Sospendere il tempo

In questi giorni a Torino c’è un meteo variabile, prevalentemente nuvoloso, che lascia viaggiare la mente verso il passato, lì, fin dove la memoria può spingersi e poi oltre, dove sono i libri a subentrare.

L’odore dell’inverno che sta avanzando, ma che è ancora lontano, accompagna per le strade della città dalla doppia valenza: la città che fa parte sia del triangolo della magia bianca sia di quello della magia nera.

L’aria di mistero che si respira, aleggia e permea quei luoghi che si perdono tra passato e presente, facendo parte di entrambi e di tutti e tre, se si considera anche il futuro.

Nel frattempo ci si addentra nei meandri del Palazzo Reale, con le nubi fuori e il bagliore dell’oro che rischiara le sontuose stanze, dando un aspetto antico eppure senza tempo, mentre i volti dei secoli andati sorridono ai nuovi arrivati alla vita, rassicurandoli che nessun male sovviene dall’ignoto dell’Oltretomba, ma che di se stessi bisogna temere le inclinazioni e che lo scorrere degli anni è inevitabile.

Le opere durano più della pelle e delle ossa, sussurrando storie ricche d’intrigo anche dopo decenni e così si osservano con ammirazione le mani di qualcun altro che rendono eterno un frammento di mortalità, lasciando di stucco persino se stesse.

E se la primavera è nascita, l’estate maturità, l’autunno declino e l’inverno morte di ciascuno, di qualsiasi essere vivente, l’arte per quanto in malora possa andare sarà vita eterna non solo di chi l’ha creata, ma anche di chi la osserva e riflette su di essa, rinnovandone giorno dopo giorno il significato, aggiungendo giorno dopo giorno un pezzo di anima a un qualcosa che apparentemente anima non ha ma che invece contiene quelle di chiunque lo ami.

Letteratura, arte “in senso stretto”, storia, intrecciate in un’unica entità, incastonate in una dimensione che si ritrova non nel passato, non nel presente e nemmeno nel futuro, ma negli spazi di ciascun tempo, trascendendoli.

All’improvviso l’orologio che corre si blocca, si sospende, trovando pace.

Quella pace che solo una grande opera può dare, che sia un palazzo reale, un quadro, o una melodia che cattura la parte più profonda dell’Essere, o ancora un libro.

Quella pace data dal ridimensionamento di se stessi rispetto al resto.

Silvia Costanza Maglio