Atalanta: Dalla favola alla leggenda

Per due ore tutta Italia ha tifato una sola squadra, forse più che per la Nazionale a un mondiale. Come in questi mesi ha tifato per quella città, Bergamo, la più colpita, con Brescia, in questa pandemia.

È una favola bellissima quella dell’Atalanta, che prende il nome da un mito greco, per questo è soprannominata “la Dea“. E Dea lo è stata davvero.

Per 89 minuti (più le due partite degli ottavi di finale con il Valencia) è stata la cosa più sublime che abbiamo visto in questo stranissimo e assurdo “calcio d’agosto“. Fatto normalmente di amichevoli con la rappresentativa del paesello di montagna o in estenuanti tornei nei vari continenti, organizzati più per il marketing e i forti incassi che per la preparazione atletica dei giocatori.

La squadra bergamasca è da decenni tra le migliori scuole calcio europee. Dalle sue giovanili sono usciti giocatori come Gabbiadini, Zaza, Montolivo, Morfeo, Bonaventura e i più recenti, Gagliardini, Conti, Bastoni e Kulusevski, venduti poi a peso d’oro.

La storia di questa partita nasce quattro anni fa, quando si siede sulla panchina nerazzurra Gian Piero Gasperini. Un ex giocatore, nato come allenatore delle giovanili della Juventus. Dopo l’exploit del Genoa portato in Europa League, ha la grande occasione di allenare l’Inter, dove viene esonerato dopo solo 5 partite.

Da lì riparte da Palermo e un ritorno al Genoa, dove centra un insperato sesto posto in Serie A e la conquista di un posto in Europa League, poi non concesso per la mancanza della Licenza Uefa.

Fino alla chiamata della “Dea”.

Il suo è un calcio decisamente più spumeggiante, aggressivo e spregiudicamente offensivo. Dato dalla valorizzazione dei giovani e con una percentuale di realizzazione esponenzionale fino ai 116 gol segnati in questa stagione, record assoluto.

Dopo tre anni consecutivi di qualificazioni all’Europa League, nella scorsa stagione, grazie alla cavalcata fino al terzo posto in campionato (corollata dalla finale persa in Coppa Italia contro la Lazio dopo aver battuto 3 – 0 la Juventus), finalmente l’Atalanta si qualifica per la prima volta nella sua storia in Champion’s League.

Il cammino è subito in salita, nonostante un esordio facile sulla carta contro la Dinamo Zagabria: forse per l’inesperienza dei giocatori e un po’ per l’emozione, gli orobici si portano a casa un sonoro 4 a 0, seguito poi da un 2 a 1 contro lo Shaktar Donetsk e una cinquina presa in casa del Manchester City.

Sembrano non esserci più speranze, ed è qui il Plot Twist della stagione. Allo Stadio Meazza di Milano (San Siro), dove l’Atalanta gioca le partite interne di Champion’s, dopo soli 7 minuti si trova in svantaggio. Ormai non ci sono più speranze per questa giovane debuttante. Al 41′ minuto però Gabriel Jesus sbaglia il rigore decisivo e nel secondo tempo Pasalic segna l’1 a 1 finale. Il primo punto in Champion’s League nella storia della società.

Qualcosa cambia nelle teste della squadra intera, portando a una clamorosa qualificazione agli ottavi di finale, battendo poi 2 a 0 la Dinamo Zagabria e 3 a 0 lo Shaktar. Una città intera è in tripudio, attendendo il doppio scontro con il Valencia.

Quel 19 febbraio a San Siro ci sono circa 46mila tifosi bergamaschi e 2500 spagnoli, ignari che, solo qualche giorno dopo, in entrambi i Paesi sarebbe scoppiata la Pandemia. Per alcuni virologi viene identificata come la “Partita Zero“. Fatto sta che l’Atalanta, data per sfavorita ma spinta dal suo pubblico, rifila un clamoroso 4 a 1 alla squadra iberica.

È il 10 marzo. I casi dichiarati di Covid 19 e le vittime sono innumerevoli, l’intera Lombardia viene dichiarata “Zona Rossa” e quindi messa in Lockdown. La squadra è a Valencia per il ritorno degli ottavi. Tutta Bergamo ( e tutta Italia) tifa dai propri divani, non potendo uscire di casa. L’Atalanta vince 4 a 3 (con quaterna di Ilicic) con un’impresa che sa dell’impossibile, ma con i giocatori che pensano a una cosa sola. “Bergamo è per te! Mola mia

Trascorrono tre mesi, ricomincia il campionato, e alla sua fine ricomincia la Champion’s.

Siamo al 12 agosto. Final Eight di Lisbona. Dove si pensava ci fossero squadre ben più blasonate, c’è l’Atalanta, contro il Paris Saint Germain. Solo a leggere la formazione avversaria, la panchina e i giocatori non convocati viene la pelle d’oca. Una sorta di Davide contro Golia moderno.

Una piccola città di provincia contro una metropoli. Dei giovani di buone speranze contro dei fuoriclasse. Ma tutti ci credono, perché anche se è una sfida impari fin dall’inizio, anche se manca il genio di Ilicic, anche se non c’è il pubblico, c’è tutta una città ferita, una nazione e, penso, anche buona parte dei tifosi di tutto il mondo, che spingono questi ragazzi.

C’è tutto quello che hanno sofferto sentendo le ambulanze giorno e notte passare a sirene spiegate sotto alle loro finestre, ci sono i camion che trasportano le vittime. C’è il dolore di tutti noi.

Sembra un segno del destino, al 27° minuto segna Pasalic, sì, proprio quello del gol contro il Manchester che ha dato il primo punto della storia. I Parigini attaccano in ogni modo, ma gli Atalantini non demordono, anzi rischiano di raddoppiare in più occasioni.

Ma in questa Champion’s la differenza la fanno i campioni, e quando al 60° minuto entra Mbappè la partita cambia decisamente di tono. Dopo un lungo assedio dei francesi, al 90° segna Marquinhos, seguito tre minuti dopo da Choupo- Moting.

Per 96 lunghissimi minuti questi ragazzi ci hanno fatto sperare nell’impresa, ci hanno fatto urlare e gioire, tremare e infine piangere con loro. Ci hanno ricordato che il calcio non è solo fatto di milionari, influencer e belle donne, ma anche di cuore, grinta e sudore. È fatto di sognatori e di combattenti, e non importa se questa volta alla fine sul campo hanno perso.

Una bella favola di provincia è diventata Leggenda.

Anna Bigarello