Home / Rubriche & Blog  / Racconti Favolosi  / Cronaca di un futuro prossimo venturo: Primo Contatto

Cronaca di un futuro prossimo venturo: Primo Contatto

(parte seconda)

Racconto di Matteo Abozzi – Disegni di Riccardo Belloni

Jonathan si trovava più o meno da solo nel suo salone. Avevano lasciato il pacco e se ne erano andati; accanto a lui l’imponente scatola nera si ergeva dritta, nera come la pece, se non per le due strisce di led bianco nella parte superiore e inferiore. Al centro del monolite erano state incise le parole “U.S. Robotics”. “Quanto se la tirano”, pensò Jonathan. Ed era vero che lui si trovava nel suo salone, ma con quell’oggetto fuori dall’ordinario all’interno, non gli sembrava neanche di stare a casa sua.

Ma è mai stata casa sua? Non aveva propriamente scelto quell’appartamento. La sua Classe permetteva di soggiornare soltanto nei luoghi di quella lega, e Jonathan si trovò costretto a scegliere tra quell’appartamento e altri due… grande scelta. Che doveva fare? C’era un pulsante da qualche parte per aprire la scatola? La robopsicologa non gli aveva dato molti dettagli sull’esperimento. Quella Susan Calvin… aveva quasipaura di trovare lei all’interno della scatola nera. Un pensiero stupido, ma mai dare nulla per scontato.


Le pareti della scatola erano estremamente lisce. Jonathan ci fece un giro intorno per cercare un qualcosa da spingere, ma non trovò nulla. «Ah, ho capito!» Iniziò a parlare con la scatola. «Sono già nell’esperimento. Forse capire come ti apri è dimostrare… qualcosa. Ehm… Apriti!» Gli urlò.
Con suo enorme stupore successe quel che aveva ordinato. La parete frontale del monolite sparì, risucchiata dalla base della scatola. Niente fumo. Jonathan aveva visionato una decina di librofilm nei quali vengono aperte scatole di robot e, tra l’altro, tutte si aprivano con un comando vocale… che stupido non averci pensato subito! e tutte le aperture vengono accompagnate da valanghe di fumo bianco. In questo caso non ci fu neanche una piccola fuoriuscita di gas, ma similmente
qualcosa di bianco mise fuori i piedi dal rifugio nero. Il robot, interamente bianco, aveva una perfetta posizione eretta e per il suo colore così chiaro risplendeva all’interno delle morte mura di casa. I collegamenti interni non erano visibili: erano tutti protetti come da un’armatura di levigato
acciaio chiaro. Due gambe. Due braccia. Una faccia completa di tutto.

Anche se chiaramente antropomorfo, continuava ad avere comunque “tipici tratti da robot”: non aveva il colore della pelle, non aveva una pelle, i movimenti espressivi erano limitati, sia per i componenti metallici sia per la limitata conoscenza e consapevolezza delle emozioni umane. Giusto gli occhi erano stati vagamente resi simili a quelli umani: era stato impiantato loro un colore verde chiaro, probabilmente per attribuirgli una sorta di “umanità”.
«Salve Padrone…» Avevano fatto anche molti progressi riguardo alla voce dei robot, anche il loro diaframma era stato modificato.
«Jonathan Plum»

«Salve padrone Jonathan Plum»
«Chiamami solo Jonathan.»
«Certamente. Posso Signore elencarle le Leggi della robotica?
È da prassi.»
«Aspetta un attimo. Ti ho detto il mio nome, dimmi il tuo.»
Jonathan non era per niente abituato ad avere a che fare con i robot. Era la prima volta che ne aveva uno per sé. Ed era una strana sensazione. Era cosciente del fatto che la macchina non
potesse provare sentimenti. Ma allora perché si sentiva così…

«Signore, il mio modello è: Robot L. R. 1.» Su questo nessuno aveva da ridire, sul fianco sinistro
era stampato questo numero di serie.
«Non ti ho chiesto il modello.» Così umano e così non umano.
«Ti ho chiesto il nome.»
«Non ne ho Signore. Ma se la fa sentire a disagio provvederò subito a procurarmene uno, oppure me ne dia uno lei.» La voce del robot tremava quasi impercettibilmente.
«Mmm…» “Chi sono io per dare un nome a questo robot?
Però posso usare quello che ha già!”

«Allora: il tuo numero di serie è L. R. 1, confermi?»
«Confermo»
«Lorenz Primo!»
«Molto piacere, Jonathan. Per rispondere alla domanda precedente: Il mio nome è Lorenz Primo. La fa sentire meglio?»
«Devo dire di sì.» In realtà non sapeva se lo faceva sentire veramente meglio. Jonathan non sapeva se intraprendere un percorso improntato sul rendere il loro rapporto come un rapporto uomo-macchina o un rapporto… uomo-uomo. Avere dato un nome alla macchina non aveva sicuramente aiutato la confusione. «Togliamo però Primo. Troppo regale e troppo lungo.»
«Come più le aggrada. Posso ora parlarle delle leggi della robotica?»
«Va avanti.» Jonathan le sapeva a memoria, ma era da prassi.
«Prima: Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.»
Jonathan la stava recitando a memoria nella sua testa.
«Seconda: Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli essere umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge».
«Terza: Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge».
«Devo in più avvertirla che nel caso del mio modello, Robot L.R. 1, la Prima Legge è più potenziata rispetto alle altre macchine.»
«Sì, già me lo ha spiegato la signora.»
Ci fu una strana pausa di silenzio.
«Ora che si fa?» Chiese Jonathan.
«Le ricordo che sono un robot in via sperimentale…»
“Anche lui si auto-chiama robot. È una cosa, Jonathan!”,
iniziava a capire veramente il perché dell’odio dell’umanità verso i robot.

«Sono qui per sperimentare la mia compagnia con gli esseri umani e riportare la mia esperienza alla U. S. Robotics. Facciamo quello che vuole lei Signore. Ma prima devo chiederle se questa è la sua casa.» Non stava esprimendo giudizi, lo si capiva dall’anonima voce.
«Sì, è la mia casa, Lorenz»
«Posso fare un controllo di tutte le stanze? Per capire in che ambiente siamo.»
«Certo Lorenz, basta che non rubi nulla!» Quella di Jonathan era una battuta, sapeva per certo che i robot non potevano rubare agli umani.
«Signore, non lo farei mai! Ma se pensa questo di me, me ne andrei! Non vorrei apportarle nessun tipo di ansia o stress»
«Lorenz, non è come sembra. Tranquillo vai in giro per la casa.»
«No! Rimango qui!»
Cosa stava succedendo?!
«Lorenz, era solo una battuta! Ti ordino di fare un giro per casa!»
Nella pausa che ci fu, a Jonathan sembrò di sentire i calcoli nel cervello positronico del robot.
«Come comanda, Signore. Con permesso.» Il robot iniziò a girare per la casa.
Questa cosa Jonathan non l’aveva mai vista nei librifilm. Una macchina che si lamenta e se la prende sul personale? Come era possibile… ma certo, la Prima Legge! “ Un robot non può
recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno”

Lorenz faceva di tutto per far sì che Jonathan vivesse al meglio delle sue possibilità. E il creare anche piccole ansie sarebbe stato per il robot un grande errore. Questo fiume di pensieri attraversava la mente di Jonathan, fino a che non venne interrotto da Lorenz, il quale lo afferrò per le spalle e lo trascinò via.
«LORENZ CHE FAI!» Non gli stava provocando dolore, ma la sorpresa era stata così improvvisa che in qualche modo Jonathan si fece male.
«Signore, la sto portando fuori di casa.»
Prima di poter replicare, i due si ritrovarono già fuori la porta chiusa di casa.
«Le chiavi. Ho lasciato le chiavi all’interno!»
«Non le servono più, Padrone. Deve abbandonare questo posto.»
«Ma non esiste!» Jonathan avrebbe voluto, ma poteva permettersi solo quello e se lo teneva ben stretto.
«Ma Signore, il posto dove vive abbassa il suo tasso di felicità. Le stanze sono troppo piccole per esprimere la sua essenza. Inoltre le pareti e i mobili sono vecchi e deprimenti. Abbassano il suo tasso di…»
«Stupida macchina! È solo qui che posso vivere.»
«Ma Signore…»
«Lorenz…» Jonathan cercava di trattenere la rabbia. Si sognava i bigliettoni a fine esperimento… e anche la fine dell’esperimento stesso. «Questa è casa mia. Non mi rende infelice, anzi mi rende felice averla!»
«Signore…» Se Lorenz avesse avuto le lacrime avrebbe pianto di certo. «Mi dispiace. Contatto la U.S. Robotics per farmi venire a smontare pezzo per pezzo. Creo troppa infelicità.»
«No Lorenz!»
«Mi dispiace, Jonathan.»
«Ti ordino di restare! Vedi, se tu riuscissi a stare insieme con me per tutto il week end, mi faresti molto felice.» Uguale soldi, pensò.
«Davvero?»
«Sì, Lorenz»
«Allora è certo che resterò»
Sarebbe stato un fine settimana molto difficile.
«Una domanda, Lorenz: la U. S. Robotics copre i danni?»
«Se sono causati dal robot, sì Signore».
«Perfetto.»
«Perché?»
«Vedi, ho lasciato le chiavi dentro l’appartamento e ci sarebbe una porta da sfondare»