Giulia: Ciao a tutti! Benvenuti a questo nuovo appuntamento con la rubrica Piccoli Lettori… come me!
Argo: Ciaoooo, amici! Ci avrei scommesso: oggi hai portato Il cavaliere inesistente!
Giulia: Certo, è il l’ultimo racconto della trilogia I nostri antenati scritta da Italo Calvino.
Argo: Dicci, qual è l’argomento?
Giulia: Questa volta, Calvino si è spinto più indietro nei secoli e ha ambientato la sua storia tra i paladini di Carlomagno, in un Medioevo privo di ogni verosimiglianza storica e geografica, proprio come nei poemi epico-cavallereschi. Qui il cavaliere Agilulfo Emo Bertrandino dei Guldiverni e degli Altri di Curbentraz e Sura, paladino di Carlomagno, si batte contro gli infedeli al seguito dell’esercito di Francia. A differenza degli altri, però, egli non c’è: è un’entità astratta, la forza di volontà perduta delle singole persone. Non si separa mai dalla sua armatura, candida e impeccabile, l’unico oggetto a rendere la sua presenza tangibile.
Argo: Quale allegoria può rendere più chiaramente il simbolo dell’uomo robotizzato dei giorni nostri? Agilulfo è l’unico, tra i paladini, ad adempiere con estremo rigore agli ordini dell’imperatore. La sua esistenza è volta solamente a svolgere gli incarichi che gli vengono assegnati quasi incoscientemente, come se non avesse altri interessi e non sapesse controllarsi automaticamente. A rafforzare questa tesi, si aggiunge il fatto che il cavaliere non senta il bisogno né di dormire – trascorre le notti camminando per l’accampamento, per controllare che tutto sia in regola – né di mangiare – a tavola si fa servire il cibo solo per sminuzzarlo con assoluta precisione e disporlo in forme geometriche –, funzioni umane fondamentali rimpiazzate dal dovere di eseguire gli ordini. Così, come Agilulfo ha bisogno sempre di tenersi occupato per restare cosciente della sua esistenza, l’uomo contemporaneo, consumato dai vincoli sociali e dalle influenze della massa, ha perso la sua individualità.
Giulia: Bravissimo. Il personaggio che si contrappone ad Agilulfo è Gurdulù, un contadino vagabondo incosciente del suo posto nel mondo. Gurdulù non riconosce la sua identità, si immedesima negli esseri o negli oggetti che vede e crede di essere uno di loro. Agilulfo sa di esserci ma non esiste, Gurdulù non sa di esserci ma esiste. Il contadino non ha nemmeno un nome: gliene viene assegnato uno diverso in base ai luoghi in cui si reca. Questa è un’altra critica alle condizioni della società contemporanea: l’uomo si lascia influenzare talmente tanto dagli elementi esterni da perdere la sua identità.
Argo: Carlomagno assegna Gurdulù come scudiero ad Agilulfo e questi coglie l’ordine con la massima serietà, non accorgendosi della presa in giro, a prova della sua fedeltà cieca. «– O bella! Questo suddito qui che c’è ma non sa d’esserci e quel mio paladino là che sa d’esserci e invece non c’è. Fanno un bel paio, ve lo dico io!» così li deride Carlomagno.
Giulia: Anche i personaggi secondari rappresentano determinate condizioni dell’uomo moderno. Calvino le esemplifica in questo modo: «Chi non sa ancora se c’è o non c’è, è il giovane; quindi un giovane doveva essere il vero protagonista di questa storia; Rambaldo sarà la morale della pratica, dell’esperienza, della storia […] Torrismondo […] la morale dell’assoluto, per cui la verifica dell’esserci deve derivare da qualcos’altro che da se stesso, da quel che c’era prima di lui, il tutto da cui s’è staccato. […] Bradamante, l’amore come contrasto, come guerra […] Sofronia, l’amore come pace, nostalgia del sonno prenatale…». L’autore continua spiegando la contrapposizione tra i Cavalieri del Gral e il popolo dei Curvali: i primi rappresentano «l’esistere come esperienza mistica, d’annullamento nel tutto», mentre i secondi «l’esistere come esperienza storica, presa di coscienza d’un popolo fin lì tenuto fuori dalla storia» (Nota 1960)
Argo: Hai citato Bradamante, un personaggio che compare nell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo e nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, due poemi cavallereschi. Puoi spiegarci il legame tra l’opera di Ariosto e quella di Calvino?
Giulia: Hai notato un punto fondamentale. Il cavaliere inesistente si ispira all’Orlando furioso di Ariosto, un poema cavalleresco pubblicato per la prima volta nel 1516. Oltre che all’ambientazione storica e geografica – siamo in Francia, durante la guerra tra Saraceni e Cristiani condotta da Carlomagno – e ad alcuni personaggi, come Bradamante, o Orlando e Astolfo, che vengono citati, Calvino riprende in chiave comica uno dei temi principali trattati da Ariosto. Primo tra questi è la ricerca della felicità: il cavaliere Rambaldo è innamorato di Bradamante e ne cerca l’amore, reputandolo l’oggetto della sua motivazione e felicità.
Argo: Ricordiamo inoltre che Ariosto era uno degli autori preferiti di Calvino, modello per le sue opere. Nel 1970 Einaudi pubblica l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino, opera in cui l’autore parafrasa, commenta e racconta alcuni passi scelti del poema cavalleresco. L’opera che risente maggiormente dell’influenza del poeta cinquecentesco è sicuramente la Trilogia degli antenati, sebbene si possa trovare qualche tratto ariostesco in tutta la letteratura calviniana.
Argo: Wow! Questa trilogia è davvero appassionante! Dovresti leggere anche altre opere dello stesso autore.
Giulia: Certo! E avremo modo di parlarne. Per ora vi salutiamo, amici! Ciao!
Argo: Alla prossima!
Giulia Cassia & Argo