E siamo già arrivati al termine anche di queste Olimpiadi. Un’edizione particolare, lo abbiamo detto da subito, già per il fatto che è stato necessario rimandarle di un anno a causa della pandemia mondiale.
Ma non è tutto: sono state le Olimpiadi del cambio generazionale che ha permesso un riassetto delle egemonie sportive. Paesi di cui non si sente mai parlare hanno vinto medaglie, nazioni che detenevano record e medaglie ormai da svariate edizioni si sono viste spodestare dal podio da atleti impensabili.
Per molte discipline, le aspettative pre Olimpiadi sono state davvero disilluse.
E, onestamente, credo che tutto questo rispecchi anche un po’ quello che stiamo vivendo. Ma questo è un altro discorso.
Le emozioni per fortuna sono state quelle di sempre.
Da che sono bambina, ricordo che aspettavo le olimpiadi con ansia trepidante! Ho sempre amato guardare gli atleti cimentarsi nei loro sport, soprattutto in quelli che normalmente hanno poca visibilità dai Media.
Ho sempre sentito il cuore riempirsi di gioia quando uno sportivo riusciva a raggiungere la cima del podio, a maggior ragione se rappresentava l’Italia.
Quest’anno è la prima edizione che ho condiviso con mia figlia di 6 anni, si perdeva a guardare questi atleti combattere per realizzare il loro sogno. Le sue discipline preferite rimangono tutte quelle che si praticano in piscina, ma non disdegna gli altri sport, anzi!
E ogni volta che un’atleta guadagnava una medaglia lei arriva con passo felpato verso di me porgendomi un fazzoletto che “Tanto mamma so che adesso piangi!”
Tralasciando il lato comico della situazione, io mi sono sempre chiesta come mai in me si scatena tanta emozione che spesso mi ritrovo a piangere davanti allo schermo. E lei si poneva la stessa domanda, effettivamente.
E allora, con calma, aprendo il cuore, ho tentato di spiegarle (e di spiegare anche a me!) il motivo della mia lacrima facile.
Ha fatto leva una delle mie doti, l’empatia: mi sono proprio identificata in questi atleti, non vedendoli solo come “macchine sportive”, ma come degli alchimisti! Persone che hanno saputo non solo trasformare un loro talento in professione, ma anche trasformarsi intimamente per affrontare qualsiasi situazione con una resilienza che tutti dovremmo imparare. Mi sono immedesimata in Tamberi che ha toccato il fondo rompendosi il legamento deltoideo, nella Ferrari che dopo svariati infortuni e il Covid pre-olimpiadi, ha saputo a 31 anni raggiungere il podio, in Jacobs che ha dovuto affrontare grossi nodi personali prima di realizzarsi sportivamente, oppure l’atleta cinese di soli 14 anni Quan Hongchan vincitrice dell’oro dalla piattaforma dei 10 metri che ha iniziato a praticare questa disciplina solo per pagare le cure alla madre malata. Potrei andare avanti ancora, perché ogni atleta ha una storia degna di essere raccontata.
Prima di essere atleti professionisti però, sono persone come me. E se ce l’hanno fatta loro a realizzare i loro sogni, perché non posso farcela anche io?
Ed ecco che vedere che tutti gli sforzi compiuti sono valsi a qualcosa, e per qualcosa non intendo la medaglia d’oro, ma anche la semplice partecipazione alle olimpiadi, mi fa sentire inarrestabile.
E soprattutto in questo periodo storico, tutti dovremmo apprendere questi insegnamenti che solo lo sport vissuto e praticato con il cuore è in grado di donare.
Abbiamo tutti la capacità di far fronte alle difficoltà, quello che ci differenzia è proprio la nostra forza interiore!
Dobbiamo diventare tutti degli alchimisti, per trasformare la nostra vita in ciò che vogliamo, proprio come questi atleti!
Michelle