“Aristofane” occupata: lacrime anacronistiche?

Da molti “adulti” giudicato come un atto anacronistico, gli studenti di molti licei del Lazio hanno deciso di trascorrere una settimana occupando le proprie scuole. Tra queste spicca il liceo classico e linguistico Aristofane, nel quale il sottoscritto ha trascorso cinque anni della sua vita. Proprio in virtù di questo rapporto di familiarità, sono riuscito ad intrufolarmi (legalmente) al suo interno per ricavare qualche informazione riguardo a cosa stesse succedendo.

All’entrata della scuola va rigorosamente mostrato Green Pass/tampone, ed è obbligatoria la mascherina negli ambienti interni.

Dopo aver fatto un piccolo tour tra le mura che io ricordavo giallastre, ma che ora sono riempite di murales e dipinti colorati, passata la palestra ora adibita a camera da notte per i ragazzi con il pavimento fatto di materassi da ginnastica e felpe, sono riuscito ad aver un momento per parlare con Sara De Bella, una dei rappresentanti d’istituto per interrogarla sulla situazione.

Mi sono ritrovato davanti una ragazza preparata e responsabile.

Come prima domanda non potevo che chiedere: Che ci stiamo facendo qua?

Lei risponde mostrandomi come oramai il sistema scolastico sia arrivato ad un drastico punto di rottura.

Oltre i disagi economici di ripresa del Paese, che di più di tutti colpiscono i licei:

Il PNRR è un altro tentativo di aziendalizzare la scuola, e comunque i fondi non arrivano

Il problema più evidente è la necessità di avere una scuola che stia al passo con i tempi, e che non rifiuti invece le nuove necessità degli studenti di oggi. È la stessa storia che si ripete? Ebbene, sì. Tant’è che sempre Sara ci dice che molti professori ed altri personaggi dell’ambiente scolastico hanno ritenuto anacronistica questa rivolta giovanile, con il classico: “Ai miei tempi”.

Sara: “Il fatto che quattro scuole di un municipio che non occupavano da anni, che non si facevano sentire da anni, abbiano occupato alla stessa ora, dello stesso giorno, con lo stesso comunicato, dimostra che abbiamo il bisogno di farci sentire.”

Il mondo di oggi è totalmente cambiato e con esso deve essere cambiata la scuola. Se così non fosse si verrebbe a creare una contraddizione che lascia i giovani frequentanti con il collo strozzato, incapaci di vivere il quotidiano. Tra le varie proposte troviamo infatti anche il promuovere corsi sulla sessualità, di inclusività e varie tematiche che stanno a cuore alla nuova guardia, ma rifiutate (anche recentemente) dal governo e, quindi, dal sistema scolastico.

Alla mia domanda: “Questa occupazione sarebbe successa lo stesso anche se non ci fosse stata la pandemia di mezzo?”, chiesto prima a Sara e poi ad altri studenti e studentesse in giro per la struttura, la risposta è stata unanime: No, non ci sarebbe stata un’occupazione così “aggressiva”, ma qualcosa ci sarebbe stato per forza.

La pandemia non ha fatto altro che sottolineare le contraddizioni del sistema scolastico

Sistema che quindi si trovava già in un’evidente crisi.

Ma come già accennato prima, il problema non è solo politico/istituzionale, ma anche psicologico. Girando per la scuola si vedevano i ragazzi sfiniti, e anche parlandoci trasudava dalle loro risposte sofferenza.

Ogni volta che vai in bagno, trovi almeno una ragazza che piange… sicuro

Così mi dice Sara e, sinceramente, non faccio fatica a crederle.

In tutto ciò i professori e le professoresse sono uno degli ingranaggi principali di questo disagio che si è venuto a creare. Molti di questi sono ritenuti dagli alunni incapaci di empatizzare con loro e che anzi prendono in giro i ragazzi dicendogli che la DAD (didattica a distanza) era stata uno scherzo e che ora devono scendere dagli allori per tornare a fare i “seri” in presenza. Ma basta ascoltare un attimo cosa hanno da dire gli alunni per capire che la DAD è stata, nel senso letterale della parola, un inferno: “Ogni giorno sembrava sempre lo stesso” e ora si ritrovano in classe con la difficoltà di riuscire a seguire le lezioni e con i professori che, invece di aiutarli, vanno loro contro.

Mai come ora assistiamo ad un Darwinismo sociale, dove solo i più forti riescono a concludere i loro studi.

Sara durante le mie domande ha citato “Lettera a una Professoressa” di Don Lorenzo Milani e dei suoi alunni, indicandolo come uno dei testi da cui partire per una nuova scuola: una scuola che ha come obiettivo non lasciare indietro nessuno.

Con i termosifoni staccati da una settimana, venerdì 26 novembre è l’ultimo giorno di occupazione della scuola Aristofane, giorno in cui tutti i partecipanti si occupano di pulire e mettere a posto tutto il complesso scolastico. I ragazzi nella guardiola all’entrata sono convinti che il lavoro che stanno facendo, per far sì che questa occupazione vada al meglio possibile, è mille volte più stancante e responsabilizzante del lavoro quotidiano degli operatori scolastici. E tengono a sottolineare il fatto che loro, gli occupanti, non lo fanno per soldi. Per questo mi mandano a fare in c… a quel paese quando gli pongo la domanda: “Ma quindi, hanno ragione gli intellettuali che dicono che i giovani d’oggi non hanno ideali?”

I ragazzi sono stufi di essere chiamati come anche io sto facendo: “I giovani”. Sono individui e in quanto tali vogliono essere riconosciuti. Anche in questo caso la risposta è stata unanime, ovvero che certamente ci sono alcuni che vogliono “solo fare casino” (come sempre sono esistiti) ma la maggior parte, la gran maggioranza, vive per le sue idee. Il fatto è che, per l’appunto, gli “adulti” non possiedono il vocabolario e la grammatica per riuscire a decifrare le nuove generazioni; per cui i ragazzi si sentono ancora più abbandonati.

Vorrei proporvi un’ultima prova riguardo a quest’ultimo fatto, ideali e giovani: la rappresentante d’istituto durante l’intervista era stanca. Stanca morta. Si perdeva nei discorsi. Aveva la voce smorta… non ho mai visto una persona così stanca. Difatti anche quando le ho sottoposto la fatidica domanda dei giovani scansafatiche, con gran classe mi ha risposto:

Questa è una grandissima ca**ata e mi fa arrabbiare tantissimo

E ripeto, ritrovandomici davanti, non facevo fatica a crederle, dato che quella stanchezza proveniva dalla passione che Sara stava mettendo come uno dei portabandiera in quell’opera di denuncia.

Quindi come concludere questo mio viaggio? Prima di uscire dall’Aristofane per ritornarci quando non so, vi racconto la mia ultima impressione. L’occupazione dovrebbe essere un momento di adrenalina e di frenesia tra gli occupanti, di grida, di risate… ma quello che ho trovato io non era questo. Quello che ho trovato io erano ragazzi stanchi (certamente era il quarto giorno dell’evento, ma non penso che la stanchezza fosse fisica) alla ricerca di qualcuno che li guidi e che li comprenda. Persone che si sentono orfane, e che per rimediare hanno cercato in questa settimana di creare, proprio come si faceva nei “bei vecchi tempi”, una comunità di ragazzi che potessero aiutarsi a vicenda, dato che nessun altro pensa a farlo.

Un’occupazione che ti faceva sentire a disagio, perché ascoltando bene riuscivi a sentire il freddo che passava e che passa tra i banchi e le cattedre.

Matteo Abozzi (grazie a Mario Battisti che mi ha aiutato sul campo)