Un vagabondo di nome Arturo viveva la sua vita di espedienti, viaggiando da un posto all’altro, truffando persone che incontrava lungo i suoi viaggi, allontanandosi prima che le vittime designate si accorgessero degli inganni subiti. Naturalmente viaggiava sotto falso nome. La sua tecnica era semplice: mediante internet seguiva tutti gli eventi di una data città, una precisa zona, studiava le caratteristiche, il folklore, le credenze e le superstizioni locali, onde poter architettare la sua trappola, facendo leva proprio sulle debolezze della comunità puntata.

E fu la volta di una piccola società montana, un paese in stile medievale, isolato, situato a oltre 2000 metri d’altezza, poco più di mille anime, consuetudini e costumi d’epoca, risalenti ai progenitori del 1300. Il sindaco di quel paese aveva funzioni governative oltre la sua carica di Primo Assessore. Era riconosciuto quasi un regnante per quegli abitanti, gente tranquilla, tutti grandi lavoratori, proprietari terrieri e fattori, nonché bravi e instancabili contadini. Si chiamava Cesare, forse un soprannome, comunque abbastanza altisonante per farsi rispettare. Ogni sua decisione era legge, nessuno osava in alcun modo contraddirlo.

Ma le sue ambizioni andavano ben oltre il governo di mille sempliciotti: alla soglia dei quarant’anni d’età desiderava ben altro, il benessere accumulato non era facilmente spendibile in quella terra che più di tanto non poteva dargli. Le risorse di quel borgo medievale erano ben al di sotto delle sue aspettative di avida ricchezza. Voleva divertirsi, smettere di lavorare per i suoi “sudditi”, non sopportava più di dover amministrare il patrimonio e le ricchezze del luogo per poi doverle re-distribuire ai suoi pacifici, volenterosi, operosi quanto odiosi abitanti.

Era comunque considerato buono e giusto, ma, in cuor suo aspettava il momento buono, l’occasione della vita, il colpo di fortuna, la svolta. Inutilmente faceva scavare nei dintorni alla ricerca di pietre preziose o filoni d’oro, petrolio, gas, o, perlomeno rame o zinco, materie prime di valore che avrebbero potuto cambiargli la vita, gestirla in prima persona e abdicare dal suo ruolo di anacronistico sovrano medievale camuffato da sindaco. Ma un bel giorno il direttore dei lavori di scavo gli reca una notizia apparentemente bella:

“Eccellenza!” – così veniva apostrofato da chiunque lo avvicinasse – “abbiamo individuato un filone di  piombo!!!. “

“Grazie, e bravo direttore, bravo Adolfo! sarai compensato come meriti! ma quanto è grande questo filone? quanto minerale possiamo estrarre?”

“Non molto, mio Signore, una piccola vena, mi dispiace! per adesso temo non più di 1500 tonnellate per un anno … ma continueremo a scavare”

Va bene, fido ingegnere, sono nelle tue mani. Lavora alacremente e verrai ricompensato adeguatamente.”

Ma torniamo al nostro prode Arturo, il vero protagonista, il quale, navigando su internet, era incappato sul profilo storico e attuale di questo singolare paese “fuori dal tempo”, spesso trascurato perfino dalle mappe geografiche, ma divenuto interessante per i suoi scopi. Aveva studiato usi e costumi degli abitanti, del suo strampalato regnante fuori tempo, ma in sintonia con le caratteristiche medioevali di tutta la comunità, fino a intercettare la notizia di questa sopraggiunta piccola ricchezza, che stava cambiando la vita di quella piccola società, ma non avrebbe accontentato la bramosia di ricchezze del caro sindaco sovrano. In qualche modo doveva sfruttare la cultura e la debolezza di questa gente e del suo leader, per trarne il massimo profitto e garantirsi un bottino che gli avrebbe consentito altra autonomia per girare il mondo per qualche altro anno, anche perché le sue riserve vitali erano agli sgoccioli. Troppo tempo era passato dall’ultimo colpo, troppo gli era costata la fuga per sottrarsi alle sue ultime vittime.

“Vediamo, cosa fare” – rimuginò Arturo – “paese antico non ricco, scoperta di un piccolo filone di metallo non prezioso, ma di valore, comunque insufficiente per il salto di qualità … mumble mumble … abitanti fuori dal mondo quindi superstiziosi e fatalisti ancorché creduloni, come sicuramente il loro primo e unico rappresentante, miniera a cielo aperto, macchine per la lavorazione del minerale … mumble mumble … trovato!”

Così aveva elaborato un piano. Si recò dapprima sul posto, poi alla miniera, osservò la lavorazione del piombo, che fuoriusciva da una macchina sotto forma di piccole barre allungate, a guisa di parallelepipedo. Si finse giornalista, avvicinò un operaio che sistemava le barre accatastandole e incrociandole l’una sull’altra. Cominciò a fargli delle domande, dopo aver sfoderato un convincente microfono collegato a un inutile apparecchio di registrazione a tracolla.

“Sono Raffaele Lafinta, del ‘Daily Mineral World’, un importante quotidiano milanese; lei è un operaio? posso farle un’intervista?”

“Certo! mi chiamo Adolfo, ingegnere minerario responsabile della miniera, ma si sbrighi è l’ora di chiusura”

Sapeva benissimo chi era, altro che operaio: era il direttore dei lavori di scavo, persona timida, uomo onesto, professionale, devoto al sindaco, pauroso, ma anche vanitoso desideroso di attenzioni.

“D’accordo, voglio solo sapere se vi piace il vostro lavoro, se vi pagano bene, quanto minerale state estraendo e come lo lavorate”

“Il mio lavoro mi piace” – rispose l’ingegnere – “è ben pagato e, se il sindaco è soddisfatto, mi riconosce una gratifica ogni tre mesi, in base ai risultati conseguiti. E’ un po’ eccentrico, ma una brava persona. Estraiamo circa cinquanta quintali al giorno di minerale, questa macchina lo raffina separandolo dal calcare e da tutte le impurità della terra, quindi produce questi piccoli listelli di piombo puro, del peso di cento grammi l’uno. Avremo lavoro almeno per un anno, quindi estrarremo 1500 tonnellate di minerale, per produrre  300 tonnellate di piombo allo stato puro, forse di più.”

“Bellissima sintesi, ingegnere, la pubblicherò. Posso prendere due listelli come campione? Ve li pago! Voglio portarli al mio giornale, fotografarli dopo averli collocati su una bacheca accanto ad una cartolina recante uno scorcio del vostro meraviglioso paese. Vi ho anche fotografato mentre dirigete i lavori,  dunque d’accordo?”

“Certo, eccoli, prendete pure, ma vi prego, non fate il mio nome nell’articolo, per carità, il sindaco si adirerebbe e … niente gratifica.”

“Stia tranquillo, Ingegner Adolfo, verrà fotografato di spalle, non la citerò quale fonte d’informazione,  resterà anonimo e grazie di tutto!”

Certo che non avrebbe fatto nessun nome, era tuttavia sincero, anche perché non ci sarebbe stato alcun articolo come non esisteva alcun Daily Mineral World, ma un piccolo ufficio con un modesto computer. Ed era anche sicuro che il fedele Adolfo non avrebbe raccontato nulla al suo sindaco-padrone. Così corse subito nel suo piccolo ufficio, mise in piedi una falsa notizia, allestì e stampò una pagina come fosse appartenente a una inesistente rivista titolata “Old life, new country”, ove l’articolo “esca” recitava: “Ettore, provetto alchimista, trasforma il piombo in oro, dieci grammi d’oro per ogni oncia di piombo puro trattata. Compenso ragionevole. La sua formula è segreta, prestazione unica e irripetibile”.

La sua prestazione era veramente unica, nel dolo e nella necessità, perché, si sa, la truffa non può essere ripetibile: come il fiammifero, la vittima può essere fregata una sola volta.  Bisogna saper lavorare di grande fantasia, rinnovarsi sempre ed essere credibili, poi, la parola d’ordine é: “Sparire!”.

Prese la pagina di finto rotocalco appena inventata e stampata di fresco, la stropicciò per farla sembrare usata e vissuta, si recò al “paese degli allocchi”, e puntò un indirizzo preciso: la casa della comare più chiacchierona del paese, ma carismatica e molto ascoltata. La sua opinione era tenuta in alta considerazione dai compaesani, la sua parola verità. Non le sfuggiva niente, le notizie passavano per prime dai suoi occhi e/o dalle sue orecchie, venivano metabolizzate, rielaborate e deformate dalla sua interpretazione soggettiva, per essere poi date in pasto  ad una popolazione incline al pettegolezzo esponenziale, funzione diretta del numero di bocche rimbalzate nel breve intervallo temporale. Ogni ascoltatore, dotato di callosa lingua battente, un tam tam più efficace di un ponte radio, contribuiva al calcolo matematico del minimo tempo necessario per coprire la poco numerosa popolazione della notizia raccontata. Poi ogni abitante inevitabilmente aggiungeva del suo per meglio stupire l’ascoltatore o ascoltatrice di turno, che a sua volta non lesinava di spammare la stessa notizia aggiungendo del proprio.

Forte di tutte queste piccole debolezze degli abitanti, il furbo Arturo, senza farsi accorgere, fece cadere la pagina, mezza accartocciata, proprio davanti l’abitazione della comare e proseguì la sua passeggiata, recandosi poi al paese vicino, proprio all’indirizzo che aveva inserito sul fasullo articolo, ben sapendo che presto o tardi sarebbe stato ivi cercato. La voce del pettegolezzo più veloce della luce raggiunse così in pochissimo tempo il paese medioevale, che fu presto invaso dalla notizia riformulata del forestiero che con la magia trasforma il piombo in oro. Così il semplice truffatore era diventato un grande alchimista medievale venuto dal passato, detentore della pietra filosofale, immortale viaggiatore del tempo, possessore del grande segreto: la formula per trasformare il pesante minerale grigio in un poco più pesante ma molto più prezioso minerale aureo.

Chi giurava d’averlo visto all’opera, chi raccontava di averlo letto in un libro di favole, e la notizia non tardò a giungere alle orecchie del sindaco sovrano: una manna dal cielo che cadeva al momento giusto nel posto giusto a nutrire le sue speranze. Ma se fosse stata una bufala? con tanti ciarlatani che circolano, meglio accertarsi della veridicità di queste chiacchiere.

Così il sindaco riuscì a rintracciare la fonte della notizia risalendo presto alla sorgente, decise perciò di recarsi da quest’uomo dei miracoli di alchimia post-moderna per saggiare le sue qualità. Si travestì, occhiali e barba finta, falso nome, si recò in gran segreto all’indirizzo riportato sul pezzo di carta. Bussò alla porta e gli aprì un eccentrico individuo vestito in stile medioevale anche lui, un nero mantello che l’avvolgeva, indossando una lugubre maschera carnevalesca, una maschera di cuoio di colore nero. Cesare, il sindaco, non ci fece caso più di tanto e, con tono aulico ma gentile, si presentò:

“Sono il marchese de ‘La Croix d’Argent’, una famiglia nobile da generazioni, ed ho sentito che fate miracoli con il piombo. Come vi chiamate, sir?”

“Semplicemente Ettore, per servirvi Marchese, discendo da un’antica famiglia di alchimisti” – rispose Arturo, togliendosi la maschera, e inchinandosi davanti a lui, come voleva il rituale d’epoca

“Bene! allora, se è vero che sapete mutare il piombo in oro, datemene una dimostrazione: ecco, vi ho portato una barra di piombo, fatemi vedere cosa sapete fare!”

Il furbo Arturo si era audacemente preparato all’evenienza, prese la barra di piombo e con grande destrezza la sostituì con un’altra, apparentemente uguale, che aveva preso da una tasca del mantello che lo cingeva. Cominciò a manipolarla, sfregandola freneticamente, pronunciando parole strane in un inverosimile latino:

“Aurum de plumbeum corpus digitalis et caldum in ecce manu apparitur est”

E ripeteva tale frase continuamente, continuando a sfregare forte il metallo, finchè, fra le sue mani, cominciò misteriosamente a schiarirsi, ingiallirsi, fino a diventare color oro.

Il sindaco rimase allibito e a bocca aperta, che subito richiuse per non tradire lo stupore, e, ostentando indifferenza, disse:

“Bello spettacolo, complimenti! ed io dovrei credere che dalle vostre mani il mio pezzo di piombo è diventato oro?”

“Credete quello che volete, Marchese de La Croix, io non devo convincervi di niente. Adesso se non vi dispiace avrei da fare e …”

“Un momento, amico Ettore” – lo interruppe il sindaco sotto mentite spoglie di marchese – “cercate di capirmi, qualche dubbio mi assale, non vi conosco alquanto e potreste ingannarmi. Vorrei prima verificare se cotesta barretta, massaggiata dalle vostre mani è veramente d’oro, la dovrei far analizzare da un laboratorio orafo di mia fiducia. Qual è il vostro prezzo?”

“Dieci grammi d’oro o controvalore in moneta per ogni oncia di piombo puro che mi fornite e che vi restituisco in oro puro”

“No, non ci siamo, caro amico. Ci vorrebbe troppo tempo e dispendio d’energie, vi faccio una proposta: voi mi date la formula del liquido che cospargete con le mani e mi insegnate la filastrocca ed io vi pagherò qualunque prezzo”

“Il liquido è semplice acqua pura di sorgente, caro marchese, e il segreto non si limita all’acqua ed alla filastrocca: rieccovi il vostro listello adesso d’oro, andate, fate le vostre verifiche e tornate domani con un’altra barra di piombo e centomila euro contanti”

“Affare fatto! ci vedremo domani, caro Ettore: o con le monete, o con le guardie nel caso mi abbiate imbrogliato”.

Arturo aveva investito fino all’ultimo risparmio per “fabbricare” due barre d’oro colato in un crogiolo con il calco di una delle due barre di piombo alacremente e furbamente sottratte alla miniera con il consenso dell’ignaro complice ingegnere Adolfo. Le aveva poi messe a bagno in una vernice speciale di color piombo (appunto) che si scioglie ed evapora con il semplice calore del corpo umano; infine, con la sua consumata abilità di prestigiatore ne aveva impiegata una per sostituirla alla barra di piombo che gli era stata consegnata dal sindaco.

Adesso era in attesa del ritorno del leader sotto mentite spoglie di impossibile marchese di un inesistente casato francese, per completare l’opera truffaldina che aveva architettato. Il sindaco-marchese si presentò puntuale il giorno dopo con un grande sacco di canapa contenente il compenso promesso, consistente in cinquantamila monete da due euro. Aprì il sacco davanti al truffaldino “Ettore”, dopo averlo agitato per fargli sentire il suono delle monete.

“Ecco caro Ettore, sono centomila euro di moneta “sonante”, cinquantamila monete da due euro, potete contarle”.

“No, marchese, ci vorrebbe troppo tempo, mi fido della vostra parola di nobile genuino, e ricambio insegnandovi il metodo per la trasformazione. Datemi una barretta di piombo e vi spiego tutto”.

Il sindaco gli porse una barretta, che velocemente e senza farsi accorgere Arturo sostituì con l’ultima barretta d’oro in suo possesso, verniciata a piombo e preventivamente nascosta nel mantello, e gli disse:

“Adesso, prima di cominciare, imparate a memoria la filastrocca: ‘Aurum de plumbeum corpus digitalis et caldum in ecce manu apparitur est’, coraggio, ripetete insieme a me”

Il sindaco imparò presto a memoria la filastrocca, quindi Ettore, alias Arturo, gli porse la barretta, raccomandandogli di sfregarla con energia mentre recitava la filastrocca. Così fece il marchese alias sindaco Cesare, e, con suo grande stupore, vide la barretta cambiare colore nelle sue mani, senza sporcarsi. Gli brillarono gli occhi e si congedò velocemente dal suo “fornitore”: non poteva credere ai suoi occhi.

“Vi siete meritato i centomila, caro Ettore, buona fortuna”

“Buona fortuna a voi, Marchese e… accidenti! Dimenticavo … aspettate!!!”

Estrasse dal mantello una busta sigillata alla ceralacca e gliela consegnò.

“Prima di recitare la filastrocca, leggete il contenuto della lettera, è breve, ma c’è un importante dettaglio da non trascurare per il successo dell’operazione, poi gettatela subito nel fuoco. Se doveste cedere la formula a qualcuno, dovrete riscrivere il contenuto della lettera di vostro pugno e sigillarla nuovamente dentro una busta e consegnargliela”

Il sindaco, annuì con un sorriso beffardo quasi volesse dire “Che sciocchezza! non la cederei mai ad alcuno, per tutto l’oro del mondo!”. Conservò la busta, salutò frettolosamente il furbo attore: non vedeva l’ora di tornare al suo paese e provare la formula con la catasta di listelli di piombo che avrebbe approntato nel suo appartamento. Così, una volta ritiratosi nei suoi alloggi, svestitosi del travestimento, prese un listello, fece per iniziare a recitare la formula, ma si ricordò della busta. L’aprì, lesse il contenuto della lettera, che recitava:

“Ricordati di non pensare mai alla MASCHERA DI CUOIO mentre reciti la filastrocca, altrimenti la trasformazione non avrà luogo”

“Ma che idiozia – pensò fra se e se – bastava non dirmi niente e chi avrebbe mai pensato, e poi cosa c’entra una maschera di cuoio, mah!”

Cominciò a recitare la formula sfregando la prima barra fra le mani, ma s’interruppe quasi subito:

Acc! mi è venuta in mente la maschera di cuoio! pazienza, riproviamo. Non devo pensarci più”

Ma per quanto si impegnasse, provava e riprovava, ma non riusciva a togliersi il pensiero della maschera di cuoio, passò tutta la notte in bianco con le mani arrossate dal continuo sfregamento, arrabbiandosi e dandosi pugni in testa.

“Maledetto Ettore e la sua maschera! l’ha fatto apposta! me la pagherà! lo porterò qui e farò trasformare a lui tutto il mio piombo in oro! lo terrò a pane e acqua finchè non avremo finito! dovrà meritarsi i centomila euro! ma che credeva!?”

Facendosi accompagnare da due guardie, si recò al paese dove dimorava il sedicente alchimista, ma alla casa non c’era più: sparito. Il sindaco aveva capito d’essere stato truffato, ma non si disperò più di tanto:

“Non si godrà i centomila, parola di Sindaco”

Fece un mezzo sorriso quasi soddisfatto, ripassò fra le mani i due listelli d’oro donati dal truffatore, calcolò che valevano più o meno 500 euro cadauno, un premio di consolazione, e tornò sui suoi passi con la sua scorta, desistendo dal rintracciare il truffatore.

Intanto il furbo Arturo, gongolando per il trionfo dell’operazione, era rientrato di corsa alla sua casa, molto lontana dal luogo ove aveva incontrato il sindaco, dopo aver fatto sparire ogni traccia della sua esistenza. Pose il pesantissimo sacco di monete sul tavolo, l’aprì, e … si accorse che sotto un primo strato di monete da due euro, un migliaio circa, c’era un grosso e robusto sacco di plastica trasparente che racchiudeva altre monete, ma … di piombo! Con un groppo in gola aprì il sacco, rovistò fra le monete e, fra le finte monete estrasse una busta sigillata, con la ceralacca. L’aprì e vi trovò una lettera con su scritto:

Visto che sei così bravo a trasformare il piombo in oro, non te ne avrai a male se dovrai sudare per trasformare anche queste”

Rimase esterrefatto e deluso e, con la bocca ancora aperta dallo stupore, trovò la forza di sedersi. Poi si riprese e si mise a contare le monete buone: erano mille, da due euro l’una, per un totale di duemila euro, quanto bastava per rientrare delle spese sostenute per la messinscena, acquisto dell’oro, del crogiolo, forno per la fusione, affitto dell’appartamento, finte apparecchiature da giornalista. Andò poi verso uno specchio, si guardò e dopo poco scoppiò in una grossa risata:

“Ma tu guarda questo sindaco! è riuscito a fregarmi a sua volta. Tutto sommato non ci ho rimesso, ma … credo che adesso troverò un lavoro onesto: è meno faticoso e, soprattutto, meno rischioso.”

Il prode Arturo scoprì per la prima volta l’ebbrezza del lavoro onesto, della fatica e del giusto compenso. Niente più espedienti, tensioni, ansie, latitanza, paura d’essere scoperto: quanto guadagnava era meritato e non avrebbe avuto più nemici, e non solo: ogni mese poteva mettere da parte qualcosa per una serena vecchiaia.

E così si conclude questa favola con una morale abbastanza scontata e nota: si potrebbe attingere da proverbi quali “Chi la fa l’aspetti” o “La farina del diavolo va sempre in crusca”, che in questo caso può tradursi in : “l’oro del truffatore va sempre in piombo”; ma, più simpaticamente si può concludere, ricalcando una vecchia pubblicità di un noto analcolico:

“Travailler … c’est plus facile!”

Vincent
Scrittore, Musicista, Informatico

Tratto dal racconto n. 2 del mio libro “Le Favole di Vincent”