Se non hai letto la prima parte, torna qui, altrimenti, buon continuo!
L’indomani, svegliatosi di colpo si diresse verso un arrangiato scrittoio, prese una penna, un po’ di carta e cominciò a scrivere e pensava:
“Devo legiferare, ecco, scriverò una legge per promuovere questa iniziativa, il sovrano sarà contento.”
E cominciò a scrivere di getto, fin nei dettagli, il suo piano di sviluppo di un possibile artigianato isolano. Non si accorgeva che la collana danzava intorno al suo collo e diventava sempre più leggera, avvertiva comunque una sensazione di benessere.
Ma un altro pensiero gli balenò in mente: “Farò colpo sulla figlia del capo, quella più giovane, è ancora vergine, in cerca di marito, io sono sempre un uomo, anziano, accidenti, ma sempre un uomo… lei è una ragazzina, ma è molto bella e … perché no?”.
Mentre perfezionava questi progetti nella sua mente, la collana cominciò ad appesantirsi, non danzava e non lo accarezzava più, cominciava a pesargli sempre di più.
“Che sta succedendo?” – impaurito, pensò – “Questa collana che fino a poco fa sembrava accarezzarmi adesso mi pesa e mi fa un pò male. Beh, meglio toglierla, per ora, il sovrano non c’è, occhio non vede cuore non duole, poi la rimetterò”.
Ma per quanto cercasse di sganciarla o di sfilarla, la collana si avvinghiava sempre di più intorno al suo collo, quasi fosse viva e non volesse mollare la preda. Momento di panico: “Allora è vero. Sono stato raggirato: è una trappola! Questa è magia, ma com’è possibile? La magia non esiste… ma questa collana sembra viva!”
La collana smise di stringerlo, non appena cessò di forzarla, ma era più pesante. Riprese il suo piano di sviluppo fugando al momento i pensieri erotici, e dimenticando l’accaduto.
“Occorrerà scavare una galleria per estrarre il minerale. Farò usare le lance ornamentali di questo popolo, farò lavorare il piombo per fabbricare dei picconi… ma dove lo trovo il piombo? A no, il rame, qui ce n’è in abbondanza” – continuava, armato di ritrovate buone intenzioni.
Continuò a scrivere per ore ed ore. La collana riprendeva ad allentarsi, ad alleggerirsi, ma molto lentamente. Così cominciò a confortare il nostro protagonista che continuava a scrivere con entusiasmo. Ma la sua natura di affarista con pochi scrupoli non poteva essersi offuscata del tutto e all’improvviso. Un pensiero lontano, quasi un diavoletto tentatore, fece capolino dai meandri più remoti del suo cervello:
“E poi, tramite i miei figli, potrei trattare gli affari con questi gonzi e far loro commercializzare queste pietre, far loro avere l’esclusiva della fornitura… diventerebbero ricchissimi e…”
E di nuovo la collana riprese ad appesantirsi velocemente e a stringersi, stavolta più energicamente di prima.
“Aiutooo … soff… ouch! … aiut…” – cercava di invocare aiuto, mentre soffocava sempre di più.
La porta si aprì, entrò il sovrano che, anziché aiutarlo gli parlò apertamente:
“Così sei come altri, straniero, sempre pronto a pensare a te stesso, al tuo bene. Noi ti abbiamo salvato, ti abbiamo ascoltato, dato fiducia, sembravi diverso, unico, ma essere piccolo uomo, un egoista. Si dice così nella tua lingua?” – disse con un inglese migliorato dall’uso degli ultimi giorni.
Il nostro esiliato riuscì a spostare la collana sotto il pomo d’Adamo, abbastanza per poter parlare qualche minuto.
“È vero, grande capo, ma chi sei tu per giudicarmi, farmi indossare una collana-trabocchetto senza avvisarmi che è magica? Chi sei tu per decidere di farmi uccidere da questo anello di tortura? Quanti ne hai uccisi? E tu ti ritieni superiore a me? Sei un altruista? Se sei così ‘puro’, perché non hai mai indossato tu questa collana, dato che sei la guida del tuo popolo?”
“Io non indossare collana perché non essere degno del Grande Spirito della Verità, straniero. Gli auspici dicono che un giorno il nostro popolo vivrà felice per opera di colui che cavalcherà l’uccello di fuoco e saprà indossare il sacro ‘Cerchio della Verità’. Ma finora quelli che l’hanno indossato avere fallito. Il cerchio si stringe molto quando chi lo indossa mente o nasconde intenzioni egoistiche o malefiche. Si allenta un poco quando invece rispettare buone intenzioni per cui essere stato insignito quale Consigliere Supremo, che rispetti promesse, che operi per il bene del nostro popolo. Tu hai accettato incarico con arroganza, senza umiltà, senza… perplessità. Io avvertito te del significato e dell’importanza di collana, ma tu sordo e cieco nella tua presunzione. Adesso noi non potere aiutarti, solo tu aiutare te stesso”.
Oramai la collana stava stringendo troppo forte perché il nostro protagonista riuscisse ancora a proferir parola e non riusciva nemmeno più a pensare lucidamente, stava lottando per la vita.
All’improvviso si ode un rombo, proveniente dal cielo, prima avvicinarsi poi allontanarsi, poi avvicinarsi di nuovo.
“È mio … f… f… figlio.” – riconobbe il rombo del suo jet, ma non riuscì ad aggiungere altro dopo lo sforzo estremo, e gli passò per la mente di volerlo vedere prima di morire. La collana cominciò lentamente ad allentarsi, quasi a volergli assecondare un ultimo desiderio, e il nostro protagonista riprese, seppur affannosamente, a respirare.
“È mio figlio, è venuto per avere mie notizie, vi prego, lasciatelo atterrare, devo tranquillizzarlo, salutarlo, se ne andrà via subito, non porterà alcun fastidio”
“E sia!” – ribatté il sovrano, e diede ordine, nella sua lingua, di accogliere l’altro straniero e di portarlo davanti al padre, non prima di farsi promettere che non avrebbe tentato di andar via.
Dopo l’accoglienza gentile a cura del sovrano e le spiegazioni di rito, il ragazzo, stupefatto, si ritrovò davanti al padre, un padre sofferente, fortemente provato.
“Papà! stai bene? Per fortuna il pilota mi ha raccontato tutto, dopo le mie insistenze! Mi sembrava d’impazzire, ti danno tutti per morto, stanno divorando i tuoi beni e…” – fu interrotto dal padre:
“E lascia che lo credano, che divorino e che si divorino, figlio mio, tu sei l’unico che si sia preoccupato per me in quel mondo dal quale sono scappato” – disse, soffermandosi un attimo e, rivolgendosi al sovrano –
“Potete lasciarci soli per mezz’ora? Non di più, vi prego, forse è l’ultima volta che vedo mio figlio!“
Il sovrano annuì, fece un cenno ai suoi e si allontanò silenziosamente. Il nostro protagonista dunque si trovò faccia a faccia col figlio minore e gli sintetizzò tutta la storia, mentre la collana glielo consentiva. Il figlio era incredulo, ma i segni sul collo del padre, il movimento della collana che lentamente, ma visibilmente, tornava a stringersi, lo convinsero del tutto.
“Vedi papà” – gli si rivolse il figlio – “tu hai sempre voluto comprare la felicità degli altri e comandare su tutti, e decidere per tutti, credendo forse di essere nel giusto. Ma non hai mai chiesto agli altri cosa volessero veramente da te, non l’hai chiesto alla mamma, non l’hai chiesto ai tuoi figli. Ci hai sempre riempito di regali e vizi, credendo di assolvere a un dovere etico che vale solo per te. Adesso hai un’opportunità: essere te stesso, ma non il solito, ma quello che dentro di te sai che è giusto che tu sia, soprattutto adesso!”
Il padre stupito si trovò per la prima volta senza parole davanti al più piccolo dei suoi figli, appena maggiorenne, il prediletto, il ribelle, ma il più affettuoso e leale, e, soprattutto, sincero.
“Figlio mio, saggio e virtuoso, so di aver sbagliato tutta la mia vita, le mie ricchezze mi hanno procurato nemici e falsi amici, e adesso è troppo tardi per recuperare, perfino una semplice collana di pietra mi incatena il collo, come mai nessuno è riuscito, e mi sta uccidendo e non posso sottrarmi” – non si era accorto fino a quel momento che il ragazzo stava maneggiando un telefonino, uno smartphone, ultima generazione, con antenna satellitare – “Ma come! Ti parlo e tu ti metti a messaggiare? Ti pare il momento?” – indispettito s’interruppe, portandosi le mani davanti agli occhi.
“No papà, stavo cercando ed ho trovato informazioni su questa terra che viene chiamata ‘Isola della Verità’, dove il ‘Cerchio della Verità’ soffoca i falsi e i bugiardi. Aiuta ed accarezza invece le persone di animo gentile ed altruista e le incoraggia a proseguire nella retta via, ma è una leggenda, una favola che si racconta ai bambini; ma, viste le circostanze…”
“Anch’io non ci potevo credere, figlio mio” – ribatté il padre – “ma adesso questa favola mi sta strangolando, temo che mi abbia lasciato soltanto il tempo di vederti…”
Il figlio nel frattempo stava dando un’occhiata al manoscritto del padre e lo interruppe bruscamente.
“No, non è così papà! Guarda cos’hai scritto! Non credo che la collana ti strozzasse per queste cose, anzi! Ma… forse qualche pensieruccio che ti è passato per la testa … non è così?”
Un sorrisetto beffardo accompagnò la predica in corso, poi si soffermò per vedere l’effetto nel sorrisetto complice del padre:
“Figlio mio, carne della mia carne, adesso sei grande e non posso nasconderti nulla: è vero. Non sono un santo, oramai la mia natura mi impedisce di essere buono, corretto, altruista e disinteressato, quello che ho scritto è tutto vero, ma brutti pensieri si inseriscono… ho pensato al mio piacere, ai miei interessi, ad arricchire i miei figli a spese di questa gente …”
Il figlio lo interruppe di colpo:
“Ecco il tuo errore papà: i miei fratelli sono già ricchissimi e non hanno bisogno di te, anzi, stanno già depredando i tuoi averi. Insieme alle tue ex mogli. Io ho chiuso il conto occulto che mi avevi aperto ed ho devoluto tutto ad una organizzazione che fa beneficenza ai bambini più sfortunati. Tu hai già fatto tanto per me, papà, mi hai fatto studiare, imparare due lingue, specializzare! Il mio futuro è assicurato e me lo costruisco da solo grazie alla tua guida iniziale, non con i tuoi soldi”
Prese la penna e il foglio in cui stava scrivendo e continuò:
“Questo che stavi pensando e facendo è ciò che devi continuare a fare, per questa gente che ti ha dato un’opportunità! Questo devi fare per me, tuo figlio, che vuol essere ancora e sempre orgoglioso di te, per come sei, come sarai, non per i soldi che dai! Tieni, e vai, continua a scrivere, se vuoi posso aiutarti: con me vicino i pensieri oscuri non affioreranno”
Una sorta di miracolo, un modello educativo al contrario si stava perfezionando fra quelle due persone, fuori dal mondo del reale, un incantesimo dialogale fra padre e figlio: il figlio stava guidando il padre, consumato dal benessere e dall’egoismo, a muovere i primi passi verso la saggezza e l’altruismo, lo stava aiutando a tirar fuori la parte più nascosta e quasi atrofizzata del suo carattere, ma senz’altro la migliore, quella che aveva offuscato per anni ed anni e che l’aveva condotto all’esilio coatto.
La mezz’ora era passata e il sovrano era entrato silenziosamente per prelevare il ragazzo e accompagnarlo al suo aeroplano. Ma vide intorno ai due un’aura luminosa che li circondava: proveniva dalla collana che cingeva il collo del nostro protagonista; fogli e fogli scritti che fuoriuscivano dalle loro mani. Si avvicinò furtivamente, raccolse uno dei fogli che era scivolato per terra, diede un’occhiata e si rallegrò. Se ne andò sempre silenziosamente, per non disturbarli, per lasciarli lavorare, insieme.
E rimasero lì tre giorni e tre notti, cibandosi di frutta, latte e noce di cocco, serviti loro dal devoto e fiducioso Sovrano, a legiferare, senza interruzione, finché l’ennesima pagina non terminò con un punto fermo. Il pilota era ritornato a casa, in attesa di istruzioni.
“Ecco papà, adesso possiamo avviare i lavori”
Il padre, più felice che mai si era lasciato guidare dal figlio e, per un mese intero, si dedicarono insieme a istruire gli indigeni sulle arti e mestieri possibili in quel piccolo e sano ambiente. Mentre lui si occupava di dirigere i lavori di costruzione delle strutture, per la lavorazione di quelle pietre particolari, e, con il telefono satellitare del figlio (e in forma discreta senza esporre la sua identità), curava i rapporti con la terraferma per avviare trattative commerciali, con tutti i vincoli possibili; il figlio si occupava di insegnare agli indigeni la lavorazione del legno, la modellazione della creta, quindi la scultura e la pittura. Con l’aiuto del Sovrano e della sua figlia più grande istituì una sorta di scuola per insegnare loro l’inglese, a leggerlo e a scriverlo. Insomma insieme stavano ponendo le basi per uno sviluppo contenuto di una piccola civiltà tesa all’equa felicità di tutti gli abitanti.
Dopo due mesi il livello di benessere della popolazione era sensibilmente migliorato, con grande gioia del Sovrano, ma era arrivato il triste momento del distacco:
“Papà, devo rientrare. Ho richiamato il pilota. Il mio mondo è là, gli amici, la mia ragazza, l’università, ma ti prometto, verrò a trovarti, ogni anno. A tutti dirò, come due mesi fa, che ho bisogno di qualche mese per stare con me stesso, il nostro segreto non uscirà mai da quest’isola, la tua isola, il tuo paradiso”
“È vero, figlio mio” – rispose il padre soddisfatto – “tutto questo lo devo a te, che sei parte di me, una parte che avevo allontanato per anelare una chimera di felicità sporca di ipocrisia, avidità, falsità e martoriata dalla sete di potere. I miei desideri più infimi verso il sesso femminile mi davano piacere temporaneo, ma non felicità, e adesso sono felice. Grazie figlio mio, sono orgoglioso di te”.
Lo abbracciò e lo strinse forte. Dopo l’ultimo saluto, mentre il figlio risaliva in aereo, si guardò addosso, e vide che la collana era diventata grandissima, luminosa, larga, leggerissima, dondolava quasi come in una danza. Non era mai successo: poteva toglierla, ma non lo fece: adesso faceva parte di lui.
Il Sovrano gli si avvicinò, portando con se la figlia più grande, era bellissima, e gli parlò:
“Tu hai reso felice il nostro popolo due volte, straniero, ecco ti faccio dono di mia figlia più grande, già parla un poco di inglese, quello che le ho insegnato io e…”
Il nostro esiliato lo interruppe:
“Grazie, Grande Sovrano, accetto la tua devozione, ma non tua figlia come dono di nozze: ma come amica, come consigliera, mi affiancherà nel lavoro, sempre se lei è d’accordo. Solo il tempo, la vicinanza e la spontaneità dei nostri cuori potranno decidere di trasformare quest’amicizia in amore, ma adesso va bene così. L’amore non si compra e non si dona: si conquista con l’amore”
E qui termina, anzi ha inizio la nuova era del nostro esiliato, nominato poi “Dittatore Supremo”, ma benevolmente, da tutto il popolo. Lo adoravano quasi come un dio e lo rispettavano come uomo. Ogni sera, dopo la giornata di lavoro, tutti intorno a un fuoco, lui con la chitarra, cantava. Cantava, le canzoni della sua terra e quelle che inventava nella sua nuova patria, che progrediva senza inquinamento alcuno. Era diventato il Dittatore della Verità e della saggezza.
Parafrasando una frase di Cristo, quale “Chi fa del bene per gratitudine non è un benefattore, ma un commerciante” si può così riformulare: “Chi fa del bene per gli altri fa del bene a se stesso e migliora chi lo circonda, che lo ripaga con altrettanto bene. Deve essere grato solo a se stesso e gli altri lo ringrazieranno a loro volta: il bene ritorna sempre”
Vincent
Scrittore, Musicista, Informatico
Tratto dal racconto n. 8 del mio primo libro “Le Favole di Vincent”