Questa è la storia di un micio fortunato nella sua grande sfortuna. È stata scritta qualche anno fa, ma potrebbe essere stata scritta ieri. Perché succede ogni giorno, e accade poiché manca ancora la cultura della sterilizzazione, che non significa privare un gatto o una gatta della sua identità, significa semplicemente evitare che storie come quella di Bowie, Pen, Omero, Lavinia, Snowbell, Leone, Giacinto e millemila altri mici si ripetano. Significa dare la possibilità alle meravigliose volontarie di aiutare tutti i randagi che possono. Nel 2018 la Lega italiana per la difesa degli animali e dell’ambiente stimava in 2milioni e 400mila il numero dei gatti randagi in Italia, stima confermata al rialzo nel 2019 dalla Lav. cricol
Ho fame. Ho proprio fame. Fosse niente, la fame. Ho un dolore all’occhio, l’orecchio è tappato… diciamocela tutta: non ci vedo proprio, dall’occhio. Sento odore di sangue. Fa male. Ma, soprattutto, HO FAME.
Un cassonetto dei rifiuti. Quando sono nato faceva caldo, la mamma mi leccava poi… non so. Mi hanno lasciato solo. I miei fratelli saranno tutti morti oppure chissà… certo l’odore meraviglioso della mia mamma ho capito che non lo sentirò più. Piango, piano… poi sempre più forte perché sono piccolo e la mia unica salvezza è tirare fuori tutta la voce che ho, sperando di spaventare chi mi sta intorno. Sperando, appunto.
Che buon odore… È sera, vedo male ma l’olfatto di un gatto è un dono naturale. È una strana scatola questa dove c’è il cibo… fresco, niente immondizia. Ma ci penso ancora?! Però ci sono questi esseri a due zampe che chiamano, con versi come fossi un povero imbecille, invece io sono un guerriero. Sono vivo perché sono un guerriero. Anche se vorrei solamente essere quello che sono: un piccolo batuffolo di pelo con un bisogno infinito di amore.
Alla fine, il gattino spelacchiato ed emaciato entra nella “gabbia”, perché troppo affamato per resistere. E, probabilmente, anche molto stanco. Ad appena 2 mesi e mezzo.
Buono questo tonno! Bbbuonoo! Non mi sembra vero, cibo fresco! Ma…ma…UNO SCATTO. Sono in gabbia! Sono in gabbia???? Mi arrampico sulla griglia, mi appendo con le zampe, urlo e strepito: voglio uscireeee! Prigioniero! Sono prigioniero di questi esseri a due zampe che sono in tutto e per tutto uguali a quelli che mi hanno tirato calci, mandato via, cercato di prendere per farmi del male. Oddio è la fine. Mi hanno catturato ed è la fine. Ma non smetto di lottare. Una mano si avvicina. Io ringhio, soffio, graffio. Non mi avrete!
Inizialmente si pensava fosse femmina, e venne chiamato Debra. Riuscire a capire il sesso di una palla di pelo indemoniata era impresa ardua, come impresa ardua fu pulirlo, spulciarlo, sverminarlo. Ci riuscì solo un immenso gesto d’amore.
Sembro un damerino. Non è così male, alla fine. Non mi devo nemmeno più grattare perché mi è passato il prurito. Ho una gabbietta tutta mia, con la moquette e una cuccia e copertine calde e giochi. Cibo sempre a disposizione e acqua fresca. Ci sono altri gatti, qui. Mi annusano incuriositi ma io soffio a tutti. Ringhio. E ringhio a questi esseri a due zampe che ho scoperto si chiamano umani. Una di loro si chiama Daniela. È dolcissima e si dà un gran daffare, per noi. Ma io non mi fido. Di nessuno.
Mi hanno chiamato Omero come il Poeta, perché – ormai – mi è rimasto solo un occhio. L’altro se n’è andato. Li sento parlare. Dicono che sarà difficile trovare qualcuno che mi adotti giacché, oltre a essere guercio, ho proprio un brutto carattere. Sono aggressivo. Gli umani, invece, vogliono un gattino tutto a modino che fa le moine e sale in braccio e si struscia e miao miao ma che carino che sei vieni qui dalla mamma! Mamma?! Io ne avevo una, non so più dov’è… so solo che mi manca. Ma aveva quattro zampe.
Sento che parlano. Cosa sarà mai “Facebook”? Hanno messo lì la mia foto. C’è scritto Omero ha sofferto tanto, non lo vuole nessuno perché è diverso, però lui cerca casa! Io cerco casa?! Io voglio solo la mia mamma… Eppure… È un martedì sera qualunque, a casa di Anna e Cristina. Madre e figlia sono vicine. Anna è ammalata e Cristina è accanto a lei. Ed ecco che, scorrendo le notizie su questo Facebook, spunta la mia foto . È Amore. Immediato. Ma c’è uno scoglio. Ci sono già due gatti e una cagnolina, l’appartamento non è grande ma soprattutto Anna non ne vuole proprio sapere. Le sembra di tradire le altre “sorelle pelose”. Cristina di solito passa oltre, con tristezza, perché vorrebbe aiutarci tutti ma questa volta…il mio musetto che la guarda con un occhio solo le cattura il cuore, l’anima. Mostra la foto ad Anna…e capisce che, quando qualcosa è scritto, nel Libro della Vita, accadono i Miracoli. Così cerca il numero di Daniela, la chiama. Scrive subito una mail all’associazione perché il Destino ci ha messo la zampa: un volo ritardato, la possibilità di essere con lei, a casa ma cos’è, una casa?! già giovedì. È necessario un controllo di preaffido. La mattina dopo Elisabetta è già lì. Anche con lei, è “amore” a prima vista. Le due donne si guardano negli occhi e si comprendono. Subito. Il Libro della Vita ha scritto la mia pagina. Contro ogni previsione, perché io non sarei adottabile, se non da una famiglia “diversa”, arriva il sì di Elisabetta.
È giovedì mattina. Soffio ringhio e graffio. E ti credo! Mi vogliono prendere e mettere dentro una gabbietta piccola, la chiamano “trasportino”. Ci mettono tutto il cellophane intorno ma mi lasciano i buchi per respirare. Io sono agitato. È piccolo questo posto! Dove mi portate adesso??? Il viaggio è lungo, prima in macchina poi i documenti, poi l’assicurazione poi un posto strano dove sento altri miagolare e un rumore, sordo, in sottofondo. Ehi! Ma lo sapete che ai gatti non piace volare?
Ero a Reggio Calabria, mi ritrovo, impaurito, dentro un deposito all’aeroporto di Roma. C’è Elisabetta, fuori. Incazzata nera come solo una zia che vuole il nostro bene può fare. Si sono persi i documenti. E adesso? Fa freddo, qui! Non so quanto ho aspettato. Non so quanto ho dormito, pianto, poi mi sono fatto la pipì addosso…che schifo! E se mi scappa la popò? Dov’è il mio bagno? Sono un gatto di strada ma sono pulito, io! Mi prendono, Elisabetta tenta di guardarmi ma io sono indiavolato. Non mi faccio toccare, non mi può parlare. Ringhio. Ho imparato dai cani. Quelli che mi correvano dietro, per strada. Quelli che gente stupida lanciava alla mia rincorsa. Ma io sono svelto. Anzi ero svelto, perché adesso sono in prigione. È buio. C’è un cartello con scritto “Prato”. C’è una macchina. Esce lei, la mia mamma. Ma lei non è la mia mamma! Soffio, ringhio, tiro fuori gli artigli. Un altro viaggio. Mi tirano giù e mi mettono dentro un affare che sale da solo…si chiama ascensore. Un’altra porta. Questa è la mia nuova casa? Beh, almeno fa caldo. Due gatte ciccione mi girano intorno. Una cagnolina piccola e bassa salta come un canguro. Io, chiuso nella mia gabbietta, soffio. E ringhio. Mi preparano una cuccia. Lasciano una lucina accesa. C’è un trapuntino morbido. Quasi quasi lo provo. Entra questa donna che mi parla dolcemente ma io le soffio. Vedo i piedi, i suoi piedi. Ecco mi rannicchio adesso arriva il calcio. E io non ho vie di fuga. Invece lei si siede per terra, lontana da me. Ha con sé una pappa. Ho fame. Soffio. Lei mi mette il cibo e si allontana. Mentre mangio mi parla, canta. Canta??? Questa è matta ma la sua voce dolce mi calma. Mi stendo stremato. Lei si avvicina con una salvietta. Faccio un balzo indietro e scappo. Lei, piano piano, ritenta. Ma tu sei fuori, donna! Se ne va, triste. Triste perché puzzo di pipì e vorrebbe aiutarmi. Ma io non lo so. Durante la notte viene a vedermi spesso, mi parla dolcemente…ma questa donna non dorme maiiii??
Il giorno dopo torna con la pappa. E la salvietta. Passa ore a guardarmi, a parlarmi, ma non mi tocca. Nemmeno Anna mi tocca. Sento dire Bisogna rispettare i suoi tempi. Venerdì sera questa mamma canterina torna di nuovo. Non molla. Comincio a stimarla. È tosta come me. Allunga piano una mano. Soffio, ma soffio piano…guardo quella mano. Soffio. Tento di ringhiare ma sono piccolo, voglio le coccole. E se mi picchia? Se mi tradisce? E se…senti, ma se non ringhio la smetti di cantare? Ecco, la mano si avvicina. Sono immobile, rannicchiato, impotente, spaventato, pronto a incassare il colpo. Invece la mano si posa, palmo aperto, vicina a me. Immobile. Piano piano mi sposto. È calda, profuma di buono. Lentamente abbasso la testa, la mano è sempre immobile. Allora il mio cuore dice che posso, io posso! Finalmente posso lasciarmi andare…e appoggio la testa sulla sua mano morbida, titubante. Poi la guardo. Ha le lacrime agli occhi. Mi dice solo grazie. Il cuore di una mamma non ha zampe, o piedi. È solo un cuore. Mi dice benvenuto a casa, piccolo. Un sospiro, mi abbandono. Dalla gola mi sale un suono strano, una specie di ron ron. È la mia canzone per lei. Si chiama felicità.
Ciao, io sono Omero, in arte Bowie. Ormai sono otto anni che vivo con la mia famiglia. Non è stato facile, ogni tanto ho ancora paura, soprattutto delle scarpe e degli estranei. Ma sono un gatto nano, amato e rispettato. E sono felice. Gioco con Pen. Insieme abbiamo aperto il Pen&Bowie Café per raccontarvi le nostre storie e quelle dei nostri amici. Finalmente mi lascio accarezzare e il mattino salgo sul letto di mamma a darle le testatine. Dite che ci ho messo un po’ troppo? Ricordate quella cosa che avete letto all’inizio? Bisogna dargli tempo. Adesso so di essere protetto. Finalmente al sicuro.
Sono un Principe ma mi chiamano il Pirata perché ho un occhio solo. E questa, è la mia storia.
Omero@inarteBowie, il Pirata
Dedicato a Goccia e Rugiada, le sorellone che tanto hanno aiutato Bowie dopo una prima naturale diffidenza, e alla splendida anima di Daniela Gironda del Gattonero Onlus. Senza di lei, la vita di migliaia di mici non sarebbe mai esistita.