Intervista a Luca Granato

In occasione della ricorrenza della Giornata della Memoria, ho avuto il piacere e il privilegio di chiacchierare con Luca Granato, autore del romanzo Un treno per Berlino.

Ciao Luca, grazie per aver accettato l’invito de “Il giornale delle buone notizie”.
Un treno per Berlino è stato tra i vincitori del torneo letterario IoScrittore nel 2018, indetto dal gruppo editoriale Mauri Spagnol. Ti va di parlarci della tua esperienza? È stata la tua unica partecipazione?

Ciao Claudia, grazie a voi.

Ho partecipato al torneo due volte, con due romanzi diversi. La prima volta credo fosse nel 2010: il romanzo arrivò tra i finalisti (allora erano 300), ma non superò la seconda selezione. Poi nel 2018 partecipai con Un treno per Berlino, che risultò tra i dieci vincitori. A questa secondo torneo fu Giorgia, la mia compagna, a convincermi a partecipare. IoScrittore è per sua stessa natura molto impegnativo, ha richiesto molta dedizione e tempo, al di là di quello per la stesura del romanzo con cui ho partecipato. È stato però utile per confrontarmi con i lettori, ancora prima di essere pubblicato. Certo spesso i giudizi sono contrastanti, ma cercandone una sorta di minimo comune denominatore ho potuto correggere alcuni errori.

Da cosa nasce l’esigenza di ambientarlo in Germania negli anni che vanno dal 1934 al 1939?

Ho sentito la necessità di scrivere questa storia dopo aver visto lo spettacolo di Marco Paolini, Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute. Racconta, tramite la storia di un ragazzino zingaro, dello sterminio di massa messo in atto dai nazisti col nome di Action T4 e che ha visto come vittime migliaia di ebrei, zingari, omosessuali e disabili.  Mi ha molto colpito, lo consiglio a chi non lo avesse visto. Ho pensato quindi di scrivere una storia che parlasse di questo, ma dal punto di vista di un tedesco qualunque, qualcuno che non si interessasse particolarmente alla politica: un giovane, una brava persona. Uno di quei milioni d’individui che oggi ci fanno pensare: come hanno potuto permettere che accadesse? Non si sono accorti di quello che succedeva? Erano tutti mostri?

Mi si potrebbe chiedere perchè scriverne ancora oggi, che sono passati quasi novant’anni. I libri sono la nostra memoria, la storia comincia con la scrittura, e sono uno dei protagonisti nascosti del mio racconto. Quindi ho voluto parlare ancora di quei fatti lontani per ricordarci di fare attenzione, che non succeda che, mentre ci chiediamo come sia potuto succedere, non accada di nuovo, proprio sotto i nostri occhi, in altre forme, dietro le nostre spalle. Perché non ci siano in futuro altri che si chiedano: come hanno potuto non vedere? Erano mostri? E che lo dicano di noi.

Il tuo romanzo ha una struttura che definirei “geometrica”: è circolare nell’ambientazione, ossia la stazione di partenza è Monaco, con destinazione Berlino, così come la storia raccontata da Bertfierd parte da Berlino, si sposta a Monaco, per tendere a concludersi ancora a Berlino. Inoltre, dal punto di vista tecnico, si tratta di un racconto nel racconto, con una storia nel presente che fa da cornice a una, la principale, nel passato. Vorrei che ci spiegassi la sua genesi e il perché di queste scelte.

Ho voluto giocare con la concezione di ciclicità del tempo che avevano gli antichi greci. Lo scorrere del tempo attraverso il susseguirsi del giorno e la notte, il ripetersi stagioni, la nostra stessa quotidianità, e le età della nostra vita. Il viaggio in treno di Bertfried verso Berlino su quello stesso treno che da Berlino lo aveva portato a Monaco molti anni prima rappresenta il coraggio dello stesso Bertfried di tentare di scegliere, in un suo personale divenire in una sorta di eterno ritorno dell’uguale nietzschiano che lo vede però sconfitto in quanto da quel treno non scenderà. Al tempo stesso, quella stessa circolarità si allarga in una sorta di spirale che, includendo Cosimo, fa sì che il cerchio si chiuda. Non vedo quindi tanto una storia che fa da cornice all’altra, quanto una storia che conclude quella precedente, facendo sì che ritorni a se stessa. Rendendola, appunto, circolare.

La narrazione è costellata di citazioni, da Shakespeare a Emil Cioran a Eugène Sue e tanti altri. Si tratta di omaggi ad autori che hanno segnato in qualche modo la tua vita o sono solo funzionali a questa storia?

Gli autori che non lasciano un segno, si dimenticano. Quindi nel momento in cui ci ritornano in mente alcune parole lette magari molti anni prima, significa che hanno lasciato una cicatrice profonda nella nostra anima. In particolare, la citazione di Cioran si inserisce perfettamente nel racconto per via delle sue prime posizioni antisemite e filonaziste poi rinnegate con orrore dopo il 1940. Shakespeare è il teatro: niente è più finto della realtà e nulla è più vero della finzione, come accade quando a mescolare le carte è qualche talentuoso illusionista che con la sua prestidigitazione addormenta le coscienze.

Nel corso della narrazione più volte Cosimo pensa alle pagine della vita di Bertfried, ai personaggi che riscostruisce tramite le sue parole, come a pagine e personaggi di un romanzo. C’è dietro una volontà metanarrativa?

Sì, c’è sicuramente una sorta di metanarrazione. Un romanzo che parla della vita come se quest’ultima fosse un libro, un racconto all’interno di un altro racconto. Anche la stessa situazione in cui si svolge la storia è costruita per risucchiare il lettore in quello scompartimento del treno dove il lettore può sedere e origliare il racconto di Bertfried magari fingendo di sfogliare una rivista. Almeno questo è quello che spero.

Tre libri che auguri ai nostri lettori di leggere nel 2022.

Quando mi si chiede quali sono i libri che consiglierei o che ho amato di più, mi vedo proiettato in una sorta di biblioteca mentale, di fronte a scaffali che, dal momento che non sono più giovanissimo, contengono centinaia di volumi. E allora trovo un titolo, poi un altro e un altro ancora: sono così tanti che non so decidere. Questo accade perché ne ho amati tanti e per diverse ragioni, scegliendone uno invece di un altro è un po’ come se tradissi tutti gli altri. Quindi augurerei semplicemente di leggere libri belli, di qualunque genere, di qualunque epoca, purché belli. Vabbè, certo, La promessa dell’alba di Romain Gary è di una bellezza straziante…  Ma anche Cyrano de’ Bergerac. Aspetta, Il Signore degli anelli e Il Conte di Montecristo sono letture inevitabili. Ah, e 2666. La Storia di Elsa Morante. Comunque anche Cent’anni di solitudine, eh. E…

Ecco, visto? Lo sapevo…

Claudia Cocuzza