A tu per tu… con me stessa

Durante le ferie sono ingrassata quattro chili senza andare in Puglia. Seguitemi per altri consigli. Questo articolo potrebbe già finire così.

In realtà mi sono appena resa conto che questo è un aggiornamento a un articolo che avevo già scritto sull’estate.

“Odio l’estate” è il ritornello di una celeberrima canzone, molto più antica di tutte quelle che, a ritmo di reggaeton, ci raccontano di sole / cuore / amore / sudore e pantaloni slacciati su belle e accondiscendenti ragazze che, complice l’ormone che si inselvatichisce col caldo, si concedono inaspettate follie sessuali.
Io parteggio per la vecchia canzone: odio l’estate.

Passo, anzi passavo il tempo pigramente sotto la tettoia di casa, al tavolino di mosaico costruito con le mie mani su una vecchia bobina portacavi in legno, a fumare e a gustarmi una birretta fresca ascoltando la mia musica preferita e guardando i trattori passare per la provinciale.

Questa volta è cambiato tutto: la grandinata di palle da tennis di ghiaccio sparate dal mortaio divino che c’è stata da queste parti mi ha spaccato completamente la tettoia, assieme ai pannelli fotovoltaici, al cappotto termico e alle tegole del tetto.

Un danno enorme per le mie magre risorse economiche, per cui sto aspettando che l’assicurazione torni dalle ferie per iniziare i lavori.

Nel frattempo, crepo dal caldo sotto la tettoia spaccata e questo mi dispiace, perché sento tristemente che quella tettoia era una piccola gioia che mi è stata portata via dal maltempo.

Per fortuna come sempre ci ha pensato la mia amica Odry a consolarmi con un’uscita pomeridiana a shopping, in cui non ho comprato altro che materiale per fare piccole ristrutturazioni alla casa di mio pugno e libri.

Ho trovato quello che credo sia l’ultimo libro di Banana Yoshimoto, “Il dolce domani”.

La Yoshimoto è stata il motivo per cui ho intrapreso Ca Foscari: volevo conoscere la cultura giapponese. Ritrovarsela davanti dopo quasi trent’anni mi ha lasciato una sensazione di essere sospesa nel tempo, come se lei fosse sempre stata accanto a me, una presenza invisibile.

Questo libro è molto adeguato a persone che hanno problemi di salute complicati; consiglio a tutti di leggerlo perché dona alla vita e alla morte una leggerezza che solo lei è in grado di descrivere. Non è tuttavia un romanzo per tutti: al contrario di “Tsugumi” con cui ho intrapreso la carriera universitaria per comprendere la delicatezza estetica di quel popolo, questo tratta temi universali che solo chi è stato costretto a intraprendere forzosamente nella vita un certo cammino può comprendere fino in fondo.

Parafrasando Molly Bloom nel suo monologo interiore, posso quindi dire che la mia tettoia spaccata sia un riflesso della mia anima aperta, quell’anima che lasciato filtrare un mondo altro, che mi ha portato a un libro che mi conduce al solito posto, quello in cui c’è serenità per la consapevolezza di una vita fatta di tempo lineare, con un inizio e una fine, e di istanti da assaporare il più a lungo possibile.