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Storie d’altri tempi: quando la tragedia è capace di farci sorridere

Questa è la storia di come l’amicizia tra uomo e animale a volte vada ben oltre la comprensione (umana). È la storia di come in una tragedia si possa vedere anche il lato comico.

Era il 1966, inizio novembre.  Nei primi giorni del mese, il sole splendeva accarezzando i visi delle persone che andando per cimiteri si incrociavano a portare una memoria ai propri cari defunti, quasi in contrasto con la malinconia che accompagnava questa ricorrenza.

Forse era un anticipo dell’estate di San Martino.

D’improvviso il tempo cambiò. Un po’ dappertutto in Italia e soprattutto in montagna. Piove ininterrottamente per giorni, facendo dimenticare quei giorni soleggiati appena passati.

Piove e si iniziano a tenere sotto controllo i fiumi che iniziano ad ingrossarsi paurosamente.

La Piave (perchè qui la chiamano così, al femminile, come se fosse una regina a cui portare rispetto) a Maserada e a Ponte di Piave è già a 6-7 metri sopra il livello di guardia. Tutti gli impianti di pompaggio delle acque sono attivi, ma non sono in grado di gestire tutta l’acqua che cade dal cielo. Persino i collettori delle acque che dovrebbero contenere l’eventuale acqua delle esondazione sono già pieni.

La mattina del 4 novembre gli abitanti dei paesi intorno al Piave si svegliarono al fischio dello Scirocco che avrebbe soffiato ininterrottamente per 12 ore: un vento tiepido, da sud-est, che infuriava tra le case lasciando presagire il peggio, nonostante il giorno seguente il cielo regalasse un tramonto mozzafiato, dando un minimo di speranza. Gli anziani però avevano già capito che la situazione era grave, la Piave non faceva più sentire la sua impetuosità. Era silenzioso. Troppo silenzioso. E questo significava che era alto. Troppo alto.

Il mare non riceveva più gli enormi flussi di acqua dei fiumi tant’è che le stesse località litoranee si ritrovarono improvvisamente sommerse dalle acque.

Durante la giornata, le persone che abitavano in golena erano state evacuate, non senza poche difficoltà: chi non voleva lasciare la casa, chi la lasciava su una barca dal secondo piano, chi non voleva abbandonare le proprie poche cose guadagnate con il sudore, chi era al lavoro e non era ancora rientrato ed era preoccupato per la famiglia.

Inutile dire che, in breve tempo, il fiume diventò ingestibile: durante la notte tra il 5 e il 6 Novembre in alcuni punti tracima, in altre rompe gli argini e furioso travolge tutto ciò che incontra: case, stalle, campi e purtroppo anche persone.

Una storia tragica, per i danni e le perdite, ma che regala anche qualche sorriso e speranza: dal suocero e il genero che si sono salvati grazie ad una barca di fortuna, costruita con una botte, al sacrestano di Sant’Andrea salvato dal tetto della chiesa, alla neonata battezzata “a domicilio ob periculum alluvionis Plavis” da un parroco coraggioso che armato di stivali di gomma è andato a portare speranza ad una neomamma rintanata con tutti gli averi al secondo piano della casa.

E poi c’è la storia della Nonna Nesta, che all’epoca in realtà era ancora solo mamma Nesta, una donna minuta, che racchiudeva in sè un misto di simpatia e tenacia mai vista. Una storia riportata persino in un articolo di giornale. Un evento per un paese così piccolo.

Siamo in un piccolo paesino lungo il Piave, Saletto, colpito anch’esso dalla tragedia. I giorni successivi le gente del posto inizia a fare la conta dei danni e tutto ciò che viene ritrovato viene portato in piazza perché venga ridato al suo proprietario. E non si parla solo di oggetti, attrezzature o cos’altro. Ma anche di animali.

Rimangono incustodite tre oche bianche con il becco arancione. Nessuno sa di chi sono e in un momento così difficile ovviamente qualcuno cerca di accalappiarsele. Iniziano discussioni sul diritto di proprietà di questi tre poveri animali che se ne stanno lì inconsapevoli di cosa stia capitando.

Finché ad un certo punto, Nonna Nesta, con passo deciso, arriva in piazza e dice a gran voce: “Veronica, Caterina, Susanna, forza andiamo a casa!”. Tutti guardano allibiti questa signora chiedendosi chi stava chiamando. E in quel preciso momento, le tre oche, in fila indiana, iniziarono a camminare seguendo Nonna Nesta che se ne ritornava a casa tutta fiera, con un sorriso quasi beffardo sulle labbra. Quelle erano le sue tre oche e nessuno gliele poteva toccare.

Nessuno ha avuto il coraggio di protestare perché quello che avevano visto andava ben oltre il diritto di proprietà.

Nonna Nesta

Una storia che ha fatto dimenticare per un attimo la tragedia di quei giorni e che negli anni è stata tramandata in famiglia con grandi risate. Perché alla fine anche ogni tragedia ha il suo lato comico.

Michelle