In un tranquillo paese della Pianura Padana, dedito principalmente all’agricoltura, dimora un’anziana ricca signora, di nobile discendenza, solitaria e amante degli animali, soprattutto dei gatti. In casa sua, una villa con un grande giardino, dimorano ben trenta gatti, serviti, riveriti, coccolati, castrati e sempre sazi. Non può ospitarne di più; ma la sua bontà è tale che, non potendo ospitarne altri, prepara sempre un buon rancio per i gatti randagi del quartiere: un abbondante piatto di croccantini, accompagnato da un mega-piatto di bocconcini, una ciotola d’acqua sempre piena.

La sua bontà è molto apprezzata nel paese, al punto che le hanno dedicato una pagina nella rivista parrocchiale. Anche il parroco, nell’omelia, spende due parole a suo favore: “E sappiate, o Fedeli, che chi non ama gli animali, non ama neppure i cristiani. Geraldina è un esempio di accoglienza che dovremmo tutti seguire e imitare, lei é una cristiana modello…”.

Recita un noto proverbio: “Fa quel che il prete dice, non far quel che il prete fa”. Ma in questo caso vige l’eccezione: in quasi tutto il paese, quasi nessuno possiede gatti: preferiscono il cane. Il cane fa la guardia alla proprietà, non valica il confine segnato dal cancello, si affeziona al padrone più che alla casa e, soprattutto, è fedele. Il parroco del paese non è da meno: possiede anche lui il suo Fido e non vuol saperne di gatti: “troppo indipendenti” – pensa – “quelli neri poi, si dice, incarnino il diavolo”. Una religione alterata da credenze popolari di lunga data.

L’opera animalista di Geraldina è comunque ben apprezzata da tutti i suoi concittadini. Per strada tutti la salutano con un sorriso ogni qualvolta la incontrano, tutti la conoscono e la stimano. Qualcuno, di nascosto, ogni tanto le regala una cucciolata di gattini, che lei si adopera prontamente ad adottare, crescere e curare come si conviene.

Chi conosce i gatti sa che prolificano laddove c’è terreno fertile e cibo assicurato; un esempio noto è dato dai gatti della Piramide di Caio Cestio, a Roma, una colonia storica che ospita dai cinquanta ai cento (e forse più) gatti, grazie a immancabili  donazioni e contributi di volontari, e sono anche motivo di attrazione turistica.

Nel tranquillo paese di Ossezia Padana, grazie a Geraldina, tanti gatti randagi dei dintorni fanno tappa regolare a Villa Geraldina, ove ci sarebbe cibo e acqua per tutti senza dover litigare. Si fonda così una colonia di gatti in numero sempre crescente. Si accoppiano e proliferano a dismisura. I maschi litigano fra loro per il territorio, ferendosi anche gravemente; i piccoli spesso finiscono sotto una macchina, e, dulcis in fundo, si muovono liberamente in tutte le strade, in campagna e nei giardini degli abitanti. Allorché il numero di gatti diventa troppo elevato per la sopportazione degli abitanti, cominciano le prime beghe. Taluni gatti vengono aggrediti dai cani guardiani, oppure questi ultimi vengono da loro graffiati. Altri con i loro escrementi danneggiano le piantagioni di fiori, pomodori, basilico, girasoli e quant’altro rechi motivo di abbellimento dei giardini o di coltivazione di ortaggi in piccoli appezzamenti di terra. Si sa: gli escrementi liquidi e solidi dei gatti non sono fertilizzanti, tutt’altro.

Vengono così cacciati da tutti, in segreto o alla luce del sole. Alcuni proprietari, esasperati, li prendono a colpi di scopa per cacciarli dalle proprietà. Altri sguinzagliano grossi cani da caccia per farli ammazzare. Ma la colonia non si estingue, anzi: continua a crescere a ritmo più blando, ma cresce inesorabilmente: i gatti sono troppo furbi, agili e si muovono soprattutto di notte. Preferiscono difendersi, sfuggire agli attentati o addirittura soccombere, piuttosto che rinunciare alla cuccagna dei succosi banchetti di zia Geraldina.

Gli abitanti sono al limite. Alcuni di loro istituiscono un comitato segreto per decidere come liberarsi dall’infestazione dei gatti e maturano una decisione a base di trappole e veleno.

Dal giorno successivo a tale decisione, con il passaparola, costoro informano tutti i padroni di cani che, un certo giorno da una certa ora del mattino, avrebbero dovuto mettere alla catena i propri fidi animali, per non farli cadere in trappole, né per far loro assumere veleni.

Il piano ha luogo e funziona: la strage di gatti randagi é in atto; l’80 per cento della colonia felina viene decimata. Geraldina non vede più la moltitudine di gatti che afferisce ai suoi manicaretti, anzi: alcuni gatti sofferenti, bava alla bocca, giungono moribondi a chiederle aiuto. Geraldina non perde un attimo: prende una dozzina di trasportini e li carica nella sua monovolume, recandosi tosto dal veterinario in città.

  • Niente da fare, Geraldina, questi sono spacciati. Si salva solo il piccolo bianco perché ha ingerito una quantità minima di veleno e il suo organismo lo sta smaltendo bene.
  • Veleno? Vuole dire che è stato avvelenato? Ma non è possibile! Io do loro da mangiare cibo sano e da bere la stessa acqua che bevo io!
  • Avvelenamento da rodenticidi, in altre parole veleno per topi. Devono aver ingerito del veleno mescolato con alimenti. Credo si tratti di una strage pianificata, mi sono capitati spesso, purtroppo, casi simili!

Geraldina sbigottita ancorché sorpresa ringrazia l’amico veterinario, paga la prestazione e torna a casa coccolando l’unico sopravvissuto che, da adesso, vivrà con lei. Riflette sull’accaduto, si pone delle domande e, con molta amarezza in cuore, delle possibili risposte. Si reca dal parroco e gli racconta l’accaduto, ma il parroco, per niente stupito, ha una reazione inaspettata:

  • Io capisco il tuo dolore Geraldina, ma non posso far nulla. Temevo stessero tramando qualcosa, ma non credevo arrivassero fino a questo punto…
  • Cosaaaaa? Tu sapevi? E perché non mi hai detto niente? Avrei potuto… avrei fatto in modo che… avrei… avrei… non so! Sono sempre stati tutti così gentili con me, credevo mi ammirassero per la mia opera… Dicono tutti di amare gli animali… Che sono creature di Dio… io… io… non…
  • Non potevi e non puoi far nulla Geraldina, tu sei una persona mite, altruista, incapace di vendetta. La tua unica colpa paradossalmente è stata quella di aver annoverato tanti randagi del quartiere e “immigrati” alla tua mensa, senza pensare che il tuo nobile gesto di accoglienza avrebbe sconvolto gli equilibri di questo piccolo paese contadino. Ognuno è buono finché nessuno va a minare il proprio territorio, a intaccare le proprie sostanze. L’uomo spesso è buonista e ipocrita: ti fa una faccia davanti e ti pugnala dietro, è la sua natura. Avvisarti non sarebbe stato coerente con il loro ostentato buonismo di facciata: avrebbe significato ammettere la loro doppia faccia da protezionisti e allo stesso tempo cacciatori. Sono amanti di animali sì, ma di quelli che proteggono la propria magione. Pronti invece a uccidere quelli che recano danno e fastidio, in questo caso i gatti randagi. Tu non uccidi zanzare e scarafaggi o topi che violano il tuo spazio abitativo? Sono creature di Dio anche loro, ma incompatibili con il nostro benessere e con la salute nostra e dei nostri figli.
  • Ma, Padre Antonio, i gatti non sono come gli scarafaggi! Non fanno male a nessuno, sono dolci, pelosi, pucciosi, fanno le fusa, sanno dimostrare affetto come i cani, e come i cani si affezionano anche al padrone! Non fanno la guardia, ma cacciano pure topi e insetti! Che fastidio potevano mai dar loro?
  • Non è così, Geraldina. Stai parlando dei tuoi gatti, che vivono con te, che sono curati e allevati da te e da te educati a depositare i loro escrementi negli spazi da te riservati. Poi li hai fatti castrare, affinché non si accoppino fra loro e non vengano aggrediti dagli altri gatti. Accogliendo i randagi nel tuo giardino, nutrendoli e lasciando loro la libertà (perché non puoi certo accoglierli tutti in casa tua), hai favorito un’innaturale proliferazione felina ai danni di molte famiglie del paese che, al momento critico, hanno dovuto prendere provvedimenti. Sarebbe stato inutile da parte loro cercare di spiegarti che il tuo far del bene ai randagi stranieri fa del male agli indigeni e di conseguenza agli stessi stranieri. Non avresti capito, nemmeno se te lo avessi spiegato io, e non sono ancora sicuro che tu abbia capito!
  • Ho capito Don Antonio, purtroppo ho capito. L’Umanità è cattiva ed è inutile cercare di cambiarla, anche quando crede di essere buona. Questi buonisti da palcoscenico condannano chi tratta male gli animali, incoraggiano l’accoglienza di queste creature indifese, ma, dietro le quinte, complottano e rifiutano il loro ingresso in massa per non alterare il proprio benessere, le proprie abitudini. Non posso imporre il mio amore per i gatti a chi non li ama, a chi li teme e a chi li rifiuta. D’ora in poi non nutrirò più randagi, visto che sono più i danni che i benefici che involontariamente posso recare alla comunità e ai gatti stessi, e non mi aspetto sincerità dai miei (ipocriti) concittadini. Il nostro piccolo paese è un piccolo spaccato di mondo: i bisognosi non possono contare sulla compassione dei propri simili. “Ama il prossimo tuo come te stesso” è un utopia, “avviene finché conviene”, vale per gli animali come per gli uomini: ce l’ha insegnato Caino.
  • È così Geraldina, e in tutto questo devi anche ringraziare che hanno ucciso i gatti e non te. Abele fu meno fortunato di te, e tu potrai continuare a far del bene agli animali, nel tuo piccolo, ma senza sconfinare.
  • Ma tu, Padre Antonio, non puoi dire qualcosa in merito nell’omelia?
  • Non più di quel che ho detto, Geraldina. Io devo salvare la nostra chiesa, non posso perdere fedeli e, ti confesso, i gatti non mi sono mai piaciuti. Io predico ciò che la gente vuol sentire, posso imporre il verbo divino, ma non il buon senso. Guai a noi se predicassi la verità! L’umanità preferisce salvare Caino, piuttosto che far ragionare Abele, poi lava la coscienza col segno della croce. Ognuno si sente nel giusto e agisce di conseguenza.
  • Ma costoro, padre Antonio, vanno in chiesa, si confessano e poi fanno la comunione! Uccidere animali innocenti per me equivale a uccidere esseri umani. L’hai detto anche tu nella scorsa omelia: “Chi non ama gli animali non ama neanche i cristiani”. È sempre un peccato mortale che tu non puoi assolvere!
  • È vero Geraldina. Ma la gente tace quel peccato in confessione, poiché non lo considera tale, anzi: per loro è un’azione dovuta per il bene del gregge, come fu un’azione dovuta la distruzione di Gerico perché adorava il dio Baal, per ristabilire l’equilibrio e l’armonia del popolo ebraico, secondo le scritture bibliche. Nella nostra comunità vige un equilibrio dettato da leggi mai scritte, leggi che accompagnano ogni comunità. La Virtù è ben altro.

Vincent

Scrittore, Musicista, Informatico