Prometeo, una visione titanica della vita

Nel tempo questo Titano è stato un creatore, amante della libertà e un liberatore appassionato, un eroe. Ma anche il protervo oppositore alla volontà di Zeus. Un ribelle all’ordine degli dei, una figura oscura e caotica. Secondo una tradizione, Prometeo è il creatore dell’uomo.

Questo lo porta a divenire, in un certo senso, il custode e protettore del genere umano. Sarà lui, infatti, a far germogliare la voglia di libertà e di crescita nell’animo degli uomini. Pur di assistere i suoi protetti accetterà di pagare di persona. Prometeo è cosciente che le forze cui si oppone sono tremendamente più potenti. La sua grandezza non sta nel sapere questo, ma nell’agire nonostante sappia questo. I più, infatti, tendono a lasciarsi andare senza lottare quando le cose divengono soverchianti. Ma chi è diverso, nel senso di outsider, agisce pur consapevole di essere destinato a sicura sconfitta.

PROMETEO, LE STORIE

Prometeo ha anche un fratello, Epimeteo, il cui nome significa “colui che vede dopo”, oggi diremmo il “tardo” o l’improvvido che, proprio per questo, sposerà la bella,  ma tarda anch’essa, Pandora (“con tutti i doni”), quella del vaso. La fanciulla, che aveva ricevuto un dono da ogni dio, era di gran bell’aspetto ma con il “cuore menzognero e indole astuta” ed era anche fortemente curiosa. Nonostante fosse stata avvisata da più parti di non aprire il vaso (o proprio per questo), si verificò quello che si verifica sempre quando a qualcuno viene proibita qualcosa: aprì il vaso – contenente la vecchiaia, la gelosia, la malattia, la pazzia, e altre amenità – regalatole da Zeus. In tal modo scatenò ogni sorta di male e iattura in giro per il mondo. La speranza non fece in tempo a uscire dal vaso e il mondo divenne un luogo disperato, desolato e orrendo finché Pandora aprì nuovamente il vaso e anche la speranza uscì, ultima a comparire ma, così si dice, anche ultima a morire.

Prometeo appare sostanzialmente in due distinti episodi, collegati.

Nel primo viene chiamato a fare da arbitro fra dei e uomini per la spartizione della carne e delle ossa di un toro sacrificato. Avrebbe diviso, in qualche modo, in due parti il toro e ciascuno ne avrebbe scelta una. Naturalmente, il primo aveva la scelta, al secondo sarebbe toccato ciò che restava. Trattandosi di dei e uomini era facile immaginare che la scelta spettasse agli dei per primazia e gli uomini avrebbero avuto ciò che gli dei avrebbero rifiutato. Prometeo mise ossa, tendini e interiora in un involucro ben confezionato dentro il grasso, rendendo il tutto voluminoso e appetitoso alla vista. Ciò che restava fu malamente avvolto nella pelle del toro e reso maleodorante, nel complesso si presentava misero e poco attraente. Prometeo quindi anticipò la scelta degli dei proponendo un camuffamento dei contenuti. Se gli dei si fossero basati sull’aspetto avrebbero ottenuto il contrario di ciò che pensavano. Il padre degli dei chiese quindi chi, secondo l’arbitro, dovesse scegliere per primo. Prometeo rispose che, come era bene, scegliesse Zeus per primo quello che più gli piacesse. Al momento della scelta Zeus guardò severamente Prometeo domandandosi se vi fosse inganno. Poi decise di fidarsi delle apparenze e scelse il pacchetto più bello, grande e profumato. Gli uomini, a capo chino, accettarono umilmente quello che rimaneva, piccolo e scialbo. Al momento di sciogliere i lacci che tenevano insieme i pacchetti, dal grasso uscirono in malo modo ossa e interiora, il profumo svanì in fetore e il viso del Padre degli dei divenne rigido di collera. Ma non proferì parola. Gli uomini, svolgendo la pelle, videro gonfiarsi i muscoli polposi e floridi e il cattivo odore mutò in fragranza. La gioia apparve, prima nei cuori, poi illuminò gli occhi e, infine, debordò in un sorriso radioso sui loro volti.

Il secondo episodio prende le mosse dal primo. Gli uomini, dopo aver ricevuto la carne, vivevano ancora in uno stato di abbandono, al buio, conducendo esistenze grame. Non avevano il fuoco, fuoco divino. Il Titano, ancora una volta, intervenne per lenire le difficoltà e, come era solito, cominciò ad architettare un piano che potesse cambiare le cose. Si recò quindi al cospetto degli dei, vestito da mendicante, così da passare inosservato. Mentre gli dei erano occupati a godersi la festa, si recò dal sole e catturò una scintilla che ripose in una ferula. La pianta sarebbe servita da vettore e nascondiglio del furto. Quando nei mesi seguenti gli dei, al termine della festa, ripresero a guardare verso la Terra cominciarono a vedere fiamme ardere ovunque.

Zeus ricollegò gli eventi e nella sua formidabile mente tutti i tasselli andarono a posto, rendendo evidente il mandante e l’artefice di un piano così raffinato e ben eseguito. La pena per il gesto, o per i gesti, fu rapida, implacabile e terribile. Catene, roccia e tormento. Alle fondamenta del Caucaso, incatenato alle radici delle montagne, Prometeo riceveva, la mattina, la visita di un’aquila che gli rodeva il fegato per tutta la giornata, dilaniandolo. Alla fine del giorno dopo aver terminato il lavoro, l’aquila si allontanava per tornare il mattino successivo e ricominciare la dissezione del fegato, ricresciuto nel frattempo per volere del dio.

Zeus decise anche di punire ulteriormente il Titano e gli uomini mandando tra loro Pandora, fatta creare da Vulcano, con il vaso contenente tutti i mali dell’umanità. 

PROMETEO, IL SENSO

Analizzando le due storie possiamo vedere alcuni elementi ricorrenti. Da una parte abbiamo qualcuno che pensa, riflette, progetta e poi realizza. Qualcuno che cerca di vedere prima le conseguenze del proprio agire e si trova a essere arbitro di dispute squilibrate. Abbiamo un Titano che tiene al genere umano poiché, secondo una tradizione, ne è creatore. Prometeo, infatti, crea l’uomo a partire dal fango e lo rende compiuto con il dono del fuoco (divino).

Quindi anche in questa tradizione si parla del connubio fra un elemento molto terreno e di poco valore (il fango e un elemento immateriale) e uno di valore incommensurabile che è il fuoco. È il fuoco (divino, vale a dire l’anima) che Prometeo ruba agli dei per “animare” le vite degli uomini. Abbiamo una serie di vincoli rappresentati dalla condizione umana miserevole e senza uscita. Una visione che punta ad un cambiamento in meglio di quello che c’è. Una serie di problemi che vengono risolti correndo dei rischi e una soluzione che altera in modo permanente gli equilibri, ma che comporta un prezzo terribile da pagare.

Nel primo episodio, le condizioni di partenza riguardano gli uomini privi di scelta e subordinati. Prometeo si adopera per raddrizzare la “scelta” degli dei operando un riequilibrio legato alla differenza fra apparenza e sostanza, di fatto ingannando gli dei che operano una falsa scelta, immaginando un’identità di forma e sostanza.

Nel secondo presenta gli uomini privi di “fuoco”, vale a dire al buio, privi di anima. In questo caso agisce rubando e donando il fuoco a chi vive nelle tenebre. Porta la luce nel buio e riscalda chi è (al) freddo “…gli uomini prima non capivano e io li ho resi coscienti e padroni del loro intelletto… Prima guardavano e non vedevano, ascoltavano e non sentivano, simili a forme di sogno, vivevano a caso una vita lunga e confusa“. Eschilo “Prometeo Incatenato”.

In tutti e due gli episodi Prometeo è un ingannatore (trickster o divino imbroglione). Ha una visione personale che lo porta ad aiutare gli uomini e che lo conduce a ingannare gli dei per i quali, peraltro, non prova malanimo. Non è spinto dalla voglia di vendicarsi o danneggiare qualcuno, ma dal desiderio di agevolare i propri protetti, i più deboli nell’equazione fra uomini e dei. Tra l’altro nel primo caso sfrutta le ambiguità del rapporto con suo cugino Zeus.

Poiché Prometeo non è afflitto da hybris, non partecipa alla guerra dei titani contro gli dei o lo farà solo nella fase finale, peraltro aiutando i cugini divini contro i fratelli. Quindi Prometeo è obbediente ai voleri del Padre degli dei, ma in modo ambiguo, utilizzando le pieghe della regola. Per questo, Zeus non interviene la prima volta ma si insospettisce e osserva. È la seconda volta che il Titano la combina grossa. Infatti per portare il fuoco agli uomini si traveste, ruba e mimetizza il maltolto. Il comportamento è decisamente truffaldino. Ed è in questo caso che Zeus interviene e lo punisce in modo esemplare. Non lo punisce perché il Titano si arroga un diritto divino, Prometeo è divino infatti, ma perché si macchia dell’hybris che consiste nell’abbassare la propria natura, fino a toccare quella umana. Si abbassa a provare empatia per un essere che è poco più di una bestia.

Prometeo manifesta compassione, è rappresentativo di una condizione esistenziale fondamentalmente altruista. Le gesta del Titano, infatti, non hanno a bersaglio Zeus, non mirano a minarne la credibilità, non sono rivolte “contro”. Sono, piuttosto, a favore dell’uomo di cui si sente responsabile ed è creatore. Nel primo racconto, con la carne in quanto nutrimento per il corpo, si fa riferimento alla parte materiale dell’uomo, al fango di cui è composto. Nel secondo invece deve rubare agli dei la scintilla della creazione con cui infondere l’elemento igneo, l’anima, alla sua creatura e completare l’opera che gli era stata commissionata proprio da Zeus.

Qui è implicito un paradosso: l’uomo è composto da fango e fuoco, l’antica dicotomia fra materia e spirito, ed è il risultato di due inganni che di fatto sono il margine, ma anche il limite, della creatura, poiché impresse dagli atti del creatore. Con l’elargizione del fuoco termina di fatto la sua opera creatrice. Con il fuoco si accendono le anime e, per la controparte grossolana dell’elemento, i focolari degli uomini. La carne può essere cotta. L’anima dell’uomo può contemplare le stelle e anelare alla libertà.

Abbiamo visto la storia del Titano, abbiamo potuto osservare le sue gesta, dedurre le motivazioni sottostanti. Abbiamo gioito per le vittorie e sofferto con lui alle pendici del Caucaso.

Prometeo, cui l’aquila pianta gli artigli nei fianchi e letteralmente rode il fegato ogni giorno, ci induce a riflettere sulla condizione umana. Bisogna essere consapevoli che spesso le scelte che siamo chiamati a fare, specie quando si tenta di fare qualcosa di buono, possono comportare (e inevitabilmente comporteranno) una certa dose di “rodimenti di fegato”, ma è l’unico modo che abbiamo per cambiare davvero le cose.

Paolo Maglio