Home / Sport  / Sogno Olimpico  / Mio figlio, il veterano di 19 anni

Mio figlio, il veterano di 19 anni

Quattro figli, ha giocato negli anni d’oro del Parma Volley, vincendo di tutto, tra cui due scudetti, due Coppe Italia, quattro titoli europei. Ha smesso a 37 anni e ora è il team manager del Trentino Volley che quest’anno si è giocato la finale di Champions League.

Riccardo Michieletto inizia il suo cammino di pallavolista nel San Giorgio Chirignago, a Venezia. Nel 1985 viene chiamato da una delle squadre più forti del panorama pallavolistico del periodo, il Parma di un giovanissimo Andrea Giani.

La sua è una lunga e bellissima carriera, appoggiata in toto da un padre che incoraggia i figli a inseguire i propri sogni. Se poi è pallavolo, meglio ancora. A casa di Flavio Michieletto si mangia pane e volley con Riccardo, i fratelli Federico e Giovanna e un gruppo incredibile di ragazzi e ragazze la cui amicizia è più forte che mai, anche adesso che sono un attimino più datati.   

Ora che è passato dall’altra parte della barricata e fa il papà, incarna i valori della sua famiglia, che sono gli stessi della “pallavolo di una volta”, trasmettendoli al giovane fenomeno di cui tutta Italia si è innamorata in queste Olimpiadi: il figlio Alessandro.

Alessandro Michieletto è stato scelto da coach Blengini per far parte dei fantastici 12 di Tokyo 2020. Anzi, è nel sestetto assieme a personaggi come Osmany chi mi ferma Juantorena , mi spezzo ma non piego Ivan Zaytsev, il palleggiatore bionico Simone Giannelli.

Due metri e 09 che si muovono nel campo con una naturalezza impropria per una ‘leva lunga’, è il più giovane della spedizione azzurra. Una convocazione che era nell’aria, dopo la Volleyball Nations League, ma per nulla scontata.

Partita dopo partita, Osmany Juantorena se lo coccola manco fosse suo nipote, e a conti fatti un po’ lo è, visto che l’ha conosciuto quando il piccolo Ale aveva solo nove anni e lui, in attesa della nazionalità italiana, si allenava tutti i giorni in quel di Trento.

Ricky, raccontaci un po’ di questo fenomeno.

“È il terzo dei miei quattro figli. Prima ci sono Francesca e Annalisa – 23 e 21 – infine Andrea, 13 anni, che gioca a calcio. Ho smesso di giocare a 37 anni, a 38 ho iniziato a fare il dirigente e loro erano spesso e volentieri in palazzetto. Nel 2006 è arrivata la bella proposta di venire a Trento, perché è una delle società più serie del panorama pallavolistico italiano cui ero già molto legato, perché avevo giocato in squadra nella stagione della promozione dalla B alla A2 a Mezzolombardo. Inizialmente facevo il pendolare, poi i ragazzi sono venuti a fare le superiori a Trento e da lì hanno iniziato a giocare a pallavolo”.

La convocazione alle Olimpiadi?

“Bellissima. Non era per niente scontata, perché le Olimpiadi sono molto particolari, bisogna andare solamente in 12 giocatori, e non in 14 come si va in tutte le altre manifestazioni, ormai, e questo ha portato a delle scelte dolorose e difficili che poi sono state fatte proprio all’ultimissimo momento”.

E Blengini ha visto lungo…

“Alessandro era tra gli osservati, tra quelli che potevano aiutare la causa e far parte del gruppo…”.

Fermati. “Alessandro poteva aiutare la causa”. Alessandro è stato definito da un tuo collega uno dei migliori scorer del torneo fino a ora. Fa qualsiasi cosa. Riceve, difende, schiaccia… Quella finta pazzesca che ha fatto saltare mezza Italia dal divano. Oltretutto, quanto è alto?

“Eh. Adesso è 2 metri e 9 centimetri”.

Ecco, e mi tocca interromperti di nuovo, scusa. Siamo abituati a ben altra coordinazione da persone così alte. La sua è pazzesca, lasciamelo dire. Sembra quasi un ginnasta. Incredibile dove arriva e come ci arriva.

“Pazzesca, sì. Alto, magro, coordinato con le braccia lunghe e le mani lunghe: è proprio nato per la pallavolo” (e lo dice con un sorriso nella voce che non lascia dubbi nda).

E poi vedere la serenità che ha, sembra non abbia proprio paura, che non è incoscienza, è consapevolezza dei propri mezzi mista a un’enorme umiltà.

“Su questo è bravo, ha un bel carattere. Ha un po’ la sfrontatezza della gioventù e poi c’è una cosa che avevamo sempre visto, ha un talento un po’ innato. Lui riconosce il gioco, capisce i momenti dove bisogna forzare e magari non sprecare. Infatti tante volte in attacco, appena la palla non è precisa, vedi che lui si appoggia al muro, la rigioca e magari mette in condizione un compagno di avere un attacco migliore e di far punto. È uno che non spreca, ha un istinto incredibile”.

C’è lo “zio” Osmany che se l’è preso sotto la propria ala protettiva e lo coccola.

La voce di Riccardo sorride: “La carriera di Osmany è nata a Trento, addirittura è stato un anno senza poter giocare perché era in attesa di diventare italiano, quindi si è solo allenato e tutti i sabato e domenica Alessandro veniva su a Trento. Osmany è arrivato nel 2009/2010 e Alessandro aveva nove, dieci anni. Poi da un anno all’altro, quando ha messo su 20 centimetri, tutti ci siamo guardati increduli. Non lo riconosceva più. All’inizio era alto ma non altissimo. Giustamente, come dici tu, l’esperienza vuole che i giocatori alti 2 metri e 09 a 14 anni siano già due metri e due, magri, con i muscoli che non li sostengono o con problemi di scoliosi o di ginocchia che s’infiammano perché la muscolatura non li sostiene. Lui invece a quell’età lì era “normale”, un metro e 85 circa. Quando ha messo su un’altezza notevole ha tenuto la sua coordinazione ed è abile negli spostamenti. Anche quest’anno si è alzato di tre centimetri. Adesso spero che si sia fermato”.

Poi chi lo prende più? Già salta e non poco, ha una coordinazione eccezionale, scende che sembra una libellula. Riceve e difende e ti vien da dire “caspita, è grande, arrivare così in scioltezza alla Colaci…” Non c’è un fondamentale in cui sia debole. Non è una cosa da tutti.

“No, non lo è. Poi, sai, uno fa un pallonetto e dove un altro deve fare due passi, Alessandro solo distendendosi e allungandosi, cosa che fanno tutti, ci arriva. A me queste cose fan sorridere, perché son cose che vedo e conosco bene. Tante volte riesce a fare con due passi dei recuperi in difesa per cui altri ne devono fare quattro. Ha ste leve lunghissime e dopo ha l’occhio, che è una cosa innata, che ha sempre avuto. A scuola è andato bene pur in tempo di Covid. È uno che ti sciorina la formazione dell’Inter come nulla fosse. È una passione che gli ha passato nonno Flavio, ed è bello perché li ha avvicinati ancora di più”.

L’ho sentito il nonno…

“Il nonno bisogna tenerlo calmo perché altrimenti fa un colpo”.

Tuo papà ha fatto per voi e per la pallavolo qualsiasi cosa e io lo so perché c’ero, alle sei di mattina a seguire le finali Under qualsiasi cosa in giro per l’Italia. Vedere a 81 anni dov’è arrivato suo nipote, a coronare un sogno iniziato molti ma molti anni fa in una palestra a Chirignago, è fantastico.

“Quegli anni lì sono stati belli. Hanno fatto dei sacrifici incredibili a partire da Francesco Scandolin. La San Giorgio dopo anni e anni che ci provava è andata in A2 negli anni più difficili se vuoi, per fare l’A2 si spendevano delle cifre improponibili”.

Torniamo a noi. Quando lo guardi in televisione, cosa provi?

“Ovviamente son contento e orgoglioso, non dirlo sarebbe irrispettoso, poi è un po’ strano perché comunque, seguendo io il settore giovanile, non è una novità per me quello che fa. Dopo sono tifoso e soffro sempre come quando gioca nel Trentino Volley”.

Dove arriviamo con questa squadra?

“Non lo so. Vediamo come andrà domani, Ivan non ha fratture per fortuna, ha preso solo questa forte botta alle articolazioni della mano sinistra, non la destra”.

A proposito di mano sinistra, Alessandro è anche mancino.

“L’ha preso da Flavio. Poi per arrivare ci vuole, oltre alla bravura, anche un po’ di fortuna”.

Un’ultima domanda. Cosa vuoi dire ad Alessandro, a parte che prima o dopo deve passare dalla “zia Cristina” per un’intervista?

“Di continuare così, a testa alta, con il sorriso e di dare tutto quello che ha dentro”.

E l’umiltà di Alessandro esce prepotente dalle parole di suo padre Riccardo… La mela non cade lontana dall’albero.

“Tra tutte le cose, era quella cui noi, come famiglia, tenevamo di più. All’educazione, all’umiltà, all’altruismo. Hai fatto i nomi di Scandolin e altre persone e questi sono i valori che a noi hanno trasmesso loro. L’approccio in campo nella pallavolo di un certo tipo nasce da lì, dalla San Giorgio Chirignago. Sincerità, onestà, etica, rispetto”.

La finta nel finale di Italia – Iran del vecchio volpone diciannovenne è, per gli appassionati, da monumento.

La verità è che Alessandro non ha paura di niente, si diverte e diverte. Quasi un vizio di famiglia, dove si mangia pane e volley dai tempi del jurassico. E sono certa che il suo più gran tifoso, dopo suo nonno Flavio, sia un tale Francesco Scandolin, l’uomo che ha sacrificato tutto perché la pallavolo dal quartiere veneziano di Chirignago arrivasse là dove osano i sognatori che non si arrendono.

Ci ha pensato Alessandro, perché tutto, ma proprio tutto, è iniziato nella piccola palestra di via dell’Edera.

cricol

L’appuntamento con la nazionale è domattina, domenica 1 agosto, alle 9.25 con Italia – Venezuela