Moby Dick o la balena

Ishmael, narratore e testimone, si imbarca sulla baleniera Pequod, il cui capitano è Achab. Il capitano ha giurato vendetta a Moby Dick, una immensa balena bianca che, in un viaggio precedente, gli aveva troncato una gamba. Inizia un inseguimento per i mari di tre quarti del mondo. Lunghe attese, discussioni, riflessioni filosofiche, accompagnano l’inseguimento.

Ispirato ad alcuni fatti di cronaca di caccia alla balena dell’epoca, oltre che all’esperienza diretta di Melville come marinaio sulla baleniera Acushnet, considerato uno dei massimi capolavori della letteratura americana, il romanzo si distingue per le vaste digressioni a carattere enciclopedico e per le molteplici riflessioni legate ai testi cardini della cultura occidentale, spaziando dalla Bibbia a Shakespeare. La sua peculiare struttura lo avvicina a quel particolare filone metaletterario che va dal Tristram Shandy di Sterne fino ad autori del Novecento come Joyce e Musil.

Recensione

Forse non tutti sanno che Moby Dick è esistito davvero.

Si chiamava Mocha Dick, ed era un capodoglio albino che abitava nell’Oceano Pacifico agli inizi del XIX secolo.

E forse non tutti sanno (ma chi ha letto il romanzo può averlo intuito, visto il dettaglio delle descrizioni della vita e del lavoro a bordo della baleniera Pequod) che Melville, oltre a essere stato maestro di scuola e impiegato, trascorse effettivamente gli anni dal 1839 al 1844 per mare.

Perché ve lo dico?

Perché altrimenti qualcuno potrebbe pensare di liquidare Moby Dick come una semplice storia inventata di un capitano monomaniaco e di una balena bianca.

Ma questo romanzo è molto più di questo.

Per la verità, io non sarei nemmeno sicura di poterlo definire romanzo.

Moby Dick è più che altro, secondo me, qualcosa a metà tra un’enciclopedia del mare e un atlante dell’animo umano.

Chiamatemi Ismaele.

Il libro, lo sanno tutti, si apre così.

Ma Ismaele, dopo essere stato chiamato ed essersi imbarcato sul Pequod, scompare. Tramonta, per così dire: sappiamo che c’è, ma non si vede.

Al suo posto entra in scena Achab: prima solo nominato, mormorato, poi in carne, ossa, e osso di balena al posto della gamba che Moby Dick gli ha strappato.

Anche Achab, però, è una presenza fantasma a bordo della nave: Moby Dick non ha un vero protagonista. Non umano, comunque: il solo personaggio che è presente e anima ogni pagina è l’oceano.

Melville alterna pagine descrittive di carattere enciclopedico a brani dal tono teatrale, che richiamano per tematiche e ritmo i grandi capolavori di Shakespeare; il lettore, come Achab, arranca in questo mare infinito di pagine alla ricerca della balena, senza mai incontrarla.

Fino alla fine quando, conclusa l’ultima sfida, il romanzo si spegne, come se terminata la caccia un epilogo avesse a malapena ragione di esistere.

Denise Antonietti