Liberi di comunicare: sordità e mascherine

Moira è una CODA, Child Of Deaf Adult – figlia di genitori Sordi, l’ho conosciuta al corso per studiare la LIS a Padova. Per quelli che non sono pratici dell’acronimo, la LIS è la Lingua Italiana dei segni.
L’ho ritrovata in un articolo di denuncia all’attuale situazione di vita a cui sono sottoposti i suoi genitori nella vita di tutti i giorni, e prima di ascoltare cosa ha da raccontarci, volevo condividere con voi alcune informazioni iniziali.

I Sordi per comunicare hanno diverse strade da percorrere. Utilizzare la LIS, che però è veicolata all’interno della comunità Sorda o tra le persone, come studenti, interpreti o assistenti alla comunicazione, che l’hanno studiata e la parlano. La lettura del labiale per la comprensione della lingua parlata, perché poi per risponderti si usa la voce, che sono sordi mica son muti eh! E la scrittura su un foglio o sul cellulare proprio a mali estremi.

Nella vita di tutti i giorni, tendenzialmente, per comprendere ciò che dice una persona udente che non conosce la LIS, si utilizza quindi la lettura del labiale. È fondamentale.

In questo periodo però è successo l’inimmaginabile.
Una pandemia, che ci ha costretti a cambiare un sacco di abitudini, e che ci ha portato all’utilizzo, soprattutto al chiuso, di mascherine e di altri strumenti che bloccano la possibilità di lettura del labiale. Non solo la mascherina, anche i pannelli in plexiglass o la visiera creano non pochi problemi per appannamenti e riflessi vari.

Se già in una situazione normale quotidiana non c’è inclusione, questa pandemia ha portato alla quasi totale esclusione negli ambienti, pubblici e non, in cui l’utilizzo della mascherina è diventato obbligatorio. E se non sono presenti interpreti in situazioni normali, figuriamoci durante una pandemia.
Abitudini semplici come andare a prendere il pane o a fare la spesa hanno delle barriere insormontabili da superare se nessuno fa da intermediario.

Com’era la vita dei tuoi genitori prima della pandemia?

M: “Normalissima. Tutti abbiamo caratteristiche diverse, quella dei miei genitori è di essere Sordi. Si fa tutto come gli altri usando modalità diverse. La sveglia ti sveglia con una luce lampeggiante anziché un suono fastidioso, lo stesso vale per il campanello di casa e invece di chiamarsi pronunciando il nome proprio, lo si fa toccando il braccio della persona con la quale si vuole parlare. Questo ovviamente succede a casa, in famiglia e con persone che ci conoscono. Con gli altri comunicano (benissimo) leggendo il labiale.”

La gente che li conosce, commercianti, amici, riusciva a comunicare con loro? In che modo?

M: “Non ci sono mai stati grossi problemi di comunicazione, ovviamente il merito è tutto loro. Hanno imparato a comunicare in un mondo che non riconosce la loro lingua, la LIS. Io e le mie sorelle li accompagniamo dal medico o in posta, perché lì le questioni sono più tecniche e c’è bisogno di un interprete.
Ma autonomi in tutto. “

Ora con le mascherine? Com’é cambiata la situazione?

M: “Adesso è tutto più difficile, per alcuni impossibile. Io parlo per miei genitori sapendo di vivere una situazione fortunata, seppur tragica.
Loro hanno tre figlie a ‘disposizione’ e possono contare sul nostro aiuto e supporto sempre. Nessuno però deve dimenticare che c’è chi invece non è fortunato come noi. Il Covid-19 ha stravolto le vite di tutti e dall’inizio dell’anno è stato, giustamente, imposto a tutti l’uso della mascherina.
Niente più possibilità di leggere il labiale.
Questo ha tolto ai miei genitori e a tutte le persone Sorde la possibilità di comunicare, ha tolto loro l’autonomia.

Come si sentono i tuoi in questo periodo?

M: “Loro sono meravigliosi in tutto, sono, mi dispiace dirlo, abituati a vivere in un mondo che non parla la loro lingua. Adesso ci sono momenti di rabbia ovviamente, ma hanno ragione. Non vogliono essere costretti a rinunciare alla loro autonomia. Nessuno lo vuole, le mascherine non adatte però fanno esattamente questo, impediscono loro di comunicare perché la bocca, ma non solo, anche gran parte delle espressioni facciali, vengono completamente coperte rendendo loro impossibile la comprensione.”

C’è stato un supporto da parte delle regioni/comuni per fronteggiare a queste difficoltà?

M: “Onestamente non ne sono a conoscenza. La regione ha fornito mascherine a tutto il territorio, ma come ho già detto non sono adatte”

Ci sono interpreti che possono supportare i tuoi genitori?

M: “Per quanto riguarda l’interprete, non ne abbiamo mai avuto bisogno perché io e le mie sorelle ne abbiamo sempre fatto le veci.
In molte situazioni sarebbe indispensabile come gli uffici pubblici, l’ospedale…”

Che sostegno sociale secondo te sarebbe utile in questo momento?

M: “Per rispondere a questa domanda voglio raccontarti un paio di episodi.
Durante la pandemia, come ben sappiamo, solo un membro per ogni nucleo famigliare era autorizzato ad uscire per fare la spesa. Io un giorno ho accompagnato i miei genitori, ogni uno col proprio carrello e via. Hanno provato a chiedere informazioni su dove trovare determinati prodotti e non li hanno capiti, alla cassa l’importo è stato ripetuto più volte a volume sempre più alto ma per loro non comprensibile.

Un paio di giorni fa ho accompagnato mio padre a fare un prelievo del sangue. Il personale ospedaliero indicando la mia mascherina ha detto che non potevo entrare perché le sole ammesse sono quelle chirurgiche. La mia ha una finestrella trasparente che permette la comunicazione con i miei genitori e chi come loro ha problemi d’udito. Ho chiesto un alternativa che mi avrebbe permesso di farlo e non ce l’avevano. 

Basterebbe una mascherina adeguata. La mia è fatta in casa, non è certificata, ma permette la lettura labiale. Vorrei un’alternativa valida per tutti, personale ospedaliero, commercianti ecc.

Vorrei che i miei genitori avessero la possibilità di comprendere ed essere compresi anche quando non sono a casa. Vorrei tanto che loro, ma non solo, si sentissero liberi e autonomi come lo sono sempre stati. Liberi di comunicare. Dappertutto.

Sono passato otto mesi, difficili, purtroppo non è finita. Tuteliamo la salute senza togliere altri diritti.”


Basterebbe una mascherina adeguata, una mascherina con una visiera trasparente davanti, certificata perché se non vengono certificate, come abbiamo visto, non possono esser utilizzate in luoghi pubblici come dispositivo medico utile. E quindi sarebbe vano, e inappropriato il loro utilizzo.

Ma basterà una mascherina trasparente?
L’inclusione passa solo attraverso strumenti adattivi o deve passare attraverso una profonda rivoluzione culturale?

A Milano, notizia di pochi giorni fa, una ragazza è stata multata perché ha abbassato la mascherina per poter comunicare con l’amica Sorda che aveva al suo fianco. Una cosa inimmaginabile, ed ingiusta, se si pensa che quel gesto è stato fatto per aiutare una comunicazione e non per altri scopi.

La cosa che mi ha colpita del racconto della multa, lo trovate su Milano Today, è stata l’insensibilità del poliziotto e la mancata sensibilizzazione alla tematica (no, se urlate più forte non vi si sente).

Queste sono situazioni come tante, e piccole in confronto a tanti altri esempi che si potrebbero fare sull’inclusione scolastica e sulle difficoltà che, anche gli studenti Sordi e relativi genitori, stanno affrontando nelle scuole in questo periodo, ma anche normalmente.

Quindi che fare?

Una grande lezione che ne ricavo da tutto questo, ed è una lezione di civiltà che a mio parere dovrebbe essere alla base di una popolazione sana, è che l’inclusione dovrebbe essere un diritto fondamentale di base per tutti. Se viene esclusa dalla vita sociale e di comunità anche una sola persona, compagna di vita in questo mondo che ci circonda, vuol dire che non possiamo ritenerci una società civile.
Ci adattiamo a vivere in un modo solo perché non esiste una visione fluida e inclusiva della realtà che riesca a condividere la vita in maniera completa per tutti, fornendoci una via unica di lettura e di visione.
Ma quanta ricchezza e condivisione perdiamo a lasciare fuori da questa visione la varietà di vissuti, che possono solo arricchirci e non indebolirci, in una vita comunitaria che non lasci fuori nessuno?

L’inclusione dovrebbe essere il primo gradino di questa grande scala che è la vita sociale.
Un primo passo lo possiamo fare solo assieme, mettendone giù le basi uniti in quanto comunità, in questo cammino che dovrebbe accomunare tutti, e non dividerci. È un cammino che accumuna tutti, e non solo i pochi interessati.

Se qualcuno resta indietro in questo cammino, restiamo tutti indietro.

Alessandra Collodel