Stéphanie Frappart, Sara Gama, Milena Bartolini, Olivia. Cosa hanno in comune queste 4 donne? Una passione sconfinata per il calcio. Una voglia di rivalsa, una combattività unica.
Mercoledì sera Stéphanie Frappart, francese di 36 anni, è stata la prima donna della storia ad arbitrare una partita di calcio della Champion’s League maschile. Juventus – Dinamo Kiev era una partita facile sulla carta, visto il passaggio ormai certo dei bianconeri al turno successivo, lo è stata ancora di più, grazie alla sua direzione di gara attenta, serena, tranquilla. Non si è mai fatta prendere dalle manie di protagonismo di molti suoi colleghi. E questo è stato molto apprezzato soprattutto dai calciatori che mai hanno contestato una sua decisione. Cartellini dati al momento giusto ma senza mai alzare la voce.
Ma come è possibile che una donna sia arrivata ad arbitrare così in alto nel sacro tempio dello sport maschile? La risposta è molto semplice, a tratti banale. Perché è brava. Nè più nè meno.
Dal 2014 arbitra in Ligue 2, la Serie B maschile francese, e poi dal 2018 un crescendo. Inizia a dirigere partite in Ligue 1 (Serie A). Ha arbitrato innumerevoli partite internazionali a livello femminile, tra cui sia la finale del Mondiale che quella del Mondiale Under 20. La sua personalità e professionalità risalta talmente tanto da essere designata per la Supercoppa europea maschile tra Liverpool e Chelsea, a ottobre di quest’anno invece una partita di Europa League, ed infine la Champion’s.
Sara Gama, capitana della Juventus femminile e della nazionale, il 30 novembre è stata nominata vice presidente dell’AIC (associazione italiana calciatori). Da due anni consigliera in Figc. È stata l’unica italiana a cui la Mattel si è ispirata per una delle sue celeberrime “Barbie” in edizione speciale per la Giornata Internazionale della donna. Diciasette donne da tutto il mondo scelte perché sono di ispirazione per le generazioni future. Una laurea in Lingue e letterature Straniere, ha giocato negli Stati Uniti e in Francia. Da anni porta bandiera della lotta contro il razzismo (di cui purtroppo è stata spesso vittima) e forte sostenitrice del professionismo sportivo anche in ambito femminile. Mai banale, in nessuna sua uscita in campo e soprattutto fuori. Da brividi il suo discorso al Presidente Mattarella di ritorno dalla spedizione del mondiale del 2019.
Perché hanno eletto lei? Perché è preparata, vive sulla sua pelle di calciatrice ogni giorno le difficoltà di tutto un movimento, perchè sa parlare e di certo non le manda a dire. In pratica perché è brava in quello che fa e sa rappresentare.
Milena Bertolini, prima giocatrice e poi allenatrice di successo. Una delle tre donne in Italia ad aver il patentino Uefa Pro per poter allenare a qualsiasi livello anche maschile. Viene nominata nel 2017 Commissario Tecnico della nazionale femminile di calcio a furor di popolo dopo il disastroso ciclo di Antonio Cabrini e dopo aver vinto tutto in Italia con le squadre di Club. Porta la nazionale a giocare un mondiale dopo vent’anni dall’ultima qualificazione. Martedì queste stesse ragazze sono riuscite a pareggiare in Danimarca ( squadra vice campione d’Europa) e sono ad un passo dalla qualificazione al prossimo Europeo.
Perché hanno scelto lei e non un altro tecnico della Figc? Perché era la più preparata e probabilmente la migliore nel suo ruolo.
Olivia, 7 anni. Ama il calcio alla follia, il suo sogno è poter giocare in una squadra, con altri bambini e bambine della sua età nel centro sportivo di Trastevere, è pure forte. Ma le rispondono che non può farlo. Se vuole si può iscrivere a Volley, ginnastica, danza o nuoto. Ma calcio no. Perché è una femmina.
Di queste prime tre donne si è parlato in ogni giornale e programma sportivo, come se fosse un fatto anomalo e strano quando dovrebbe essere invece normale che un essere senziente di sesso femminile possa arbitrare, rappresentare degli sportivi o allenare. Di Olivia invece, l’unica tra queste storie che dovrebbe far gridare allo scandalo, se ne è parlato poco o niente.
Il tutto a pochi giorni dalla giornata contro la violenza sulle donne, in cui giornalisti, calciatori, società intere hanno manifestato il loro appoggio a questa battaglia. Ma non è forse una violenza anche non permettere ad una bambina di seguire il proprio sogno e correre dietro ad un pallone? Non c’è forse una normativa da più di vent’anni per cui le ragazze possono giocare con i ragazzi nelle stesse squadre fino ai 12 anni?
È ancora lunga la strada da percorrere, ma finché ci saranno persone (e non solo donne) che avranno il coraggio di combattere per le proprie passioni e diritti forse non sarà un’utopia vedere donne che arbitrano uomini (come succede da anni normalmente in tutti gli altri sport) o entrano in ruoli decisionali importanti senza farne una notizia. E, a maggior ragione, spero e mi auguro non ci saranno più casi come quello di Olivia.
Per me e tutte quelle che Olivia lo sono state tanti anni fa ma non hanno mai smesso di crederci. Per tutte le Olivia che ancora purtroppo ci sono. Perché lo Sport, Signori, dovrebbe essere di tutti.
#iosonoolivia
Anna Bigarello