Simone Biles: una medaglia per la salute mentale
Le prime due puntate della docuserie “Simone Biles: Rising verso le Olimpiadi” su Netflix, ci raccontano come Simone Biles abbia lottato in questi anni per la salute mentale, e come questa sia stata fondamentale per tornare alle Olimpiadi di Parigi 2024.
È il 27 luglio 2021. Siamo alle Olimpiadi di Tokyo.
Simone Biles sale in pedana per disputare la finale a squadre di all-round.
Siamo alle parallele, inizia con i volteggi ma sbaglia, cosa quanto mai rara per lei, fa due volteggi anziché tre.
Nel suo volto, quando scende qualcosa non va, gli allenatori lo capiscono subito, e la seguono. Poco dopo viene dichiarato il ritiro dell’atleta dalle gare.
Simone Biles, 4 ori e un bronzo a Rio 2016, 5 volte campionessa mondiale, abbandona le Olimpiadi. Non sembra vero.
Subito uscirono le notizie sul disturbo dei twisties che la affliggeva, ma quella era solo la punta dell’iceberg.
Le prime due puntate della docuserie “Simone Biles: Rising verso le Olimpiadi“, uscita in concomitanza dell’inizio delle Olimpiadi di Parigi 2024 su Netflix, ripercorre i passaggi salienti di quelli che sono stati i disturbi che l’hanno afflitta a Tokyo 2020, e tutto il processo di rinascita e crescita dell’atleta di questi anni.
Luci e ombre della sua storia personale che, con la pandemia, le restrizioni sociali e le pressioni per Tokyo 2020, hanno avuto un’estrema risonanza dentro di lei fino a scoppiarle dentro.
Dai twesties, una specie di blocco mentale che impedisce al cervello di comunicare col corpo e ha come conseguenza quella di smarrirsi nel bel mezzo di un’acrobazia. Alla depressione post Olimpiade, Simone Biles si racconta.
Racconta quanta pressione mediatica subisce un atleta, soprattutto quando diventa un simbolo nazionale come lei.
Racconta come tutta una serie di fattori possono sfociare in disturbi depressivi che vanno a intaccare la salute mentale, e la cosa fondamentale da fare quando emergono è saperli ascoltare.
In queste situazioni non serve “superare l’ostacolo“, come si dice in gergo sportivo quando ci si blocca o si ha paura di un esercizio. BISOGNA fermarsi e ascoltarlo.
Ed è quello che l’atleta, la persona, ha fatto da Tokyo in poi.
Ha mollato la ginnastica, ha scavato dentro di sé, per ripulire e rinascere.
La narrazione della docuserie ci accompagna in questo viaggio di analisi e sofferenza, che pian piano riporta l’atleta a rialzarsi e tornare su quella pedana.
Proprio come il verso della poesia che ha tatuato sul corpo.
Oggi a Parigi 2024 è tornata.
Vince 3 ori olimpici, 1 argento ed un quinti posto – che ha lasciato spazio alla nostra D’Amato di poter vincere l’oro – e possiamo dire che ha portato a termine la sua promessa: “And still I rise”. E ancora mi risollevo.
Se 3 anni fa si è iniziato a parlare di salute mentale per gli sportivi, grazie a lei e Naomi Osaka, e nel corso degli anni si è continuato attraverso altri atleti, come Jacobs stesso che hanno fatto “outing” della brutta depressione post Olimpiade di cui pochi atleti ancora parlano, possiamo sicuramente dire che la salute mentale ora è una medaglia vinta ed una priorità non solo per gli atleti, ma per tutti.
In questi giorni sempre più atleti vincenti ringraziano i propri Mental coach che li seguono nel percorso atletico, facendo emergere sempre più il ruolo fondamentale che la salute mentale svolge nella carriera sportiva, un grande grazie lo dobbiamo a Simone Biles.
A volte per “superare l’ostacolo” bisogna solo fermarsi, ascoltare l’ostacolo e smontarlo, con l’aiuto fondamentale di professionisti che ci aiutino a superare quei disturbi mentali che possono colpire chiunque.
Una cosa sopra tutte emerge in queste Olimpiadi.
La Gen Z ci tiene alla salute mentale, ed è un’enorme conquista che questa generazione sta portando in questo mondo malato e a volte inconsapevolmente troppo tossico.
Alessandra Collodel