La giustizia dell’avvoltoio

Ancora una volta il bosco di Macchiagrande nei pressi di Trigoria è teatro di un delitto efferato. Siamo a giugno e il caldo la fa da padrone. L’avvoltoio dell’avvocato Privitera, appassionato di falconeria, ritrova nel bosco il cadavere di un bambino. Si tratta del piccolo Edoardo Mancini, figlio di una facoltosa imprenditrice scomparso quindici giorni prima all’uscita da scuola. La madre, costretta ad assentarsi per motivi di lavoro, aveva concordato qualche giorno prima con la mamma di un compagnetto che Edoardo in sua assenza sarebbe stato loro ospite. A causa di un litigio durante la ricreazione, però, il ragazzino aveva rifiutato l’invito dicendo che il compagno della madre si sarebbe occupato di lui e si era allontanato da solo. Il commissario Marco Rapisarda, chiamato a indagare, collega subito il ritrovamento del cadavere alla sparizione e i fatti purtroppo gli danno ragione.

Appena arriviamo in commissariato, contatta la Sezione scomparsi. Se non ricordo male, dieci o quindici giorni fa è stata denunziata la scomparsa di un bambino dalla zona residenziale del Vallerano. Mi sa tanto che il caso si è concluso nel bosco di Macchiagrande,

Se identificare la vittima è stato semplice non lo è però risalire al colpevole di un delitto che si presenta estremamente disumano. Il commissario si rende ben presto conto che la sua indagine procede a fatica ostacolata dallebugie, dalle false apparenze, dai segreti di famiglia di cui nessuno sembra disposto a parlare. Ma Rapisarda ha giurato a se stesso che l’autore di un delitto così scellerato non può restare impunito

Signora Mancini, […] dal primo momento in cui il PM mi ha assegnato il caso del suo ragazzo, mi sono ripromesso che a qualunque costo avrei fatto in modo di assicurare il responsabile alla giustizia. Ma per fare questo ho dovuto spogliarmi dei miei sentimenti di uomo e seguire la fredda logica che esige un’indagine. Del resto, questo è quello che il mio lavoro mi impone: verificare i fatti e mettere da parte i sentimenti. Sappia, però, che stavolta per me è stato molto difficile separare le due cose. Fin dal primo momento, io, Marco Rapisarda, non l’uomo di legge, ho creduto alla genuinità del suo dolore.

Tra mille difficoltà e inconvenienti anche di natura personale causati dalla gestione del suo rapporto non facile con l’anatomopatologa, Serena Mazza, Rapisarda alla fine, facendo ricorso a tutte le sue qualità umane e investigative, con la collaborazione degli uomini della sua squadra, arriverà alla soluzione dell’enigma che si rivelerà tuttavia tanto tragica nella sua realtà effettiva quanto deludente nel movente.

Squadra che vince non si cambia. Di questo detto sembra essere del tutto convinta la signora Martinez che nel suo secondo giallo ripropone, naturalmente oltre al protagonista, il team al completo dei personaggi che lo affiancano. Una bella miscellanea di tipi, mentalità, provenienze diverse così come avviene del resto nella società della nostra bella ma difficile nazione, con le arcinote difficoltà che attanagliano il Sud causando spesso fughe di cervelli verso regioni più generose. A farne le spese i più giovani che accettano ob torto collo la situazione ma la affrontano con orgoglio e tenacia. Marco Rapisarda è uno di loro,

Rapisarda non aggiunse altro; per un attimo, era stato assalito da quello che lui aveva battezzato mal d’isola, ma in realtà altro non era che una sottile struggente nostalgia, quella che chi nasce isolano sa bene che solo l’isola può guarire. La reazione, però, giunse immediata. Si strappò dal suo sogno a occhi aperti e tornò al caldo di Trigoria e ai nuovi eventi. Calò la visiera dei suoi Ray-Ban ché non si vedesse qualche residuo brandello di rimpianto e s’avvicinò all’abitacolo della macchina. «Penso che adesso là dentro si potrà vivacchiare» dichiarò, indossando la solita corazza di ironia.

Questa sua condizione di straniero in patria lo porta a confrontarsi quotidianamente con un’umanità altrettanto vera e palpitante. E così uno dopo l’altro vediamo tra le pagine affacciarsi Mirko e Federica, conterranei e amici fedeli del nostro, come la Bersagliera,

Passò davanti al centralino con tale irruenza che quasi travolse la Santonocito, che era uscita sul corridoio per un doveroso saluto.

Beddra mattri, beddra mattri. Alla Bersagliera non restò che compiacersene e per una volta tanto aprì l’animo a più rosee prospettive.

«Santonocito, annacàmuci, mi mandi Russo appena arriva.»

Esponente di punta è però il suo ispettore, Filippo Russo, romano de Roma, inserito con la sua semplicità e bonomia nei momenti in cui la tensione va smorzata con qualche battuta ad effetto perché il giallo della signora Martinez non ama l’eccesso, rifugge lo splatter, e al momento giusto desidera che il suo lettore sorrida.

Quella sera, in pizzeria, davanti a una caprese con supplemento di prosciutto crudo, [Russo ]sentì il bisogno di farne partecipe la sua Cesarina.

«Amò, oggi ho conosciuto un uomo con le contropalle.»

«Davvero? E chi sarebbe?»

«Il mio capo, il commissario Rapisarda.»

«Ma se dici sempre che è un asociale maschilista.»

«Sì, ma…»

«Ho capito, è un asociale maschilista di quelli con le contropalle!»

Lo invita però anche alla riflessione proponendo sempre come motivo di fondo uno o più temi sociali. Questa volta è di turno la dipendenza giovanile dai videogiochi e l’incapacità della famiglia a identificarla e saperla arginare.

Che schifoso compromesso è talvolta la vita. Aveva dato alla Mancini la notizia che rivendicava la sua dignità e il suo amore di madre, ma denunciava purtroppo pure la sua mancanza di lucidità nell’avere valutato individui e situazioni.

Denise Antonietti

La giustizia dell’avvoltoio di Maria Lucia Martinez – De Agostini Editore LIBROMANIA