Riviera del Brenta, 8 luglio 2015: quello che mi ha insegnato il tornado

Mercoledì 8 luglio 2015, verso le cinque del pomeriggio, il cielo è nero come la pece. Poi il boato. Un tornado piomba sulla Rivera del Brenta con raffiche di vento tra i 270 e i 320 chilometri l’ora. Il bilancio è di un morto e 72 feriti tra Mira, Dolo e Cazzago di Pianiga. 500 case danneggiate, danni per 55 milioni di euro.

Credits Alberto Gobbi – Meteo in Veneto

Il tornado dell’8 luglio 2015 mi ha insegnato che ci vuole veramente poco per far nascere un simbolico fiore da un mucchio di macerie. Basta un sorriso, una mano tesa, un incrocio di sguardi silenziosi. Basta capire che puoi contare sull’altro senza nemmeno, a volte, conoscere il suo nome. Basta sapere che il tempo passato ad aiutare è un dono che fai agli altri ma anche a te stesso. Nel 2015 ci siamo detti “niente sarà più come prima“. È così. E così sarà per sempre.

Sembrava di essere a Beirut. Arrivando in macchina lungo la Riviera del Brenta, la sensazione era di trovarsi sospesi tra realtà e immaginazione. Non poteva essere vero, non era possibile che case, alberi, ville venete, aziende intere fossero state distrutte come sotto un bombardamento.

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Ero andata in Riviera  per scrivere un articolo. Dopo cinque minuti, avevo in mano una carriola e raccoglievo “coppi”. I miei ricordi di quel luglio 2015, e dei mesi a venire, parlano di una foto volata via fino a un altro paese, riportata con amore al legittimo proprietario. Raccontano di un furgone piombato dentro una serra col conducente al volante, una cassetta della posta che manco foste Maciste ci sareste riusciti. Nonna Maria cui gli angeli hanno salvato la vita perché non c’è altra spiegazione al vedersi sfiorare da una trave lanciata a “n” chilometri l’ora e restare illese.

Un via vai di persone anonime, silenziose, gli occhi pieni di lacrime e sudore pronte ad aiutare. Altre persone, quelle che hanno perso tutto, che ti dicono, mentre le aiuti, “hai sete? Apri il frigo questa è casa tua”. Tutti quelli che hai incontrato, abbracciato, nel tuo piccolo aiutato. Che ti telefonano per sapere come stai e ti chiedono “quando passi a salutare?”. Una cagnolina che quando ti vede fa le feste manco fossi una di famiglia. Persone che non conoscevi, volontari incontrati tra le macerie che sono diventati amici per la vita. Questo è quello che mi ha lasciato il tornado. Questo è quello che mi ha insegnato il dopo tornado. Che, insieme, possiamo fare la differenza.

La sensazione di essere invadente sempre, ma sono i “tornadati” che ti sorreggono e sostengono. Che capiscono perché sei qui. Quante volte mi sono sentita fuori posto… fuori posto dal mondo. Perché non c’è foto che possa rendere l’idea di quello che ha fatto il tornado.

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Mentre i media nazionali ignoravano il Veneto, era diventata un’abitudine, la sera, scrivere una specie di diario su Facebook che avevo chiamato “Le Storie della Riviera”. È così che, dalla Lombardia alla Sicilia, le persone sono venute a sapere di quello che una semplice serata di pioggia intensa (TG5) in realtà era solamente un tornado che, a casa dei Gallo, ha raggiunto intensità F4.

E si sono offerte di aiutare.

Volontari e Protezione Civile da tutto il Veneto hanno lavorato silenziosamente fianco a fianco. A dir la verità qualcuno aveva provato a mandarci via, ma nessuno li ha ascoltati. Andate a dire a un Veneto di non aiutare un altro Veneto. Vedrete cosa vi risponderà. Sono profondamente grata a questa Terra e alla sua Gente, che non molla mai, che è accorsa da ogni parte per aiutare.

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Quando mi chiedevano “perché lo fai?”, rispondevo che, se fosse successo a me, avrei tanto desiderato che qualcuno mi avesse teso la mano dicendo: “Serve aiuto?”. Tutto qui.

Ci sarebbero tante persone da citare, ma l’elenco è lunghissimo e loro lo sanno. C’è molto della ritrosia veneta nel nostro non fare proclami, ma lavorare a testa bassa e via andare.

Ci sarebbe molto da dire anche sugli sms solidali, che sintetizzo con una frase: sappiate che i soldi raccolti possono essere usati solamente per le opere pubbliche.

Per questo noi siamo andati a far la spesa, i banchetti di sera alle sagre, la sfilata con 350 bikers, le magliette e chi più ne ha, più ne metta. Poi portavamo quanto raccolto direttamente alle famiglie che sapevamo in difficoltà.

Se adesso andate in Riviera del Brenta e la vedete bella, non ancora bellissima a distanza di cinque lunghi anni, è perché la ricostruzione è passata attraverso uomini e donne che non hanno mai smesso di pensare che finché l’ultima porta non si sarebbe chiusa alle spalle dell’ultima famiglia, salutando con commozione l’inizio della vita nuova, non ci si poteva fermare.

La rinascita è cominciata dov’è finito il disastro del tornado: dai coppi per coprire i tetti. Anche se c’era chi, e non erano pochi, dei coppi non sapeva cosa farne perché la casa o non c’era più o era da abbattere. Ma i volontari sono arrivati, tutti insieme, anche lì.

In memoria di Claudio Favaretto, unica vittima del tornado, che ha avuto almeno la decenza di arrivare in un orario in cui c’era poca gente a casa.

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