Intervista a Giovanni Lucchese

Ciao Giovanni!

Grazie per aver accettato l’invito de Il giornale delle buone notizie.

  • Ho letto il tuo ultimo romanzo, La sete (D Editore). Protagonisti sono Lui e Lei, che portano avanti una narrazione in prima persona a voci alternate. Vuoi spiegare ai nostri lettori chi sono Lui e Lei?

Ho scelto di non dare nomi a nessuno dei personaggi del romanzo, per dare loro la possibilità di rimanere nell’ombra, di non avere sovrastrutture di nessun genere, affinché i lettori potessero identificarli con la loro parte più nascosta e oscura. Lui e Lei sono due persone che hanno perso la fiducia nel prossimo, l’amore per la vita, l’entusiasmo di andare avanti, e che si trascinano in una serie di eventi ripetitivi per poter dare sfogo alle loro rabbie in maniera libera. È una specie di corto circuito emozionale in cui sono rimasti incastrati al punto da accettarlo come stile di vita.

  • Sono sincera: il tuo linguaggio crudo e la brutalità stessa della gran parte delle scene descritte mi hanno colta impreparata. Eppure, dopo un primo impatto destabilizzante, ho capito che non c’era altro modo di affrontare il tema de La sete se non come hai fatto tu. Che tipo di giudizio hai ricevuto relativamente questo aspetto?

Sono d’accordo, credo che il lavoro di uno scrittore debba sempre essere quello di adattare il proprio stile e talento alla storia che sta scrivendo. Il processo inverso porta a una letteratura sterile e manieristica, togliendo anche gran parte del divertimento che dovrebbe far parte del processo creativo. Quasi tutti i giudizi che ho ricevuto sono stati simili al tuo. Destabilizzante all’inizio, acquista un senso quando si capisce e si accetta il fatto che una storia del genere poteva essere scritta solo con questo linguaggio. Edulcorarlo, togliere qualche termine volgare, addolcire un po’ le espressioni dei personaggi, avrebbe significato mancare di rispetto alla storia, e in primo luogo ai suoi lettori.

  • Lui e Lei sono due personaggi che all’inizio appaiono forti, sprezzanti nei confronti del resto dell’umanità, tanto da risultare antipatici. Andando avanti nella lettura, mi sono fatta l’opinione che non sono semplicemente dei personaggi, quanto una personificazione delle brutture della società e nel contempo di come ci si trasforma per resistere a ciò che ci circonda. E, senza spoilerare, nella scena finale li ho amati, entrambi. In che modo li hai costruiti? Da chi o cosa ti sei lasciato ispirare?

I protagonisti, più che due persone reali, li considero due archetipi della negatività umana. Sono l’incarnazione fisica della rabbia, della frustrazione. La esprimono in modo diverso ma la matrice è la stessa. Inizialmente il romanzo prevedeva solo il personaggio maschile, ero quasi a metà della prima stesura quando ho avuto una vera e propria visione di Lei. L’ho vista avanzare per le vie del centro vestita in modo elegante, con l’aria austera e snob che la contraddistingue e con le braccia cariche di sacchetti per la seduta di shopping compulsivo appena terminata. Ha reclamato il suo posto nella storia, ha intrecciato la sua vita con quella di Lui e ha dato senso e profondità al romanzo. Sono una persona che osserva tutti quelli che incontra, mi piace studiare lo sguardo, la gestualità e il modo di camminare degli altri, mi affascinano tantissimo le persone che emanano frustrazione, stanchezza e stress, sentimenti molto comuni a chi vive in una grande città come Roma. Il personaggio di Lui è nato proprio dal mettere insieme l’impressione che diverse persone di quella tipologia mi hanno fatto quando le ho osservate attentamente. Mi sono chiesto “chi sono, dove stanno andando e perché sembrano portare sulle loro spalle il peso di tutti i mali del mondo?”

  • Ti faccio una domanda che esula dal romanzo in senso stretto, ma che vi si ricollega se lo consideriamo come un’opera neorealista contemporanea. Che rapporto hai con i social? Un autore oggi, secondo te, può esimersi dall’essere social?

Credo che i social siano una vetrina, un’opportunità per farsi conoscere, un veicolo che può portarci a creare una rete di conoscenze, contatti e amicizie utilissima per potersi fare strada in un ambiente complicato come il nostro. Certamente vanno saputi usare, io stesso ho sbagliato varie volte. Il mondo dell’editoria annaspa da parecchi anni ormai, gli editori non hanno mezzi, possibilità e in alcuni casi nemmeno voglia di stare dietro ai romanzi che pubblicano, delegando agli autori il compito di promuoversi come meglio possono. Non è necessariamente un male, può dare la possibilità ai lettori di conoscere una parte più intima e personale dell’autore che scelgono di seguire. L’importante, però, è restare genuini, essere il più possibile se stessi, non mostrare sempre e soltanto la parte migliore di noi. Le persone si amano quando sanno mostrarsi fragili, quando esibiscono una loro debolezza, quando riescono a ironizzare sui fatti della vita in generale.

  • Progetti futuri di cui ci puoi parlare?

Sto lavorando a un ritorno all’ironia, alla leggerezza che ho sempre amato e che ha contraddistinto tutti i miei romanzi prima de La Sete. Ho nel cassetto qualcosa di autobiografico, un ritorno agli anni ’70 con le peripezie di un bambino che, tra una Barbie rubata alla cugina e una corsa in bicicletta per fuggire da ogni incomprensione, fa capire agli altri che la diversità è ricchezza, sempre. E che a tutto c’è rimedio, basta saperci ridere sopra.

Claudia Cocuzza