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La sostenibile ricchezza dell’essere

Papà Gianfranco e il figlio Andrea, famiglia di discendenza nobile, altamente quotata nell’alta società, decidono di intraprendere un viaggio culturale intorno al mondo. Il padre vuole insegnare al figlio l’importanza della ricchezza, di un’alta posizione nella società, un lavoro altamente qualificato. Eleganza, stile, professionalità, immagine, qualità irrinunciabili nella stirpe: ascendenti professori, dirigenti, ricercatori, ufficiali dell’esercito e perfino un Corazziere di Sua Maestà Vittorio Emanuele III. Il figlio, vent’anni, un ragazzo semplice, intelligente e ribelle, veste sempre in pantaloni e camicia jeans, scarpe da tennis, cinturone con medaglione e fibbia in rame, braccialetti di cuoio al polso destro, orologio smart al quarzo, sofisticato smartphone al seguito. Il ragazzo lavora in un negozio di strumenti musicali come commesso, nulla gli importa di intraprendere né gli studi universitari né il percorso di carriera del padre, pur fruendo di enormi facilitazioni.

Nella sua indole ribelle non accetta regole e protocolli di vita, né tantomeno vestire in giacca e cravatta per ubbidire a un costume di ipocrisia conformista che, a suo dire, “Veste la forma del fumo chi non ha sostanza d’arrosto”. Queste le sue parole ogni qual volta entra in acceso conflitto col padre, uomo armato di sani e classici principi.

  • Vedrai figlio mio, quando ti farò conoscere il mondo, com’è importante la forma, l’eleganza, ma soprattutto il denaro: ti apre tutte le porte, perché sei rispettabile, una garanzia d’integrità morale e sociale. Ti stanerò da quel guscio di bottega musicale dove ti sei rintanato per vendere dischi, cd, chitarrine e pianole a giovani sgangherati senza cervello
  • Non è vero, papà: quel negozio è frequentato da brava gente e artisti, alcuni emergenti alcuni già famosi, ed è bellissimo stare in mezzo a loro: gente semplice, alla mano, idealisti. Anche loro hanno girato il mondo, ma senza dover indossare una divisa da pinguino, né spacciare sorrisi finti. Non puoi immaginare com’è bello ascoltare i loro racconti, la loro esperienza, la loro musica, e dar loro dei consigli sugli acquisti, indirizzarli sugli accessori più adatti alla loro strumentazione, al loro abbigliamento…
  • Immagino!” –  lo interrompe il padre – “Gingilli a forma di diavolo, cinture con medaglione di drago rosso sputafuoco, braccialetti di pelle di serpente, magliette horror, collane di pietre di puro calcare stagionato!
  • Niente di tutto ciò, papà: ti faccio un esempio: per una chitarra Gibson o Fender, non va bene un plettro in nylon. Si consuma in poco tempo e potrebbe cedere nel momento più importante di una performance. È preferibile quindi un plettro in tortex, più opaco al tatto, un’eccellenza in fatto di grip, poiché studiato per non scivolare anche in condizioni di estrema umidità, dura più a lungo e…
  • “E basta così figliuolo. Non ci capisco niente, tortex… grip… ma come parli? Per me sono una massa di sbandati senza una meta, senza uno scopo, urlano parole al vento senza senso che chiamano musica. Non sanno neppure dove sta di casa la cultura! Per fortuna sono riuscito a farti studiare e prendere un diploma. E smettila di armeggiare con quel coso, almeno mentre ti parlo, sempre attaccato a quel… quello smut… small… smok… fohn…
  • Smartphone, papà, non è un asciugacapelli, ma un computer palmare formato telefonino! Invece i tuoi “amici” sanno dov’é la cultura?” – ribatte il figlio con una nota di sarcasmo – “non sanno neppure coniugare i verbi. Non conoscono neppure la differenza fra tramite e mediante, fra Know-how e knock-out e nemmeno quella fra pugno e cazzotto. Tanto che differenza fa? Si capiscono fra loro e fanno di tutto per non far capire niente a noi comuni mortali. Non ho mai sentito un discorso che non fosse condito di ipocrisia, demagogia e profonde bugie, unitamente a una grande ignoranza quando confondono Pitagora con Aristotele!
  • Oh perbacco! Anche se hai fatto il Liceo Classico, non ti permetto di insultare il mio mondo e i miei pari: io e te viviamo su due pianeti diversi, uno dei quali è il mio e si chiama Terra, che calpesto volentieri tutti i giorni. Adesso ti farò scendere dalla tua Luna e farai il giro del mondo insieme a me. Si parte la settimana prossima.
  • “Va bene papà! Sarò felice di visitare il mondo insieme a te. Voglio solo ricordarti che la Luna non è un pianeta, spiegalo anche ai tuoi amici “colti”.

Incassando l’ultima frecciatina del figlio insolente, senza più ribattere, papà Gianfranco ritorna alle sue faccende. Ha perso fin troppo tempo per fare un ennesimo buco nell’acqua col figlio, sempre inamovibile dalla sua posizione di consumato ribelle. Prepara i bagagli essenziali, mentre il figlio decide di portarsi anche la sua fedelissima chitarra classica in legno laccato forgiata da un bravissimo liutaio sudamericano. Il viaggio ha inizio. Prima tappa Petra, in Giordania, una città di pietra color rosa scolpita su un lato del monte Hor dai Nabatei nel III secolo a.C: una delle meraviglie dell’umanità, meta culturale molto ambita e costosa: 2000 euro fra viaggio, visita, soggiorno, souvenirs e spese varie. Ed è solo la prima tappa. Il figlio Andrea è estasiato. Ha collezionato migliaia di foto e video, per rivivere a casa e nel tempo una così irripetibile emozione.

  • Che meraviglia papà, mai visto niente di più affascinante, grazie dal profondo del cuore
  • E non è l’unica! Abbiamo ancora mezzo mondo da vedere. Vedi, Andrea, l’importanza dei soldi? Avresti mai potuto permetterti in tutta la vita un viaggio del genere, perseverando nei tuoi ideali o facendo il commesso in un negozio?

Il figlio non risponde. Il viaggio prosegue. Le successive tappe, verso Oriente e Medio Oriente: la Grande Muraglia Cinese, la piramide di Cheope e la Sfinge a Giza, in Egitto. Poi verso Occidente: il Cristo Redentore di Rio de Janeiro, Chichén Itza, un complesso archeologico che copre un’area di 3 km quadrati nella magica Terra dei Maya, la Città Perduta di Machu Picchu, in Perù. Infine, dulcis in fundo, ultima tappa prevista, il Colosseo a Roma. Una meraviglia dietro l’altra.

Ma, durante il viaggio di rientro verso Roma, un’avaria costringe il pilota del piccolo jet a un atterraggio di fortuna in una radura del Perù. Nessuno dei tre passeggeri riporta ferite, solo qualche ammaccatura, aereo danneggiato, chilometri e chilometri dalla civiltà. Il pilota cerca di comunicare via radio, ma tutta la strumentazione di bordo è fuori uso. I cellulari non hanno campo. La situazione sembra disperata.
Il padre è sconvolto, il pilota tenta invano di riparare la radio. Il figlio armeggia affannosamente con il suo sofisticato smartphone.

  • “Non puoi fare proprio a meno di giocare col tuo fohn in una situazione drammatica come questa Andrea? Non vedi che non c’è campo? Lascia il gingillo e cerchiamo di farci venire un’idea.”
  •   “Tranqui papi, non c’é campo, ma il GPS funziona a meraviglia! E non è un fohn, ma uno Smartphone!
  • E allora? A che ti serve? Non possiamo certo usare il navigatore qui!
  • Certo papà, ma adesso so a quale latitudine e longitudine ci troviamo. Vedi quelle montagne a Est? È la catena delle Ande. In quella direzione non troveremo niente. Se invece procediamo verso sud-ovest in direzione della costa, verso Lima, incontreremo una strada fra cinque o sei chilometri.
  • Come fa ad esserne così sicuro ragazzo?” – interloquisce il pilota, frustrato dall’insuccesso nel tentato ripristino delle comunicazioni – “non abbiamo mappe di questa zona!
  • Non è esatto” – risponde Andrea, accennando un mezzo sorriso di soddisfazione e autocompiacimento, subito ricomposto per riprendere la dovuta concentrazione – “nel mio smartphone sono memorizzate le mappe di tutto il mondo ed ho effettuato una ricerca basata sulle coordinate che ho rilevato, uno zoom sulla zona, un calcolo approssimativo in base alla scala e voilà! “- conclude il ragazzo facendo un cenno di invito a muoversi indicando sud-ovest. I tre si mettono in cammino, sotto il sole cocente e, in un paio d’ore, raggiungono la strada.
  • Adesso non ci resta che attendere qualche anima buona che passi e ci dia un passaggio fino a Lima, e nel frattempo ci riposiamo e facciamo uno spuntino” – afferma ottimista papà Gianfranco, mentre addenta un robusto panino, guardando incuriosito il sorprendente figlio che sembra avere la giusta lucidità e il controllo della situazione.

In lontananza l’immagine tremolante e sfuocata dal calore dell’asfalto ravvisa la forma sempre più chiara di un camion, ravvivando le speranze dei tre.

  • “¡Buenos días! Necesitan transporte, señores?
  • “¡Gracias Señor! Es posible que nos lleve hasta Lima? “- risponde Andrea sfoderando un inaspettato e lucido spagnolo, dietro lo stupore di padre e pilota.
  • No, señor, no es posible…
    Il padre, intravedendo il problema per quel che è riuscito a capire, si intromette nella conversazione:
  • Digli che posso pagare quanto vuole” – dice, sventolando tremolante una mazzetta di una trentina di banconote da 100 Nuevo Sol (la moneta peruviana), l’equivalente di poco più di 800 euro
  • No e compra la bondad de un hombre peruano, señor!” – risponde offeso il fiero camionista, che fa per ripartire
  • Aspetti! ehm… un momento señor!” – urla Andrea, fermando l’autista e rivolgendo un’occhiataccia al padre nel tacito invito a stare zitto e a non intromettersi più – “¿Por qué no nos puede ayudar?,  ¿Cuál es el problema, señor… señor?2
  • Pedro! mi nombre es Pedro señor. El problema es que yo voy a Huaral, no tengo suficiente diesel para llegar a Lima…
  • No hay problema, amable señor, venga conmigo que yo lo tengo.
    Il ragazzo con un promettente spagnolo gli spiega l’accaduto e come procurare il carburante per il camion: il serbatoio, pieno fino a metà contiene 30 litri, altri 30 possono essere recuperati dal kerosene dell’aereo incidentato che, si sa, può essere addizionato al gasolio fino al 50%, migliorando anche le prestazioni. Il camion non ha alcuna difficoltà a percorrere i sei chilometri di fuori-strada pianeggiante per raggiungere l’aereo.
  • Ma sei impazzito, Andrea?” – gli sussurra sottovoce il padre – “come fai ad essere sicuro che puoi allungare il gasolio col kerosene? È troppo rischioso! Se il camion grippa siamo in quattro dispersi in cerca d’aiuto!

Papà, mi hai fatto fare il militare nell’aeronautica e… non immagini quanto kerosene abbiamo fregato per andare in giro con il camper di Antonio, un mio commilitone. Fidati!

Papà Gianfranco, ancora stupito, si rende conto di non conoscere il figlio, un ragazzo intelligente e pieno di risorse: annuisce con un sorriso, ammicca e sale sul camion insieme agli altri. Giunti all’aereo, rimboccano il serbatoio con il kerosene, raccolgono altri bagagli che caricano sul camion e ripartono, stavolta motorizzati, verso sud-ovest, direzione Lima. Giunti nelle vicinanze della capitale, i cellulari riagganciano la rete e finalmente Gianfranco e il pilota possono organizzare il rientro ed il recupero dell’aeromobile.

  • No sé como ringraziarla per la su gentilessa señor, visto che non accetta dinero… “- spagnoleggia goffamente Gianfranco
  • No se preocupe señor!” – risponde il camionista trattenendo una risata – “lo importante es que usted, su hijo y el conductor estén a salvo!

Il gentile camionista peruviano fa per congedarsi, ma, ancora una volta, viene dolcemente trattenuto da Andrea. Gli porge la sua chitarra e lo smartphone.

  • No puedo aceptar, muchacho… esto es muy valioso para tí…
  • No Pedro! Niente è più prezioso della vita che ci hai salvato. In questa chitarra c’é il cuore della Foresta Amazzonica, in questo smartphone ho caricato un centinaio di e-book in lingua spagnola che parlano della tua terra peruviana, dei suoi tesori, dei suoi eroi, della sua storia. Ho caricato anche una ventina di mp3 della vostra bellissima musica. Spero che questo piccolo dono di ringraziamento e di amicizia sia di tuo gradimento e… scusa se ti parlo in italiano, troppo difficile esprimere la mia gratitudine in spagnolo
  • Entiendo bien tu italiano querido amigo, porque es el idioma de tu noble alma, de tu corazón! Acepto con alegría tu regalos, muchacho. Amo la música y yo también toco la guitarra y esta guitarra es única. Dile a tu padre que con el corazón, no con el dinero, se puede conquistar el mundo
  • Ho capito anch’io Pedro, anche se non parlo spagnolo. Grazie di tutto, Pedro. Grazie anche a te, figlio mio, ti ho sottovalutato e mal giudicato. I soldi possono regalare un grande, ma precario benessere, mentre i tuoi principi, le tue idee rivoluzionarie, accompagnate da una solida cultura, sono la base per la convivenza civile e umana, nonché per il reciproco sostegno. I soldi non dovrebbero esistere.
  • No papà, i soldi purtroppo non possono sparire, nemmeno se tutta l’umanità fosse buona e saggia: non ci sarebbe progresso né sviluppo, né stimoli alla crescita. Non ci sarebbero state invenzioni, sviluppo, tecnologia, non si potrebbe girare il mondo, se non a piedi o a cavallo. Saremmo rimasti dei primitivi. Un punto a tuo favore. Ma i soldi non sono tutto, papà. Non devono essere un obiettivo imprescindibile. Offuscano l’umanità che è in ognuno di noi, ci condizionano, ci abbrutiscono e ci danno quell’ebbrezza di potere che prima o poi ci si ritorce contro. È bello scoprire quei valori inestimabili che sono dentro di noi, che ci rendono unici e che ci fanno girare il mondo tenendoci per mano con le forze dell’amore e dell’amicizia. Diversamente dai beni materiali, i valori umani non hanno controvalore monetario, ma costituiscono gli ingredienti per la felicità. Come disse Daisaku Ikeda: “La base dell’educazione umana è l’amore. Una persona cresciuta con amore non è competitiva, non ricerca il successo personale a spese altrui, piuttosto desidera contribuire al benessere degli altri e della società.

Il padre annuisce e Pedro, soddisfatto più per la sua buona azione che per i regali ottenuti, si congeda dai suoi nuovi amici. Padre e figlio riprendono il viaggio verso l’ultima tappa: Roma, il Colosseo. Questa esperienza ha insegnato qualcosa a entrambi: i valori umani sono la vera ricchezza dell’essere, sempre sostenibile, ma un buon sostegno finanziario non guasta mai.

Vincent

Scrittore, Musicista, Informatico

Tratto dal racconto n. 12 del mio terzo libro “La Rosa dei 20”