Immaginate di camminare su un terreno ghiaioso o sabbioso e di scorgere, improvvisamente, un sassolino sfaccettato di colore opalino: lo mettete in tasca perché vi piace e lo portate a casa.
Un giorno un amico, che vi è venuto a trovare, vede il sassolino in mezzo ad altri sulla vostra libreria e vi chiede: “dove hai trovato questo diamante grezzo?

Quanto raccontato in questo immaginario episodio non è molto distante da quello che è realmente successo agli inizi del secolo scorso: la scoperta dei diamanti, attorno alla città di Luderitz, nell’Africa Occidentale tedesca (odierna Namibia), fu fatta per caso nel maggio 1908, quando un operaio namibiano delle ferrovie (Zacharia Lewala) portò una strana pietra raccolta lungo la ferrovia a un suo superiore, August Stauch.
Questi, avendo identificato la pietra come diamante grezzo, ottenne, assieme ad un amico esperto minerario e senza pubblicizzare la scoperta, la concessione mineraria per quell’area. In seguito, mentre ispezionavano una zona a sud della città, s’imbatterono, in una valle, si accorsero di camminare sopra un “tappeto” di diamanti grezzi. Inutile dire che i due divennero ricchissimi.

Il governo tedesco, in seguito, dichiarò una vasta area “Diamantensperrgebiet” (territorio diamantifero proibito), disciplinando e limitando le concessioni per l’estrazione.
Il Territorio Proibito (26.000 Kmq), fu in seguito proclamato Parco Nazionale (ma attività escavative permangono tuttora). Si estende dal confine sud del Namib Naukluft Park (che comprende l’area dei cavalli selvaggi di Garub) sino alla foce del fiume Orange che segna il confine con il Sud Africa.

I diamanti, in quest’area, non si trovavano a grandi profondità, ma appena sotto la superficie.
All’inizio la raccolta era eseguita manualmente dai lavoratori africani: in ginocchio, allineati in file, essi avanzavano lentamente raccogliendo le pietruzze sulla superficie o appena sotto di essa.
In seguito, col progredire della tecnologia e con la necessità di andare un po’ più in profondità, la sabbia e la ghiaia erano “grattate” da escavatori, quindi convogliata in nastri trasportatori verso dei setacci per giungere alla separazione dei diamanti grezzi.

Villaggi come Kolmanskop, Pomona e Bogenfels furono fondati dal nulla e avevano tutte le comodità: panetteria, macelleria, bar, ristorante, sala giochi, chiesa, albergo, scuola, spaccio, e quant’altro.

Dopo la prima guerra mondiale, la raccolta dei diamanti iniziò a diminuire e, di conseguenza, le città furono lasciate a una a una.

Kolmanskop, ora frequentata meta turistica, in quanto a pochi km a sud-est di Lüderitz (graziosa e colorata città dell’epoca coloniale tedesca), fu l’ultima ad essere abbandonata verso la metà degli anni ’50 del secolo scorso.
Lo sfruttamento continuò e continua tuttora, con l’utilizzo di macchinari sempre più moderni necessitanti di poca mano d’opera.

I villaggi minerari abbandonati sono ormai in rovina e preda della Natura che reclama il suo territorio con la sabbia e la ruggine che coprono, smerigliano, corrodono gli edifici e le attrezzature abbandonate dopo la chiusura (troppo costoso spostarle).
Eppure in questo desolato territorio esiste vita: numerose piante grasse punteggiano il terreno e animali di ogni tipo lasciano le loro impronte sulla sabbia.

L’escursione alla città fantasma di Pomona e all’arco naturale Bogenfels, nel “territorio proibito” è veramente interessante, ma è possibile compierla solo sui veicoli delle organizzazioni che hanno la concessione turistica per entrare nell’area che è ancora mineraria. E’ necessario entrare da un cancello sorvegliato e i permessi devono essere richiesti in anticipo.

“Quando iniziammo a percorrere lo sterrato che conduceva a Pomona, la guida raccontò che, anche se l’area é stata già sfruttata, di notte con la luna piena si può scorgere ancora qualche diamante grezzo che brilla sul terreno, ovviamente se si é esperti”, scrive Mauro Almaviva nel suo diario di viaggio.

Che ciò corrisponda a verità o no è impossibile verificarlo: è proibito sostare al lungo, tantomeno pernottare, ed è vietato raccogliere sassi di ogni sorta o qualsiasi altro “souvenir”, come testimonia il reporter di Focus TV, fermato da una guardia locale.

Pomona, la storia

Fondata nel 1912, si trova a circa 85 km a sud di Lüderitz. Attorno al 1910, al tempo della corsa ai diamanti nell’Africa sudoccidentale tedesca, nell’area di Pomona c’erano così tanti diamanti che questi potevano essere raccolti dal terreno con le nude mani. Pomona vantava la più proficua miniera di diamanti del suo tempo, generando un valore di oltre un milione di carati (200 kg) tra il 1912 e il 1914.

Nel suo massimo splendore la cittadina contava circa 1000 abitanti, di cui 350 di origine tedesca. Costoro vivevano nella “zona residenziale”.
Grandi lavori furono compiuti per garantire l’acqua, necessaria all’estrazione dei diamanti: enormi pompe la estraevano da pozzi una ventina di km a nord di Pomona; una ferrovia a scartamento ridotto la trasportava alla zona mineraria.

La prima guerra mondiale vide il rapido declino della città, anche se l’estrazione dei diamanti riprese in seguito nella zona con metodi più moderni.

L’ambiente, adesso, è da film del genere “post-catastrofe”. Già nell’arrivarci si passa tra migliaia di montagnette di detriti, accumulate con il “grattamento” della superficie, che danno al territorio un aspetto irreale.

Gli edifici, segnati dal tempo, sono poi quasi tutti completamente diroccati, ma è possibile identificare il loro fine e individuare l’uso di qualche macchinario. In genere il clima secco desertico preserva meglio il legname, mentre le parti di ferro si sbriciolano per effetto della ruggine.

Il silenzio é rotto solo dagli incessanti cigolii di cardini e dallo sbattere di porte o di rottami a causa del sempre presente vento. Una finestra, senza più vetri, sembra essere stata aperta per dare aria a una sala, chissà, forse un salottino in stile “Art Nouveau”. In molte pareti sono ancora riconoscibili decorazioni floreali.
Un gabinetto, con ingresso all’esterno della casa e pieno di sabbia ha ancora l’asse di legno integra.

Bogenfels

Se si visita Pomona è d’obbligo recarsi, 30 km più a sud, all’arco naturale Bogenfels (che in tedesco significa roccia ad arco), alto circa 60 metri.


La pista per arrivarci da Pomona attraversa un paesaggio quasi lunare con formazioni rocciose di diversi colori a seconda del minerale che esse contengono (prima dei diamanti vi furono cercati rame, piombo e argento).

Paesaggio anche in questo caso affascinate proprio per la sua inospitalità.
L’arco, che è stato scavato, in milioni di anni, dal mare e dagli eventi atmosferici, è di una straordinaria bellezza e, dalla sua cima, era possibile ammirare la costa atlantica per chilometri, almeno fin quando, poco prima del 2010, non fu decretato il divieto di salire sull’arco.

Tale divieto nasceva dal fatto che si era nuovamente iniziato a scavare (presso le rovine della cittadina mineraria di Bogenfels) e la compagnia mineraria non voleva che falsi turisti scattassero fotografie della miniera dall’alto dell’arco.

Considerazioni Finali

Scrive Mauro Almaviva , concludendo il suo bellissimo racconto-articolo, ove narra il suo viaggio in questa “Terra della Favola” (come a suo tempo fu battezzata dagli abitanti): “Nell’era dei satelliti e con Google Earth disponibile a tutti, questo divieto ci è sembrato decisamente insulso. Purtroppo, come citato in un precedente racconto, alle compagnie minerarie siano esse di oro, diamanti, uranio o altro, è tutto consentito incluso sfruttare i lavoratori o ‘esiliare’ popolazioni autoctone”.

Dove ho già sentito una storia simile? Indiani d’America? Febbre dell’oro? Come si dice dai tempi della Bibbia: “Niente di nuovo sotto il sole” (frase biblica, contenuta nel libro dell’Ecclesiaste 1, 10).

Vincent
Scrittore, Musicista, Informatico

Fonti:
– Focus TV, rubrica “Cose di questo mondo”
– Articolo “Viaggio alla città fantasma di Pomona e all’arco naturale Bogenfels, in Namibia” di Mauro Almaviva, pubblicato sul giornale on-line “Il Cofanetto Magico”
– Wikipedia, articolo “Pomona, Namibia”