, Lorenz. Sfondala!» Per il frastuono che stavano creando, i vicini si affacciarono per vedere la fonte di quel baccano. Molti si ritrassero subito nelle loro case. Vedere un robot antropomorfo di quei tempi non era cosa da poco, in più un robot che non ubbidiva agli ordini!
«Inoltre, come le ho già detto, la casa dietro alla porta non è un ambiente adatto a lei.» Jonathan sarà stato anche un uomo tra molti, aveva un lavoro umile che gli permetta il suo status sociale, sorbiva le pubblicità come tutti, non veniva riconosciuto per strada a causa della sua fama anonima, ma era abbastanza furbo… almeno a risolvere piccoli inconvenienti.
«Ma lo sai che…» Iniziò il discorso con tono da oratore di piazza «Vieni più vicino.» Fece segno a Lorenz di avvicinarsi. Nel campo della robotica il tono con il quale si chiede o si comanda qualcosa al robot è molto importante. In alcune spedizioni per scoprire pianeti o per concludere lavori pericolosi in luoghi ostili, il modo in cui è stato impartito un ordine ha salvato uomini… o fatto impazzire robot.
«Se tu sfondi la mia porta…»
«Che è di sua proprietà!»
«Sì, caro. È di mia proprietà. Fammi finire.» Disse dolcemente. «Certo, signore.» Il robot iniziava a tremare. «Se tu sfondi la mia porta, che è di mia proprietà, la U.S. Robotics mi rimborserà dei soldi. E sai che farò?» «Non lo so proprio, Jonathan!» «Chiederò più di quanto questa porta attualmente vale!» «Signore, non so se questo sia giusto.» Si poteva vedere Lorenz pensare. “Chissà quale diavolo di moltiplicazioni e divisioni sta facendo nel suo cervelletto di latta”, pensava Jonathan. «Giusto, o non giusto, mi renderebbe molto felice!» Sapeva di aver toccato il tasto decisivo. «Quindi mi faresti un gran piacere se tu sfondassi la mia porta. Hai il mio consenso, e ordine, di farlo.» Lorenz sfondò la porta. Si erano fatte le 12 ed era tempo di andare a mangiare. Jonathan prese la sua carta d’identità, e il suo robot, per recarsi al ristorante. Una determinata persona può permettersi un determinato cibo. Jonathan stava nel mezzo della scala sociale: non poteva permettersi aragoste, che tra l’altro non esistevano più, ma qualcosa riusciva a cavarla fuori.
Per arrivare al ristorante, i due presero un autobus. Tutti i mezzi di trasporto pubblico, per qualsiasi evenienza, avevano in fondo alla cabina una specie di piccolo magazzino dove poter “parcheggiare” il proprio robot. Gli umani volevano che loro e i robot fossero separati. «Lorenz, tu devi andare lì.» «Certo, signore.» Senza fare storie di alcun tipo, qualcosa di normale per tutti i robot, Lorenz attraversò l’autobus e si piazzò da solo nel piccolo magazzino in fondo. Non c’erano altri uomini meccanici. “Che strano, vederlo parcheggiato laggiù in fondo. Prima mi urlava contro e ora ha gli occhi spenti, buttato via come fosse spazzatura. Ma cosa dico, è un robot! È una cosa.”, giusto il tempo di finire questo flusso di pensieri che si accorse che le altre persone sull’autobus lo stavano guardando male. «Guardate quel tipo.» «Ma è pericoloso?» «Sarà un fanatico dei robot. Avrà poco di umano.» Jonathan non riusciva a sopportare troppa passività. «Signori guardate, non sono un fanatico.» «Cosa trasporta a fare un robot?!» Gli chiese una vecchietta acidamente. «È solo questione…» Jonathan abbassò la voce. Aveva paura di farsi sentire da Lorenz? «di soldi.» «Non mi fido lo stesso di lei, giovanotto.» La vecchietta era irrequieta. «Forse lo stanno costringendo.» Gli suggerì un signore. «Cavoletti! La stanno costringendo per soldi! Ma dove siamo finiti! Senta, ogni venerdì sera organizzo da me una specie di club. Dovrebbe venire.» «Nonna! Non lo devi dire a tutti!» Gli sussurrò quello che apparentemente era il nipote. «Sta zitto te, che hai ancora il latte sulle labbra. Il nostro club serve a ricordare e a parlare della bellezza dei tempi passati. Dobbiamo ancora trovarci un nome. La nostra intenzione è quella di liberarci da questo schiavismo. Noi non siamo le razze inferiori!» La vecchietta si era stancata ma era riuscita a conquistare tutti quelli sull’autobus. Ma non Jonathan. Gli sembrava un’iniziativa…pericolosa, a cosa avrebbe potuto portare? Gli sembrava una cosa molto da Medioevo. Inoltre lo stesso autobus era guidato da un robot, certamente non un robot a forma di umano, ma apparentemente alla fomentata vecchietta questo non importava. «A proposito di…» iniziò un signore sulla quarantina «avete visto che cosa stanno costruendo?» «Ci porteranno alla rovina quelle cose!» «Stanno per inaugurare la prima via celere!» «Che cosa inumana!» Jonathan ne aveva sentito parlare. Erano delle specie di scale mobili piatte che riuscivano a raggiungere velocità molto elevate. «Ci vogliono persino togliere i nostri autobus!» «Ci vogliono depredare della nostra cultura!» Questa era le vecchietta, che si era un po’ ripresa dal grande discorso precedente. Le vie celeri avrebbero consumato di meno e sarebbero state più veloci ed economiche.
Jonathan pensò che la stessa reazione che quelle persone stavano avendo per questa novità l’avevano avuta quando furono proposti gli autobus automatici. Stava iniziando ad aver paura di quelle persone. Per fortuna la sua fermata arrivò e cercò, nel modo più veloce possibile, di scendere. Lorenz sapeva a quale fermata scendere e senza che qualcuno glielo comandasse, scese anche lui. «Aspetta un secondo, Lorenz. Prima di entrare voglio fumarmi una sigaretta.» «Una… che?, signore.» «Una sigaretta. Un oggetto che mi reca piacere.» Aveva imparato a usare le parole giuste. Jonathan estrasse dalla sua giacca l’occorrente. Accendino e un rotolino di carta marroncino, le Chartes, le più economiche. Se la portò alla bocca e l’accese. «Sai Lorenz. Le piccole cose ci fanno felici. Anche solo una boccata di fumo può…» Jonathan si ritrovò senza sigaretta in bocca. Il robot l’aveva estratta dalle labbra dell’uomo con una specie di mossa da libro film di arti marziali e ora la stava distruggendo sotto il suo piede metallico. «Signore, la devo avvisare che le ho appena salvato la vita. Stava per inghiottire del veleno.» «Ma… ma…» «Signore, perché rilevo tristezza nel suo tono di voce?» Lorenz pensò, o calcolò. «Ah, ho capito. Lei vuole morire.» «Io ?? » «Jonathan ho capito. Lei vuole morire, solo così sarà felice. Lasci che l’aiuti. Come vuole morire? Con il veleno? Glielo vado a prendere se le fa piacere.» Jonathan avrebbe voluto urlargli che le sigarette non sono propriamente un veleno, ma… «Lorenz, porca miseria!» «Jonathan, sinceramente non capisco la sua reazione.» Doveva trovare le parole adatte. Parlare in modo calmo e pacato nel mentre che stava lottando contro l’impulso di tirare uno schiaffone al robot. «Lorenz, agli umani piace autodistruggersi, ma solo un pochettino.» «Vuole che l’aiuti ad autodistruggersi?» «Non ci crederai ma già in parte lo stai facendo. Comunque, fumare per gli uomini è importante perché…» «Perché Jonathan?» «Perché…» “perché?” «È colpa mia, Jonathan. Il mio cervello è troppo poco avanzato per poter capire quello umano. Sono stupido, stupido, stupido.» «Lorenz!» «Sì! Non riesco a capire! Il mio cervello non può ospitare al suo interno paradossi o contraddizioni, mentre invece noto che il mondo degli uomini vive solo di questo! Ammetto di aver origliato in autobus e il mio cervello stava andando in tilt!» “Mi avrà sentito dire che lo stavo tenendo solo per soldi? Ma era la realtà, non ci poteva rimanere male!” «Signore, io non sono adatto per lei. Me ne vado!” Se ne andava! Ma come?! Lorenz non sarebbe mai sopravvissuto al ciclone della città! Gli uomini l’avrebbero guardato troppo male. Alcuni lo avrebbero anche menato per rubargli qualche componente, questo è il servizio che viene offerto ai robot vagabondi. E poi il guadagno dell’esperimento dove sarebbe finito?
«Ti ordino immediatamente di restare fermo dove sei!» Jonathan mai ebbe questo tono di voce. così… autoritario, quasi da padre. «Il mondo umano è complicato e tu non sopravviveresti. Resta con me e… ti insegnerò a farlo.» La sua voce prese un qualcosa di stranamente dolce. «Grazie, Jonathan.» «Resti con me?» «Resto con te.» «Ottimo. Sto per accendermi un’altra sigaretta. Per favore, non spegnermela.» Jonathan riprese l’occorrente, accendino e sigaretta; ma decise di rimetterli in tasca e di entrare nel ristorante.